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Lo Stato faccia capire ai No Vax che scienziati e giornalisti non si possono picchiare o insultare

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Facciamo una premessa: non amiamo gli slogan dei politici che quando non sono capaci di far rispettare le regole avanzano proposte di inasprimento delle pene per chi le viola. Ciò detto, passiamo alla questione No Vax. Sappiamo che non esiste e manco è allo studio un vaccino per curare l’idiozia e la strampalatezza di certe tesi sui vaccini, ma la possibilità di rendere immuni certi No Vax che pretendono di affermare le loro idee con la violenza, uno Stato serio deve almeno provarci. Prima con le buone, poi con il pugno di ferro se necessario. In queste settimane i No Vax, quelli che si agitano e urlano alla dittatura sanitaria, hanno potuto fare più o meno quello che volevano per strada senza che nessuno li abbia ancora invitati con la forza alla calma, a chiedere le autorizzazioni per potersi riunire e marciare in pubblico e soprattutto a farlo nei modi e nei tempi stabiliti dalle autorità di pubblica sicurezza. Questa eccessiva democrazia italiana, anche in campo sanitario, ha fatto credere a qualche No Vax (solo una minoranza è composta da incivili e idioti) che per strada possono fare quel che vogliono. Circolare senza mascherine; picchiare, insultare o umiliare qualunque giornalista che certifichi la loro esistenza raccontando le loro gesta; fregarsene delle regole di pubblica sicurezza; minacciare pubblicamente chiunque la pensi diversamente da loro. Ora dopo aver picchiato qualche giornalista, spesso nel silenzio assordante anche della categoria, hanno deciso di passare alle vie di fatto con qualche medico che spesso va in Tv ed offre la sua tesi circa l’obbligo vaccinale. Una tesi che può piacere o meno, ma vale almeno quante le idiozie dei No Vax. Matteo Bassetti, l’infettivologo del San Martino di Genova, ne sa qualcosa. Ieri sera è stato inseguito e minacciato da un 46 enne che si è beccato una denuncia dalla polizia per minacce gravi. Questo energumeno, secondo il racconto di Bassetti, lo ha incontrato per strada e ha iniziato a inseguirlo riprendendolo col telefonino e urlandogli “ci ucciderete tutti con questi vaccini e ve la faremo pagare”. Bassetti ha chiamato la polizia e si è allontanato. Quanto all’infettivologo c’è da qualche settimana una inchiesta sempre della Digos per identificare degli utenti del web che da mesi lo insultano ero  minacciano sui social e via telefono. Ora, premesso che sarebbe il caso di proteggere Bassetti da questi insulsi (una scorta?), siccome non si può dare la scorta a tutti i giornalisti che seguono i No Vax, non si possono difendere tutti gli scienziati italiani che spiegano con fondamenti scientifici la indispensabilità della vaccinazione contro il Covid e ne minimizzano i rischi, forse è il caso di cominciare a fare sul serio con i No Vax. Nessuna repressione una tantum. No, rispetto ferreo delle regole. Ci sono le norme sulle riunioni non autorizzate. Sulle minacce gravi. Sulle lesioni personali. Sul fatto che si voglia impedire ai medici di parlare e ai media di raccontare questa pandemia se non come loro vogliono. Se ci sono le norme allora facciamole rispettare. La democrazia è bella perchè le regole valgono erga omnes, non si applicano a piacere. Valgono per tutti. Anche per i No Vax. A loro non  piace la dittatura sanitaria italiana? Bene, possono sempre andarsene in Cina, in Russia, negli Usa, nella nuova democrazia dell’Afghanistan. Una qualche democrazia che li ospiti la troveranno sempre. Ecco, magari potremmo scambiare qualche migliaia di italiani No Vax con altrettanti afghani che non amano i nuovi democratici talebani. Sempre che i talebani ce lo consentono.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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