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Cronache

Mahmoud ucciso e fatto a pezzi, voleva cambiare lavoro

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Ucciso a coltellate perché voleva andarsene dalla barberia dove lavorava, le ossa spezzate perché il suo cadavere stesse dentro una valigia, il suo corpo mutilato forse per ritardarne il riconoscimento. Mahmoud Abdalla, 19 anni, egiziano è stato letteralmente massacrato dal suo datore di lavoro e dal suo socio con i quali saltuariamente divideva la casa e il suo tempo. I due, Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel detto Bob e Mohamed Ali Abdelghani detto Tito, dopo un lunghissimo interrogatorio reso alla pm Daniela Pischetola sono adesso indagati per omicidio aggravato in concorso e distruzione di cadavere. Nelle 13 pagine di motivazioni al fermo, l’importante e sofisticata attività di indagine coordinata dal pm Pischetola eseguita dai carabinieri del Nucleo Investigativo e dalla Compagnia di Chiavari, c’è la narrazione dei fatti dalla quale traspare una crudeltà incredibile. Mahmoud lavorava nella barberia che Tito gestiva assieme a Bob.

Ma un giorno ha detto che se ne voleva andare a lavorare da un’altra parte. Non solo l’ha detto, ma i giorni di prova nell’altro negozio sono stati immortalati sui social. Tito e Bob non volevano perdere il ragazzo e la clientela che a lui faceva riferimento. È Bob che racconta come Tito avesse minacciato il titolare della barberia dove Mahmoud voleva andare, sempre Bob a raccontare come Tito avesse ucciso Mahmoud e l’avesse poi minacciato di starsene zitto, se la sua famiglia ancora in Egitto voleva continuare a vivere. La lite si è verificata in casa, a Sestri Ponente.

Il ragazzo è stato ucciso a coltellate, una delle quali gli ha spaccato il cuore. Poi, secondo quanto emerge dalle indagini, hanno messo il cadavere in una valigia e dopo averlo trasportato da Genova a Chiavari in taxi l’hanno smembrato in spiaggia, poco lontano dalla foce dell’Entella, tagliando prima la testa e poi le mani. Subito dopo hanno gettato i resti in mare. E’ stato lo stesso tassista a confermare di aver iniziato la propria corsa a Genova, in zona Sestri Ponente e che erano saliti a bordo due ragazzi con due valige di cui una di grosse dimensioni particolarmente pesante. Così pesante che lo stesso tassista aveva invitato i due clienti a metterla nel bagagliaio.

Così pesante che nelle immagini della videosorveglianza Bob e Tito vengono immortalati mentre, poco dopo le 3 del mattino di lunedì, trasportano a fatica la valigia sulle spalle mentre s’incamminano lungofiume per raggiungere la spiaggia di Chiavari. E quando tornano indietro, la valigia è visibilmente più leggera. Tra le tante testimonianze una in particolare segna un punto importante nelle indagini: Bob ha detto a uno dei dipendenti della sua barberia di Chiavari che Mahmoud era morto. Ma gliel’ha detto un’ora prima che venisse recuperata la prima mano mozzata sulla spiaggia, a un centinaio di metri dalla foce dell’Entella dove lunedì pomeriggio è stata trovata la mano mozzata. Ammettono, gli indagati, l’omicidio. O meglio: Bob ammette l’omicidio dicendo che è stato Tito a uccidere Mahmoud e che l’ha aiutato perché aveva paura. Ma non a squartare il cadavere, cosa che ha fatto – dice Bob – soltanto Tito. Tito dal canto suo prova a raccontare che Mahmoud ha litigato con Bob e che lui ha cercato di disarmarlo.

E’ stato così che il ragazzo è caduto sul coltello ferendosi mortalmente. E Bob l’ha finito. Poi una volta a Chiavari l’ha squartato. Una versione che per gli investigatori e gli inquirenti è poco credibile. Mahmoud Abdalla era venuto dal mare a fine estate 2022, minore non accompagnato, con il suo bagaglio di speranza. Voleva fare il parrucchiere. E al mare è tornato, straziato e solo, ancora una volta. Il suo corpo giace in una morgue in attesa di essere ricomposto pima che qualcuno, chiunque esso sia, gli dica addio.

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Cronache

Tragedia ad Anzola Emilia: uccisa l’ex vigilessa Sofia Stefani, interrogato ex comandante

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Un tragico evento ha scosso la comunità di Anzola Emilia, in provincia di Bologna. Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola alla testa all’interno della sede del Comando della polizia locale, conosciuta come la ‘Casa Gialla’. Il presunto responsabile del delitto è Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola, attualmente sotto inchiesta.

L’incidente è avvenuto poco prima delle 16, in una stanza del comando della polizia locale dove Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si erano incontrati. Al momento della tragedia, i due si trovavano soli nella stanza, sebbene nell’edificio fossero presenti altre persone. Le forze dell’ordine stanno conducendo un sopralluogo accurato alla ‘Casa Gialla’ e interrogando i testimoni per ricostruire esattamente quanto accaduto e comprendere la natura del rapporto tra la vittima e il sospettato.

Giampiero Gualandi, ancora in servizio presso il comando di Anzola Emilia, sarà interrogato con l’assistenza di un difensore. Le autorità stanno cercando di chiarire se il colpo di pistola sia stato un tragico incidente o se ci sia stato un movente dietro l’omicidio. Non è ancora chiaro quale fosse la relazione tra Gualandi e Stefani, ma i carabinieri stanno esplorando tutte le possibili piste, inclusa quella di un conflitto personale o professionale.

La notizia ha profondamente colpito la comunità locale, che conosceva bene Sofia Stefani per il suo lavoro come vigilessa. I colleghi della polizia locale e i residenti di Anzola Emilia sono in stato di shock, in attesa di ulteriori sviluppi dalle indagini. Il municipio, situato a pochi passi dal luogo del delitto, è diventato un punto di raccolta per coloro che vogliono esprimere il loro cordoglio e la loro solidarietà alla famiglia della vittima.

La morte di Sofia Stefani rappresenta una tragica perdita e pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza e sulle dinamiche interne al comando della polizia locale di Anzola Emilia. Mentre le indagini proseguono, la comunità spera che venga fatta piena luce su quanto accaduto.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Cronache

Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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