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Esteri

L’adesione alla Nato, un processo a tappe

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 La ‘magna carta’ della Nato e’ il Trattato di Washington, firmato dai Paesi fondatori nell’aprile del 1949 e da allora mai emendato. L’attuale politica delle ‘porte aperte’ dell’Alleanza – adottata solo dopo la pubblicazione del documento sull’allargamento del 1995 – si basa sull’articolo 10 del trattato, che regola i meccanismi di adesione degli aspiranti membri. Ma non prevede nessuna ‘procedura rapida’, al contrario di quanto chiesto dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’articolo-chiave sul punto recita: “Le parti possono, su accordo unanime, invitare qualsiasi altro Stato europeo in grado di promuovere i princi’pi del presente trattato e di contribuire alla sicurezza della regione nord-atlantica con la sua adesione”. Nella prassi, sono i Paesi a dichiarare il loro interesse a far parte dell’Alleanza. Da qui segue il primo passaggio: il dialogo intensificato con il quartier generale per verificare la genuinita’ delle aspirazioni e lo status delle relative riforme. Il documento sull’allargamento del 1995, che segue la caduta dell’Unione Sovietica e riconosce alla Nato un cambiamento di ruolo e di prospettiva, richiede infatti agli aspiranti membri di avere “un sistema politico democratico funzionante basato su un’economia di mercato, l’equo trattamento delle minoranze”, mostrare un “impegno per la risoluzione pacifica dei conflitti” nonche’ “la capacita’ e la volonta’ di dare un contributo militare alla Nato”. Il secondo passaggio e’ l’apertura del Membership Action Plan (o MAP), ovvero il programma che aiuta l’aspirante membro ad allinearsi ai requisiti necessari per entrare nell’Alleanza (e che pero’ non garantisce la certezza dell’adesione). Il primo passaggio formale e reale resta l’invito da parte degli Alleati “a iniziare i colloqui di adesione con la Nato”. Si tratta di un meccanismo che prevede diverse fasi: “negoziati” al quartier generale di Bruxelles con gli emissari del Paese richiedente, “conferma” dell’accettazione degli obblighi e degli impegni sotto forma di una lettera d’intenti e il “calendario di riforme”. La Nato allora prepara i protocolli di adesione al Trattato di Washington. Perche’ il processo sia completato, pero’, ci vogliono altri due passaggi. I governi degli Stati membri devono ratificare i protocolli, secondo i loro requisiti e procedure nazionali (variano da Paese a Paese). Infine l’aspirante membro deve ratificare a sua volta l’adesione. Svezia e Finlandia, ad esempio, stanno attendendo l’ok di Ungheria e Turchia, gli ultimi due alleati che mancano al via libera definitivo. Insomma, basta che uno dei trenta membri (presto 32) esprima un veto, in qualsiasi fase prima della ratifica finale, e il processo si blocca (o non parte).

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esteri

Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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