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Corona Virus

La variante Omicron corre, “serve un nuovo vaccino”

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Casi quadruplicati in quattro giorni e picco di ricoveri di bimbi con meno di cinque anni. I dati che arrivano dal Sudafrica mostrano la corsa della variante Omicron e l’incredibile capacita’ di mutare di un virus per il quale gli attuali vaccini potrebbero a breve non bastare piu’. Almeno stando all’allarme lanciato dal fondatore di BioNtech Ugur Sahin, convinto che potrebbe essere necessario un siero ad hoc per bloccare l’incredibile ritmo della nuova variante. Un allarme almeno in parte mitigato dai dati dell’Oms che, a fronte dell’impennata dei contagi, segnala quella che pare una minore aggressivita’ di Omicron: “Non e’ ancora stato segnalato alcun decesso” legato alla variante, nonostante abbia raggiunto gia’ 38 Paesi nel mondo. Quel che e’ certo e’ che il sovrapporsi di Omicron e Delta sta riavvolgendo il nastro dell’incubo dello scorso anno e in molti Paesi europei si sta cercando un difficile equilibrio tra protezione contro la nuova ondata e salvaguardia di economie gia’ messa a dura prova da quasi due anni di pandemia. Ci ha provato la Svizzera che, per non rinunciare alla stagione sciistica, fondamentale per le casse del Paese, ha tolto la quarantena per i turisti in arrivo, raddoppiando pero’ i test anticovid. E continua a farlo la Gran Bretagna che, dopo aver anticipato la terza dose, nonostante i 50.584 i contagi censiti nelle ultime 24 ore ha invitato a non rinunciare al cenone di Natale con amici e parenti. Mentre la Francia (che e’ tornata a quasi 50mila contagi giornalieri e oltre 2mila ricoveri in terapia intensiva), di fronte all’aumento dei contagi dei bambini che a inizio pandemia sono apparsi quasi naturalmente immuni ha sdoganato la vaccinazione per quelli tra i 5 e gli 11 anni a rischio di contrarre forme gravi della malattia. Si partira’ a meta’ dicembre, mentre a gennaio, ha spiegato il ministro della Salute, Olivier Veran la vaccinazione verra’ probabilmente estesa agli altri bambini della stessa fascia d’eta’ in modo “progressivo e facoltativo”. La Germania invece, dopo aver deciso i lockdown per i non vaccinati, ha dichiarato Polonia e Svizzera ad alto rischio per l’elevato numero di contagi, imponendo la quarantena a chi arriva. Ma quello che colpisce maggiormente e’ proprio la rapidita’ di mutazione del virus. “Il fatto che muti non e’ niente di nuovo – ha spiegato Ugur Sahin – ma accade piu’ velocemente di quanto mi fossi aspettato, quello che sta succedendo ora me lo sarei aspettato per il prossimo anno”. Per questo secondo il fondatore di BioNtech, che con Pfizer produce uno dei vaccini piu’ efficaci in circolazione, potrebbe essere necessario un nuovo siero. Anche se i tempi non saranno brevi e la quarta ondata, secondo Sahin, non si potra’ interrompere facendo affidamento sul nuovo vaccino: “Lo sviluppo e’ molto complesso, si articola in molte fasi e dura circa 100 giorni”. L’unico modo per rallentare la corsa del Covid resta quindi al momento il vaccino attuale (che anche nei casi in cui non impedisce il contagio, ne attenua gli effetti) potenziato con i richiami a raggio sempre piu’ ridotto. Dopo la Gran Bretagna anche la Grecia ha deciso di ridurre a tre mesi l’intervallo tra la seconda e la terza dose, mentre altri Paesi stanno puntando sui 5 mesi. E in Italia il coordinatore del Cts Franco Locatelli ha gia’ iniziato a parlare di quarta dose, come nel Regno Unito, definendola “una possibilita’ concreta”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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