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Cronache

La scelta di Becciu: io innocente ma non sarò in conclave

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Il cardinale Angelo Becciu il prossimo 7 maggio non entrerà in conclave. La sua comunicazione ufficiale, dopo le indiscrezioni della giornata di ieri, è arrivata questa mattina: “Avendo a cuore il bene della Chiesa, che ho servito e continuerò a servire con fedeltà e amore, nonché per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave, ho deciso di obbedire come ho sempre fatto alla volontà di Papa Francesco di non entrare in conclave pur rimanendo convinto della mia innocenza”. Poche righe per ribadire la sua posizione, ovvero che è innocente, ma anche per fare quel passo indietro che non solo i suoi avversari, ma all’ultimo momento anche i cardinali a lui più vicini, gli avevano chiesto, per evitare voti e spaccature. Secondo quanto si apprende la decisione è rimasta aperta fino alla tarda serata di ieri. Poi il cardinale ha deciso di mettere lui stesso fine alla vicenda conclave.

Questo non chiude tuttavia lo strascico di polemiche e indiscrezioni che ha sempre accompagnato la vicenda giudiziaria del cardinale sardo. Il programma le Iene di Mediaset in scaletta ha un audio teso a dimostrare il “complotto”, come lo definisce il fratello Mario che rilancia sui suoi profili social l’annuncio della nuova puntata. Ed è questa solo la prima uscita, a poche ore dall’annuncio dello stesso cardinale sulla sua non partecipazione al conclave. Già il quotidiano Il Domani aveva pubblicato le chat, che erano state omissate dai magistrati vaticani, tra la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui e la sodale di mons. Alberto Perlasca, Genoveffa Ciferri, nelle quali Chaouqui anticipava i dettagli dell’inchiesta e degli interrogatori.

Era metà aprile e Becciu commentava: “Sin dal primo momento ho parlato di una macchinazione ai miei danni: un’indagine costruita a tavolino su falsità, che cinque anni fa ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali. Ora, finalmente, spero che il tempo dell’inganno sia giunto al termine”. Questa sera a Le Iene anche audio inediti sempre nel filone, spinto dai legali del cardinale, che vuole dimostrare che il maxi-processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede era inquinato dall’inizio. Ma il Papa nei giorni del ricovero al Gemelli comunque aveva deciso che il cardinale Becciu non doveva entrare in conclave e aveva siglato con un ‘F’ la disposizione in tal senso, mostrata in questi giorni al cardinale da Pietro Parolin. Becciu per tutto il pomeriggio di ieri sarebbe stato chiuso con i suoi avvocati che, secondo quanto si apprende, ponevano dubbi sul fatto che quell’appunto del Papa bastasse sotto il profilo del diritto canonico a tenere Becciu fuori dall’elezione del nuovo Papa. Poi è prevalsa la decisione di farsi da parte, comunicata ufficialmente appunto stamattina, anche perché gli stessi cardinali più vicini lo avrebbero consigliato in questo senso

. Il voto rischiava di spaccare il collegio prima ancora di entrare nella Sistina per il conclave. Questa mattina, all’ingresso della congregazione generale, trapelava una certa insofferenza da parte dei cardinali per il perdurare di questa situazione. “Dovete chiedere a lui”, ha risposto il cardinale argentino Angel Sixto Rossi, ai giornalisti che chiedevano lumi sul caso, considerato che in quel momento non era arrivata ancora una nota ufficiale. “Di Becciu non possiamo parlare”, diceva il cardinale di Baghdad, Raphael Sako. Mentre il cardinale austriaco Cristoph Schoenborn dribblava i cronisti con una battuta: “Avete visto che bel tempo c’è oggi?”.

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Tragedia a San Gregorio di Catania: muore 23enne, il padre fermato per omicidio

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Durante una festa per un diciottesimo compleanno nella villa di famiglia, Carlo La Verde è stato colpito a morte da un proiettile esploso dalla pistola del padre durante una colluttazione. Il 62enne Natale La Verde è stato fermato con l’accusa di omicidio volontario.

Una festa trasformata in incubo

La villa l’avevano chiamata Heaven, paradiso. Una splendida proprietà con vista mare a San Gregorio, nel catanese, dove da tempo la famiglia La Verde organizzava feste ed eventi. Sabato sera, durante un diciottesimo, il paradiso si è trasformato in teatro di una tragedia.

Secondo le prime ricostruzioni, un gruppo di ragazzi non invitati si sarebbe introdotto nel locale, generando tensioni tra gli imbucati e gli invitati. Tra questi anche Carlo La Verde, 23 anni, figlio del proprietario, che insieme ad alcuni amici avrebbe provato a farli uscire.

