Le immagini sui social e tv testimoniano che, malgrado tutto, abbiamo fatto buone ed opulente vacanze, anche lunghe, dopo qualche mese di zona rossa del 2021 e sicuramente dopo tanti altri disagi e giorni di dolore causati dal perpetuare dal Coronavirus.
In un agosto di fuoco, rigorosamente sold out, non abbiamo potuto esorcizzare però ogni triste ricordo perché con il Covid quasi del tutto attenuato, la cronaca ha rimesso al centro tutti quei drammi che da anni si consumavano già nel mondo sotto i nostri occhi e, negli ultimi mesi, forse grazie alla complicità della pandemia, hanno raggiunto picchi di sofferenze inaudite in un contesto di assordante silenzio. Perché sul nostro Pianeta, forse lo avevamo dimenticato, la natura è al collasso ed i più deboli continuano a morire di fame e di stenti nel totale disinteresse generale, mentre i signori della guerra imprigionano milioni di persone nel loro stesso paese, come in Siria, che diventa così un altro sterminato campo di concentramento dove ogni orrore è permesso.
Intanto barconi di disperati dall’Africa continuano ad affondare nel Mediterraneo che però adesso fa anch’esso poca notizia, mentre l’Europa continua non decidere ingessata in un colpevole immobilismo, contribuendo a tenere in caldo i peggiori sentimenti populisti che saranno sfoggiati ad arte dai diretti interessati al prossimo teatrino elettorale.
Anche se con l’arrivo dell’Autunno potremmo tornare ad occuparci di Covid,non dovremo quindi dimenticarci nuovamente delle drammatiche dinamiche che affliggono un mondo che resta devastato da tante altre problematiche, perché come sempre accaduto nella storia, ciò di cui non ci preoccupiamo giungerà a stravolgere prima o poi anche le nostre vite, così come accade ormai continuamente per gli attentati jihadisti in Occidente e per l’inarrestabile ed insostenibile flusso di disperati, che dai paesi più poveri accettano di rischiare la morte pur di raggiungere quelli che percepiscono, a buona ragione, veri e propri paradisi terresti.
Ma anche dove c’è opulenza c’è dolore. Le diseguaglianze degli stati capitalisti generano infatti marginalizzazioni e solitudini con stridenti contesti di luccicante ricchezza, che armano persino con mitra, persone accecate da un male oscuro che li rende demoni feroci in cerca di agnelli sacrificali. Ovunque non possiamo esimerci dall’ascoltare e dare voce alle esigenze del nostro prossimo, sia esso un vicino di casa quanto distante migliaia di chilometri.
Così in questi giorni l’Afghanistan entra nelle nostre case con immagini devastanti, che ci narrano di un popolo lasciato ormai a se stesso, reo soltanto di non volersi piegare ad una vera e propria schiavitù, invocata ed imposta da fanatici senza scrupoli nel nome di un credo deformato dalle loro terrene farneticazioni, e quindi chiamato in causa solo per giustificare l’ingiustificabile. Invero, alle bombe “intelligenti” della NATO, dovevano seguire azioni, quelle sì, davvero intelligenti, ossia costruttive, capaci di rendere definitivamente autonoma una popolazione di oltre trentotto milioni di esseri umani che, nella stragrande maggioranza, non chiedono altro che di poter disporre della loro vita e del loro futuro.
Invece, grazie anche al buon Biden, che peggio non poteva fare, padri e madri affidano a militari USA ed Alleati, in una contestata e sconvolgente ritirata, i loro figli attraverso il ferro spinato, pur consapevoli di non rivederli mai più e pur non conoscendo nulla del loro futuro, tuttavia tanto determinati dalla disperazione di volerli sottrarre ad ogni costo alla restaurazione medioevale dei Talebani, già dilagante in tutta la sua destabilizzante e cieca brutalità. Assistiamo ancora attoniti ed inermi alle ultime scene di vita del comico Kasha Zwan, che più coraggioso del più grande dei condottieri va incontro alla tortura ed alla morte beffandosi dei suoi boia. Incapaci persino di comprendere il loro disonore e la potenza del gesto di Kasha, i suoi ottusi aguzzini lasciano quindi che sia ripreso con un cellulare nel pieno del suo ultimo eroico gesto di sfida e denuncia, consegnandolo così alla storia come il vero martire della giusta causa, quella della libertà e della dignità. Una fondamentale testimonianza di questa tragica storia dei giorni nostri, ci è costantemente fornita anche in Italia, dall’ex soldato ed oppositore del regime talebano, Farhad Bitani, poi tra i fondatori del GAF Global Afghan Forum.
