Tratto da un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Marco Cappato, storico attivista e politico radicale, si racconta in un dialogo profondo tra vita privata e battaglie civili. A 53 anni, l’ex europarlamentare è diventato il simbolo della disobbedienza civile, portando avanti cause cruciali come la libertà di cura, il fine vita, l’antiproibizionismo e i diritti LGBTQ+.
Nonostante il suo attivismo instancabile, Cappato non si definisce solo attraverso la politica: “Sento l’amore prima di concettualizzarlo. L’effetto è una felicità costante e creativa”, dice parlando della sua compagna.
L’amore, la politica e la sua storia familiare
Cappato cresce in una famiglia in cui la politica è pane quotidiano: “Mio padre era segretario del Partito Repubblicano a Monza, mia madre iscritta ai Radicali, uno zio socialista… Io ero più anarchico”, racconta. Le discussioni accese a tavola hanno segnato il suo percorso, ma la sua natura era inizialmente timida: “Da ragazzino avevo un’acne fortissima che mi creò un complesso. Ho fatto anche il chierichetto, ma ho resistito poco: la povertà mi sembrava insopportabile”.
Oggi è un padre presente: la sua bambina, Vittoria, ha sei anni e lui cerca di gestire il suo tempo per starle vicino.
Il legame con Marco Pannella
Cappato non nasconde il rapporto complesso con Marco Pannella, suo maestro e guida politica: “Mi irritava e mi divertiva allo stesso tempo. Ho imparato molto da lui, umanamente e politicamente, ma negli ultimi anni avevamo perso sintonia”. Quando Pannella muore, lui è impegnato a raccogliere firme per una campagna: “Ho pianto molto”.
La battaglia per il fine vita: da Welby a Dj Fabo
Il tema del suicidio assistito è la battaglia che più ha segnato la sua vita. Tutto inizia nel 2006 con Piergiorgio Welby, attivista malato di distrofia muscolare: “Mi chiese di andare in Belgio per procurargli il farmaco per l’eutanasia. Gli dissi: possiamo farne una battaglia pubblica per l’Italia. E lui accettò”.
La svolta arriva quando il presidente Giorgio Napolitano risponde al video-appello di Welby: “Scrisse che l’unico atteggiamento ingiustificabile sarebbe stato il silenzio del Parlamento. Da lì si scatenò il dibattito”.
Con il tempo, Cappato ha accompagnato tre persone in Svizzera per ottenere il suicidio assistito: “Dj Fabo, la signora Elena e Piera Franchini. Lei però, all’ultimo, ebbe paura di bere il farmaco e dovemmo tornare indietro. Ci riprovò con un’altra persona”.
Oggi, grazie al lavoro dell’Associazione Luca Coscioni, il suicidio assistito è possibile anche in Italia, ma i problemi restano: “Ci sono ancora intoppi burocratici e giudiziari, perciò la via più breve resta la Svizzera”.
Il rischio di carcere per l’aiuto ai malati
L’azione di Cappato ha un prezzo. “Mi sono autodenunciato dieci volte per l’aiuto ai malati in Svizzera. Al momento siamo indagati in 13 e abbiamo 7 procedimenti penali aperti. Ognuno di noi rischia fino a 12 anni di carcere”, rivela.
Morire con dignità e vivere con intensità
Alla domanda su cosa significhi la morte per lui, risponde: “È la fine della nostra esistenza nello spazio e nel tempo. È una brutta notizia, ma ci aiuta a vivere più intensamente”.
E nella sua battaglia per il diritto di morire con dignità, il ricordo più intenso resta Welby: “Mi ha detto grazie tre volte. Quella gratitudine è per sempre”.