I colpi partiti dalla pistola del padre

Allarmato dalle urla, Natale La Verde, 62 anni, padre di Carlo, avrebbe afferrato una pistola 357 Magnum appartenente alla famiglia, regolarmente denunciata, e avrebbe sparato in aria per intimidire. Ma nel tentativo di disarmarlo da parte dei presenti, è scoppiata una colluttazione. Nella confusione, sono partiti due colpi: uno ha colpito mortalmente Carlo all’addome, l’altro ha ferito lievemente a un piede un 31enne.

Carlo, studente universitario di Economia e Impresa, appassionato di sport e viaggi, è morto sul colpo. Inutili i soccorsi del 118, che hanno trovato un clima di altissima tensione.

Il fermo e le indagini

Il padre è stato fermato dai carabinieri per omicidio volontario. La pistola, appartenuta al nonno della vittima, è stata sequestrata. A condurre le indagini saranno anche gli esperti della Sezione investigazioni scientifiche del comando provinciale di Catania.

Sotto esame anche le tensioni scoppiate all’arrivo dei soccorsi: alcuni amici della vittima avrebbero aggredito il personale del 118, accusato di essere arrivato in ritardo. «Ci state impedendo di aiutare chi ha bisogno di noi», hanno replicato i sanitari.

Le reazioni e lo sciopero simbolico

Il presidente della Seus 118, Riccardo Castro, ha parlato di «un ennesimo atto di violenza che suscita preoccupazione e indignazione». Il direttivo Coes Sicilia, che rappresenta gli autisti soccorritori, ha indetto uno sciopero simbolico di tre ore per il 1° maggio: sarà affissa una locandina di protesta sui mezzi, ma il servizio di emergenza sarà comunque garantito.

Intanto, il sindaco di San Gregorio, Sebastiano Sgroi, ha definito quanto accaduto «una tragedia che lascia senza parole» e che ha colpito «una famiglia nota e perbene».

 

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Cronache

Ponte sullo Stretto, il vice della Dna Michele Prestipino indagato per rivelazione di segreti d’ufficio

L’accusa riguarda un presunto scambio di informazioni riservate sulle inchieste antimafia in corso. Revocate le deleghe, il magistrato si è avvalso della facoltà di non rispondere.

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Dalle indagini ancora aperte della Procura di Caltanissetta sulle stragi di mafia del 1992 è nato un nuovo filone giudiziario con possibili conseguenze dirompenti. Il protagonista è Michele Prestipino (foto Imagoeconomica in evidenza), attuale procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia (Dna), finito sotto inchiesta per violazione di segreto d’ufficio. L’accusa è legata non agli eventi di trent’anni fa, ma a un presunto scambio di informazioni riservate su inchieste in corso relative a infiltrazioni della ‘ndrangheta nei lavori del ponte sullo Stretto di Messina.

Le accuse: “Rivelò informazioni riservate a De Gennaro e Gratteri”

Secondo quanto comunicato dal procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca, Prestipino avrebbe rivelato dettagli riservati delle indagini in corso a Giovanni De Gennaro, ex capo della Polizia e presidente del consorzio Eurolink, e a Francesco Gratteri, ex direttore del Servizio centrale anticrimine e oggi consulente della Webuild. L’incontro incriminato risale al 1° aprile, in un ristorante del centro di Roma. In quell’occasione, il magistrato avrebbe parlato anche dell’uso di intercettazioni e di altri particolari investigativi rilevanti, rischiando di compromettere le inchieste in corso.

L’accusa più grave riguarda l’aggravante di favoreggiamento dell’associazione mafiosa, poiché si ipotizza che Gratteri, per conto anche di De Gennaro, possa aver allertato alcuni soggetti coinvolti nelle indagini.

La microspia e le indagini sul Ponte

La rivelazione delle informazioni sarebbe stata registrata da una microspia che gli investigatori avrebbero installato per altre finalità, forse legate alle indagini ancora in corso sulla strage di via D’Amelio e sulla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Da quelle intercettazioni sarebbe emerso che Prestipino avrebbe informato i due prefetti in pensione sull’interesse delle cosche calabresi agli appalti del Ponte, un’infrastruttura sotto la lente di diverse Procure, anche del Nord, coordinate dalla Dna.

Revoca delle deleghe e silenzio difensivo

Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ha revocato a Prestipino, «con effetto immediato», le deleghe relative al coordinamento delle inchieste sul Ponte, adottando inoltre ulteriori misure per proteggere la riservatezza e l’efficacia delle attività della Dna, come comunicato al Csm e al procuratore generale della Cassazione.

Ieri Prestipino si è presentato a Caltanissetta ma si è avvalso della facoltà di non rispondere, come consigliato dal suo legale Cesare Placanica, il quale ha sollevato dubbi sulla competenza territoriale della Procura di Caltanissetta, sottolineando che il presunto reato sarebbe avvenuto a Roma. Il legale ha aggiunto che, chiariti questi aspetti, sarà la difesa a chiedere un interrogatorio, convinta che sarà agevole chiarire ogni punto.