Seppur condannato a morte dai suoi avversari, oggi Farhad combatte gli oppressori dell’Afghanistan come scrittore di fama internazionale, ed anche con il suo libro appena pubblicato “L’ultimo lenzuolo bianco”, ci narra la verità su questa Terra meravigliosa, devastata dalla furia umana di esseri senza scrupoli, e dagli sporchi interessi che la costringono in uno stato di perenne guerra.
Marta Catuogno. Vice presidente nazionale AIDDA
L’Inferno è alle porte, che potranno essere definitivamente spalancate dal nostro egoismo e dall’ignavia dei nostri governanti sempre capaci di rappresentarci al peggio, almeno che, anche questa volta, daremo ulteriore prova della nostra straordinaria umanità. Perché è nostro indiscutibile dovere quello di aiutare tutti i popoli che hanno avuto la sola sfortuna di abitare in contesti tanto difficili, non come noi, fortunati abitanti di una terra ricca e di straordinaria bellezza. Oltre alle associazioni internazionali, filogovernative e non, in Campania come sempre c’è già grande fermento e voglia di aiutare. Un esempio arriva dall’associazione delle donne di AIDDA, rappresentata in Campania dalla rotariana Marta Catuogno (vice presidente nazionale), già attive per garantire assistenza a fronte dei prossimi corridoi umanitari, alle donne Afghane ed alle loro famiglie, attraverso anche la possibilità di un loro impiego nel nostro grande Paese, che resta terra di accoglienza e di solidarietà, malgrado lo starnazzio di qualche minoranza spaventata anche da sé stessa o del populista di turno in cerca di una qualsiasi poltrona di governo.
Muore a 38 anni dopo intervento estetico in una clinica privata di Caserta
Sabrina Nardella, 38 anni di Gaeta, è morta durante un intervento estetico alla clinica Iatropolis di Caserta. Disposta l’autopsia per chiarire le cause del decesso.
Sarà l’autopsia a stabilire con precisione che cosa ha provocato la morte di Sabrina Nardella (nella foto), 38 anni, madre di due figli piccoli, deceduta giovedì scorso nella clinica privata Iatropolis di Caserta durante un intervento di chirurgia estetica. La donna, residente a Gaeta, si era recata in Campania per sottoporsi a quello che le era stato prospettato come un intervento di routine, in anestesia locale e in day hospital.
Il malore improvviso e le indagini in corso
Durante l’operazione, però, Sabrina ha avuto un improvviso malore che l’ha portata a perdere conoscenza. I medici hanno tentato la rianimazione, ma ogni tentativo è stato vano. I vertici della clinica hanno subito avvertito i carabinieri, che su disposizione della Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno sequestrato la cartella clinica e identificato l’équipe medica. I componenti saranno presto iscritti nel registro degli indagati in vista dell’autopsia, che servirà a chiarire cause e responsabilità.
Una comunità sconvolta dal dolore
La città di Gaeta è sotto shock. Il sindaco Cristian Leccese ha ricordato Sabrina con parole di grande commozione: «Era una persona dolce, un’ottima madre, conosciuta e stimata da tutti. La sua improvvisa scomparsa ha lasciato un profondo vuoto nella nostra comunità».
I precedenti inquietanti della clinica
La clinica Iatropolis non è nuova a casi simili. Un anno fa, la pianista Annabella Benincasa è morta dopo 14 anni di stato vegetativo, conseguenza di uno shock anafilattico subito nel 2010 proprio in questa struttura. In quell’occasione, i medici furono condannati per lesioni gravissime. Altri episodi di reazioni avverse all’anestesia si sono verificati negli anni, alimentando polemiche sulla sicurezza degli interventi praticati nella clinica.
E’ un 51enne di Calvizzano (Napoli) l’uomo trovato senza vita nel lago di Lucrino a Pozzuoli. La salma è stata sequestrata per esami autoptici. Tra le ipotesi più accreditate c’è quella di un malore.
