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Economia

Licenziamenti, governo apre a interventi per settori

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Intervenire in modo selettivo sul blocco dei licenziamenti, prorogandolo solo per i settori piu’ in crisi. Il governo apre all’ipotesi, ma la palla passa al Parlamento. Anche perche’ se il Pd con il ministro del Lavoro Andrea Orlando si dice disponibile a percorre questa strada, la Lega non parla con una voce sola: il ministro Giancarlo Giorgetti ci sta, ma il leader Matteo Salvini rivendica “assoluta sintonia” con il punto di equilibrio trovato dal premier Mario Draghi. Mentre il M5s sembra sposare la linea dei sindacati, che vogliono la proroga del blocco. In pratica: fra la formula scelta dal governo – che apre ai licenziamenti da luglio, ma frenandoli in base alla cig – e la richiesta dei rappresentanti dei lavoratori, alla fine la strada potrebbe essere quella di un prolungamento per le filiere piu’ in crisi – come il tessile e il calzaturiero – con uno sblocco invece per quelle in ripresa, come l’edile, baciato dal superbonus. Palazzo Chigi segue gli sviluppi: a breve il terreno di gioco si spostera’ in Parlamento – e’ il ragionamento – sara’ quello il luogo in cui le varie forze politiche dovranno cercare una sintesi. “C’e’ una coalizione ampia in cui si tratta di tenere insieme posizioni anche diverse – ha spiegato il ministro dem Orlando – ho visto che si sta facendo strada un ragionamento sulla selettivita’ rispetto ad alcune filiere. Se questo ragionamento c’e’ io sono pronto. Ma i tempi sono stretti”. Nei giorni scorsi, anche il ministro allo Sviluppo Economico, il leghista Giancarlo Giorgetti, ha detto che il blocco dei licenziamenti andrebbe “declinato piu’ utilmente sui settori: ad esempio il tessile avra’ una uscita piu’ lenta rispetto ad altri”. Diversa la linea del leader della Lega, Matteo Salvini: “I settori che crescono, che corrono, hanno bisogno di assumere, non di licenziare – ha detto – Penso all’industria e all’edilizia, che devono tornare a essere liberi di agire sul mercato. Mentre i settori che hanno sofferto di piu’, penso al commercio, ai servizi, al turismo, avranno tempo fino a ottobre per organizzarsi”. I sindacati restano fermi sulla richiesta di proroga a ottobre. E sulla “selettivita’” c’e’ chi rileva qualche difficolta’, soprattutto sulla possibilita’ tecnica di definire i perimetri delle varie filiere. C’e’ poi il timore dei tempi: il blocco dei licenziamenti scade il 30 giugno. Il Parlamento puo’ intervenire nel dl sostegni Bis, all’esame della commissione Bilancio alla Camera, ma le cui eventuali modifiche entrerebbero in vigore solo a fine luglio. Il rischio, quindi, e’ che i tempi non siano allineati. Anche per questo i sindacati stanno portando avanti una serie di vertici con le forze politiche di maggioranza. L’incontro piu’ ‘sostanzioso’ della giornata doveva essere quello al Nazareno con i vertici del Pd, che pero’ e’ stato interrotto all’arrivo della notizia della morte di Guglielmo Epifani. Il segretario dem, Enrico Letta, e i leader di Cgil Maurizio Landini, Cisl Luigi Sbarra e Uil Pierpaolo Bombardieri si sono presentati insieme davanti ai cronisti, di fronte alla sede del Pd, per esprimere il loro cordoglio: “E’ una notizia drammatica. E’ una giornata tristissima”, ha detto il segretario dem. In mattinata, Cgil, Cisl e Uil avevano incontrato i capigruppo M5s in commissione Lavoro di Camera e Senato. “C’e’ la necessita’ di prolungare il blocco per alcuni mesi”, hanno spiegato gli esponenti Cinque Stelle. Tanto che Landini ha accolto con favore “la loro disponibilita’ a presentare emendamenti che vadano nella direzione delle nostre richieste”. Malgrado l’apparente avvicinamento, fra gli alleati restano i sospetti. “C’e’ una continua girandola da parte della Lega, la posizione del Pd invece e’ stata chiara – ha detto il vicesegretario del Pd Peppe Provenzano – Direi che quello della Lega e’ un atteggiamento irresponsabile, ogni giorno cambiano posizione. Giorgetti non e’ un opinionista, e’ il ministro dello Sviluppo Economico, e’ lui che deve indicare i settori che vanno protetti”.

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Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

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In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

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Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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