Le parole della difesa

Placanica ha precisato che la conversazione è avvenuta non con imprenditori o soggetti mafiosi, ma con due ex alti funzionari dello Stato, noti per il loro contributo alla lotta alla criminalità organizzata. Ha definito «lunare e privo di ogni aderenza alla realtà» qualsiasi accostamento tra Prestipino e la mafia, ricordando la sua carriera trentennale nell’antimafia a Palermo, Reggio Calabria e Roma.

Una vicenda delicata, con ricadute potenzialmente gravi

Al di là del merito dell’accusa e dell’esito del procedimento, la vicenda tocca nervi scoperti delle istituzioni: la tenuta delle indagini antimafia, la trasparenza nella gestione delle grandi opere pubbliche e la credibilità degli apparati dello Stato. Il caso Prestipino, insomma, va oltre l’aspetto giudiziario e apre scenari delicati per la magistratura e la politica.

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In auto al cellulare travolse ragazza, prete arrestato

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Distratto dal cellulare che stava usando mentre guidava a una velocità non adeguata alla strada che stava percorrendo, lo scorso 2 aprile don Nicola D’Onghia avrebbe travolto e trascinato per alcuni metri con la sua auto la 32enne Fabiana Chiarappa che si trovava a terra, ancora viva, dopo aver perso il controllo della moto, sulla strada statale 172, in provincia di Bari. E’ la tesi degli inquirenti che hanno arrestato il sacerdote a distanza di giorni dalla sua iscrizione nel registro degli indagati per omicidio stradale aggravato e omissione di soccorso. A far supporre agli investigatori che la 32enne, soccorritrice del 118 e rugbista, fosse ancora viva, sono anche i suoi guanti trovati sull’asfalto. Nei 20 secondi che ha avuto a disposizione per rendersi conto di quanto accaduto, se li sarebbe sfilati tentando di rialzarsi. Ma proprio in quel momento sarebbe stata travolta dalla Fiat Bravo guidata dal prete 54enne, riportando gravi ferite alla testa. All’arrivo dei soccorsi era già morta. Anche il suo casco è stato trovava lontano dal corpo.

Ad avvalorare la tesi dell’impatto con l’auto dopo la caduta ci sono anche le telecamere della zona che hanno registrato due rumori: il primo è quello della moto che rovina al suolo, il secondo è quello dell’impatto dell’auto con la ragazza. “Ho sempre insegnato a mia figlia a prendersi le sue responsabilità, non mi sembra che in questo caso qualcuno se le sia prese. Speriamo che la giustizia faccia il suo corso. Non riesco nemmeno a concepire tutta la situazione”, ha detto Adamaria Anna Doria la madre della 32enne uccisa nell’incidente. L’interrogatorio di garanzia del parroco, assistito dagli avvocati Vita Mansueto e Federico Straziota, si terrà domani alle 15 davanti al gip Nicola Bonante. Il prete, come emerso dall’analisi dei tabulati del suo telefono, nei secondi immediatamente precedenti all’impatto con il corpo di Chiarappa stava usando lo smartphone: prima impegnato in una telefonata, poi nei tentativi (non riusciti) di chiamare un’altra persona. L’ultimo tentativo risale a undici secondi prima dell’impatto con la 32enne. L’utilizzo del cellulare, per il gip, potrebbe aver distratto il prete al punto da non consentirgli la reattività necessaria per accorgersi della presenza sull’asfalto di Chiarappa, e quindi per frenare o scansarla. Diciotto secondi dopo averla urtata, D’Onghia si è fermato in una stazione di servizio per controllare eventuali danni all’auto. E qui, dopo essersi accorto dei danni riportati al paraurti, ha chiamato sua sorella per chiederle di andare a dargli una mano. In quella stazione di servizio, come accertato dagli inquirenti, D’Onghia è rimasto circa 45 minuti nel corso dei quali, come si vede nelle immagini delle telecamere del benzinaio, il parroco spesso si affaccia sulla strada, nota le macchine incolonnate sul luogo dell’incidente e le sirene dell’ambulanza. Ma non fa nulla e anzi, dopo essere stato aiutato dalla sorella e dal cognato, riprende l’auto e torna a casa.

Per questo, secondo il gip, la sua versione sul non essersi accorto di nulla, se non del rumore proveniente dal pianale dell’auto (“pensavo a una pietra, un sasso”, ha detto il sacerdote agli inquirenti) è inverosimile. Sulla sua macchina sono state inoltre trovate tracce di sangue riconducibili alla vittima e danni compatibili con l’impatto con il casco della vittima. A certificare come sia stato l’impatto con l’auto a provocare lesioni mortali a Chiarappa è stata l’autopsia che ha individuato nei politraumi da sormontamento le cause della morte. Un ruolo, nell’intera vicenda, l’ha avuto anche la velocità: quella a cui viaggiava Chiarappa, che le avrebbe fatto perdere il controllo della moto, e quella tenuta dal prete che è stata ritenuta “non adeguata”.

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