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Salute

Malattie rare, due giorni di dibattito sulla ricerca a Napoli organizzati da Eurordis

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Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo letto o ascoltato l’espressione “malattia rara”. Si può pensare a una patologia che colpisce pochissime persone, e invece nella categoria “malattie rare” rientrano purtroppo malattie che colpiscono una persona ogni 2.000 abitanti, milioni e milioni di individui in tutto il mondo.

La ricerca sulle malattie rare è complessa quanto preziosissima, e la Campania è in prima linea.

Non a caso,venerdì e sabato prossimo, 23 e 24 novembre, a Napoli, presso l’aula magna della Regione Campania, isola C3, la ricerca campana sarà #noncosirara. Sarà infatti dedicata alla ricerca sulle malattie rare, una full immersion di due giorni sul tema delle malattie rare, con i principali attori, accademici ed istituzionali. L’iniziativa è di Eurordis (European Organisation for Rare Disease), che raggruppa oltre 700 organizzazioni di malati di 60 paesi, in rappresentanza di oltre 30 milioni di pazienti, il tema principale è proprio quello della ricerca.
Esprime soddisfazione Giuseppe Limongelli, direttore del Centro di coordinamento Malattie Rare della Regione Campania:

“La ricerca in Campania – sottolinea Limongelli – riconosce eccellenze nazionali ed internazionali, sia nella ricerca clinica, che in quella preclinica e traslazionale. Eccellenze negli ospedali, nelle università, nei centri di ricerca campani, dal Ceinge, al Tigem, dal Cnr, al Biogem. I pazienti saranno protagonisti, con la partecipazione delle principali associazioni e del Forum campano, e della federazione Nazionale Uniamo. Attraverso questionari mirati, abbaino realizzato una mappatura della ricerca campana, che ci consentirà di favorire scambi, collaborazioni, nascita di networks”.

I migliori ricercatori saranno premiati nell’ambito del primo Concorso Campania’s Got Rare Talents (in memoria del Prof Paolo Limongelli), in collaborazione con la Direzione generale Tutela della Salute, della direzione di staff, e del Centro di coordinamento Malattie Rare”.
La prima giornata è stata immaginata per dare voce alle eccellenze scientifiche regionali ed ai pazienti. La seconda giornata andrà a delineare una panoramica sullo stato e sulla gestione delle malattie rare in Campania, dall’assistenza (diagnosi e presa in carico) alla ricerca, alla formazione /informazione/ prevenzione, con l’obiettivo di mettere in luce punti di forza e criticità, ed approfondire modelli gestionali presenti e futuri. Ma anche dal punto di vista assistenziale c’è grosso fermento.
“Il principale obiettivo per il 2019 – prosegue Giuseppe Limongelli – sarà la definizione della rete ospedale/territorio, la presa in carico globale della persona con malattia rara, e l’implementazione della formazione-informazione e prevenzione sul territorio. Da settembre sono stati attivati una serie di tavoli di tecnici di lavoro “a tema”, che ricalcano i gruppi di patologie presenti nella 279/2001 e nelle recente DPCM, e che avranno il compito di realizzare gli obiettivi prefissati nel decreto 61/2018 (“Implementazione del Piano regionale M. Rare”). Inizia una fase entusiasmante, ma allo stesso tempo di grosso impegno e responsabilità, per le istituzioni, per i medici della rete, per le persone con malattia rara”.

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Tumori: ogni studio fa risparmiare 1 mln in cure e assistenza

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Ogni studio clinico sul cancro fa risparmiare al sistema oltre 1 milione in cure e assistenza ma l’Italia è ancora lontana dall’obiettivo di investire in questo settore il 3% del Pil, come raccomandato dall’Europa, e si ferma all’1,43% con solo lo 0,5% di investimento pubblico. A puntare i riflettori sui benedici e le criticità legate all’innovazione è il convegno ‘Valore della ricerca clinica in oncologia, ematologia e cardiologia’, organizzato da Foce (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi), che rileva come nel 2021 nel nostro Paese siano state autorizzate 818 sperimentazioni. Un euro investito in uno studio clinico, sottolineano gli esperti, ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Servizio Sanitario Nazionale. L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial perchè sostenuti dalle aziende sponsor, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1,2 milioni di euro. È stato stimato, soltanto nell’area della oncoematologia, un risparmio potenziale di circa 400 mln di euro ogni anno. Cifre che raggiungono alcuni miliardi di euro, se si considerano tutte le sperimentazioni svolte in Italia. La ricerca scientifica è “la chiave di volta per garantire a ogni persona le migliori opportunità di cura e assistenza sanitaria – afferma in un messaggio il ministro della Salute, Orazio Schillaci -. Permettere ai pazienti di accedere a farmaci innovativi in tempi più brevi nonché garantire una maggiore competitività dell’Italia sono due priorità dell’agenda del mio mandato”.

“In questa visione – continua Schillaci – si inseriscono i Decreti sui Comitati Etici, che ho recentemente firmato e che costituiscono un passo in avanti decisivo verso la piena implementazione nel nostro ordinamento del Regolamento europeo 536 del 2014 in materia di sperimentazioni cliniche, muovendosi nella direzione di una minore burocrazia, senza rinunciare al livello di rigore scientifico. Dobbiamo mettere in campo ogni iniziativa per dare impulso all’innovazione e alla ricerca sanitaria. I fondi per la ricerca e per la sanità sono stati sempre inferiori rispetto alla media Ue. È arrivato il momento di invertire la rotta”. In cinque anni il numero di nuovi studi clinici autorizzati nel nostro Paese “è aumentato in maniera esponenziale: da 564 nel 2017 a 818 nel 2021, in un quinquennio sono stati 3403 – spiega Francesco Cognetti, Presidente Foce -. Ogni anno in Italia sono circa 40mila i cittadini coinvolti nelle sperimentazioni. Due terzi dei trial interessano le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono i due terzi della mortalità annuale. I vantaggi che derivano dalla ricerca sono a 360 gradi ed i pazienti possono beneficiare di terapie innovative con grande anticipo rispetto alla loro disponibilità”.

