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L’avvocato di Autostrade si commuove e chiede l’assoluzione dei 12 imputati che assiste. I 40 morti di Avellino? Colpa dell’autista morto nell’incidente

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“Gli standard di sicurezza delle barriere laterali sul viadotto Acqualonga garantivano una elevata capacità di contenimento a livello internazionale,  adeguata a quella massima prevista dalla normativa, pari alle barriere H4, di ultima generazione” è quanto sostiene in aula, in Tribunale, ad Avellino, l’avvocato di Autostrade Giorgio Perroni, che a fine requisitoria, quando ha chiesto al Tribunale l’assoluzione “doverosa” per tutti i suoi assistiti, si è commosso o comunque sembra che si sia commosso. A chi gliel’ha chiesto a fine udienza se le sue fossero lacrime o altro, ha risposto che si è commosso perchè sono state fatte richieste sproporzionate di condanne per i suoi assistiti che sono tutti innocenti.  Il legale, Perroni, difende tutti gli imputati di Autostrade per l’Italia. Ne sono 12 tra dirigenti e funzionari trascinati alla sbarra del Tribunale dalla procura di Avellino per la strage del 28 luglio 2013. Sulla A16, 40 morti per la caduta del bus dei pellegrini che rientravano da un viaggio di fede a Pietrelcina, il paese di Padre Pio, che incontrarono la morte sul viadotto Acqualonga. Perrone ha sostenuto che il “degrado dei tirafondi, riscontrato nel 2013 in seguito all’incidente, fenomeno non prevedibile, né previsto, non è da ritenere la causa che ha provocato il cedimento della barriera, né che sia determinante rispetto a quanto accaduto”.

Giorgio Perroni. Legale di Autostrade per l’Italia, uno dei più bravi penalisti del Paese

È evidente che esistono perizie che dicono esattamente il contrario ma Perrone fa gli interessi di Autostrade. Ed Autostrade per l’Italia ha tutto l’interesse a chiudere il processo per la strage più grave sulle strade italiane (dopo quella recente con 43 morti, sempre con Autostrade sul banco degli accusati, a Genova, viadotto Polcevera, 14 agosto di quest’anno) puntano sulle condizioni di uso del pullman caduto. “Tutti gli elementi emersi dal dibattimento indicano in modo inequivocabile quanto siano state determinanti le condizioni del mezzo pesante, che non avrebbe dovuto circolare e che non avrebbe mai potuto superare la revisione, la cui falsificazione è stata accertata in modo inequivocabile”. Il pullman, che aveva già percorso quasi un milione di chilometri “viaggiava con la valvola di sicurezza del sistema frenante manomessa, con pneumatici usurati e di marche diverse e il giunto cardanico mai sottoposto a controlli o revisioni, così come confermato dall’ispettore della polizia stradale Oreste Bruno. Infine necessitava di interventi di riparazioni importanti e costosi, stimati nella perizia consegnata dalla procura di Avellino intorno ai 15-18mila euro”. Insomma per l’avvocato Perrone, se proprio si debbono trovare delle responsabilità in questa strage, vanno ricercate nel comportamento dell’autista del bus morto nell’incidente e nei titolari della società che ha organizzato il viaggio. Perchè il tratto di autostrada, a sentire Perrone, era sicuro. Anzi l’avvocato Perroni ha precisato che la delibera del consiglio di amministrazione di Autostrade sulla manutenzione delle barriere, rispetto alla quale viene chiamato in causa nel processo l’ad Giovanni Castellucci, “accoglieva integralmente le richieste delle strutture tecniche e stanziava risorse importanti (pari a 138 milioni di euro), idonee a consentire ai progettisti di intervenire su tutte le barriere, non limitando la riqualifica alle barriere cosiddette di primo impianto, ma consentiva di intervenire anche su quelle già sostituite in passato (cosiddette di secondo impianto) come quelle del viadotto Acqualonga”.  Rispetto a quell’estate lettura e alla commozione del legale di Autostrade, insorge il difensore di Lametta, il penalista napoletano Sergio Pisani.

“Rabbrividisco alle affermazioni del legale di Autostrade che si commuove per i suoi assistiti e non per le 40 vittime scomparse proprio per colpa di costoro.  Non sono io a dirlo – precisa Pisani – ma ben 6 periti tra cui anche il superperito nominato dal Tribunale. Come dissi in discussione la colpa di questo disastro é di Autostrage per l’Italia Società per omissioni” conclude.

 

Viadotto dell’Acqualonga. Il luogo dove il bus precipitò e fece strage

Il procuratore di Avellino Rosario Cantelmo nel corso della requisitoria aveva chiesto dieci anni di reclusione per l’amministratore delegato di Autostrade  Giovanni Castellucci, dieci anni per il direttore di tronco, Paolo Berti, dieci anni per l’ex direttore generale Riccardo Mollo e la stessa pena per gli altri nove dirigenti ed ex dirigenti della società Michele Renzi, Nicola Spadavecchia, Bruno Gerardi, Michele Maietta, Gianluca De Franceschi, Gianni Marrone, Massimo Fornaci, Marco Perna e Antonio Sorrentino. L’accusa è per tutti di concorso in disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Mentre nell’udienza ancora precedente, il pm Cecilia Annecchini, aveva chiesto alla fine della sua requisitoria, la condanna a 12 anni di reclusione per Gennaro Lametta, proprietario del bus volato giù dal cavalcavia, 12 e 9 anni di reclusione rispettivamente per Antonietta Ceriola e Vittorio Saulino, dipendenti della Motorizzazione Civile di Napoli, accusati di aver falsificato la revisione del bus. La prossima udienza è fissata per il 30 novembre.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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