Secondo il testo liturgico che definisce le regole e le modalità di cosa avviene dopo la morte di un Papa – l’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis -, il Conclave inizia tra il 15/o e il 20/o giorno dal decesso, quindi tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Oppure tra il 6 e l’11 maggio se si conta dal giorno successivo alla morte. Anche questo ‘busillis’ sarà risolto domattina, quando la quinta congregazione generale dei cardinali stabilirà la data definitiva. Il calendario della settimana prevede congregazioni la mattina alle 9.00 e, nel pomeriggio alle 17.00, le messe dei ‘novendiali’ nella Basilica vaticana: il ciclo dei nove giorni di suffragio, iniziato ieri con la messa esequiale presieduta in Piazza San Pietro dal cardinale decano Giovanni Battista Re, si esaurirà domenica 4 maggio.
Dopo di che il possibile ingresso in Sistina e l'”extra omnes” che apre il Conclave. I 135 ‘elettori’ (134 considerando il forfait per motivi di salute del cardinale di Valencia Antonio Canizares Llovera) stanno convergendo a Roma. Molti si conosceranno direttamente nelle congregazioni, dove, in tema di strategie che porteranno all’elezione del nuovo Papa, conterà molto anche il peso di non-elettori, cioè i cardinali ‘over-80’, che mantengono la loro capacità di influenza e di orientare consensi. Una sorta di ‘grandi elettori’, insomma, anche se poi nel chiuso della Sistina ognuno risponde a sé stesso e, secondo quello che è il metro cattolico, allo Spirito Santo. Tra questi ‘grandi vecchi’ c’è sicuramente il 91/enne decano Re, mentre non si sa tra gli italiani quanto potranno esercitare un ruolo di indirizzo ex presidenti Cei come Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
Fra gli stranieri con capacità di spostare voti, e non presenti in Conclave, ci sono il cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, il più attivo promotore della lotta agli abusi sessuali, quello di Vienna Christoph Schoenborn, fine teologo ex allievo di Joseph Ratzinger e fiduciario di papa Bergoglio in ruoli-guida di vari Sinodi come quelli sulla famiglia, o l’ex prefetto dei vescovi, il canadese Marc Ouellet, influente anche in America Latina, da ex presidente della Pontificia Commissione competente. Intanto oggi, la scena tra i ‘papabili’ è stata tutta per Pietro Parolin, già segretario di Stato, che ha presieduto in Piazza San Pietro la seconda messa dei ‘novendiali’, davanti ai 200 mila partecipanti al Giubileo degli adolescenti.
Da stretto collaboratore di papa Bergoglio, la sobrietà, il piglio sicuro ma anche affabile e umano con cui ha portato avanti la celebrazione ha ricordato quelli dell’allora prefetto per la Dottrina della fede e decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger nell’officiare venti anni fa i funerali di Giovanni Paolo II, uscendone come l’unico vero candidato alla successione. Nella messa di oggi, in cui ha assimilato la tristezza, il turbamento e lo smarrimento per la morte di Francesco a quelli degli “apostoli addolorati per la morte di Gesù”, Parolin è come se avesse esposto sinteticamente una sorta di suo ‘programma’, sulla scia del grande pontificato appena concluso. Ha spiegato che l'”eredità” del Pontefice “dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri”.
“Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco”, ha sottolineato, a proposito di un Pontefice che alla misericordia dedicò anche un Anno Santo straordinario. Papa Francesco “ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita”. Una misericordia che è guida anche nell’azione diplomatica della Santa Sede, come si è visto ancora ieri nell’incontro in Basilica tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, in una foto che ha fatto il giro del mondo ed è rimasta l’emblema della giornata: non pochi l’hanno definita “l’ultimo miracolo di papa Francesco”.
Zelensky ieri ha anche incontrato proprio Parolin, capo della diplomazia d’Otretevere, ringraziando poi su X “per il sostegno al diritto dell’Ucraina all’autodifesa e al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al Paese vittima”. E oggi, per l’incontro in Basilica, l’ambasciatore ucraino Andrii Yurash ha riconosciuto con l’ANSA “il grande sostegno della Santa Sede”.