Gli investimenti complessivi pubblici e privati in questo settore, in Italia, equivalgono a oltre 750 milioni di euro all’anno, di cui il 92% proveniente da aziende farmaceutiche per studi profit. Inoltre, circa l’80% delle ricerche svolte nella Penisola è di origine internazionale e rappresenta un’esportazione di servizi, contribuendo positivamente alla bilancia commerciale del nostro Paese. In particolare, l’oncologia assorbe ben il 40% dei trial (330 nel 2021). Oggi però, per sviluppare un farmaco anticancro innovativo “serve circa un miliardo di dollari. Se le aziende farmaceutiche non riuscissero a recuperare questi costi, non investirebbero più nella ricerca. Un patto fra industria, clinici, Istituzioni e Università è la via da seguire per dare nuovo impulso alla ricerca”, afferma Carlo Croce, Professore di Medicina Interna alla Ohio State University. Inoltre, rileva il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco Giorgio Palù, “una delle maggiori criticità riguarda i tempi di avvio dei trial, caratterizzati da un iter regolatorio lungo e difficoltoso. Questi elementi possono minare l’attrattività dell’Italia. Ci auguriamo che i nuovi standard stabiliti dal Regolamento europeo 536, che ha armonizzato il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri, consentano di superare queste difficoltà, accelerando le decisioni e riducendo i vincoli burocratici”. Oggi il nostro Paese è “in quarta posizione in Europa per studi clinici aderenti al nuovo Regolamento europeo, dopo Francia, Spagna e Germania. Va recuperato – conclude Cognetti – il tempo perduto”.

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Da AI e realtà virtuale il primo ologramma 3D dell’embrione umano

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Intelligenza artificiale (AI) e realtà virtuale hanno permesso di vedere per la prima volta come l’embrione si sviluppa nell’utero durante la gravidanza, riproducendone l’ologramma in 3D. Pubblicato sulla rivista Human Reproduction, il risultato si deve al gruppo della ginecologa Melek Rousian, dell’Università di Rotterdam, nei Paesi Bassi, e indica che più lentamente avviene lo sviluppo embrionale, più aumenta il rischio di un aborto. Di conseguenza, la nuova tecnica fornisce un indicatore utile per prevedere se una gravidanza è a rischio, oppure se ha alte probabilità di concludersi con la nascita di un bambino.

“Abbiamo scoperto che, più è lungo il tempo che l’embrione impiega a svilupparsi, più aumenta il rischio di un aborto”, ha osservato Rousian, riferendosi alle osservazioni fatte con il suo gruppo sulle prime dieci settimane di gravidanza. I ricercatori hanno utilizzato le tecniche più avanzate della diagnosi per immagini e della realtà virtuale per ottenere ologrammi in 3D degli embrioni e in questo modo hanno potuto osservare con un dettaglio senza precedenti ogni fase dello sviluppo, compresa la formazione di braccia e gambe, il modo in cui si modella il cervello e hanno potuto anche misurare il volume e la lunghezza complessive dell’embrione. Grazie a queste nuove tecniche, rileva Rousian, in futuro sarà possibile stimare la probabilità che una gravidanza vada a termine e segnalare un eventuale rischio di aborto.

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Rimosso tumore cerebrale con l’utilizzo dell’ipnosi a Terni

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L’equipe di Neurochirurgia dell’ospedale Santa Maria di Terni, coordinata dal direttore della struttura complessa di Neurochirurgia, Carlo Conti, in stretta collaborazione con i colleghi della Neurorianimazione e con l’assistenza del gruppo di Neurofisiopatologia, ha eseguito un complesso intervento di rimozione di un tumore cerebrale in un paziente sveglio con l’ausilio di tecniche ipnotiche, che hanno consentito di ridurre significativamente i farmaci sedativi e antalgici e di aumentare la prontezza ai test linguistici intraoperatori. È la prima volta che viene eseguito in Umbria un intervento così delicato. “Presso la Neurochirurgia di Terni il monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio per la chirurgia cerebrale in aree eloquenti, compresa la chirurgia da sveglio, è ormai una pratica standardizzata – ha precisato il direttore generale Andrea Casciari – una metodica riconosciuta come indispensabile per garantire il miglior risultato oncologico e ridurre al minimo i rischi di deficit neurologici post-operatori. Ma non ci si ferma a questo. Come dimostra questo intervento, l’ospedale di Terni vuole garantire un servizio neuroncologico sempre migliore, sempre più umano e vicino al paziente”.

Nel caso specifico si trattava di un giovane paziente affetto da un tumore cerebrale localizzato in corrispondenza dell’area cerebrale che controlla la produzione del linguaggio. L’intervento di chirurgia da sveglio era necessario per consentire al chirurgo di verificare in tempo reale se si stesse producendo un danno neurologico o meno durante le manovre di asportazione della lesione. “L’utilizzo dell’ipnosi – spiega il dottor Conti – ha permesso di controllare lo stato ansioso del paziente, riducendo contestualmente l’utilizzo dei farmaci anestesiologici: in tal modo il paziente è rimasto vigile durante tutta la durata della procedura”. Una volta terminato l’intervento in sala operatoria, il paziente ha passato un periodo di circa 12 ore in Neurorianimazione per uno stretto monitoraggio dei parametri vitali, dopodiché è ritornato in reparto di Neurochirurgia per essere dimesso, dopo un paio di giorni, senza nessun nuovo deficit neurologico.

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