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La scacchista sfida l’Iran. Roma convoca l’ambasciatore

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La repressione in Iran non ferma il movimento di protesta che anzi guadagna una nuova protagonista: è Sara Khadim al-Sharia, la campionessa di scacchi che ha sfidato gli ayatollah giocando ai Mondiali in Kazakhstan senza indossare l’hijab, il velo obbligatorio. La foto della ragazza, 25 anni, davanti alla scacchiera con il suo ciuffo di capelli sberleffo ai conservatori iraniani ha fatto il giro del mondo proprio mentre a Teheran il presidente Ebrahim Raisi lanciava il suo anatema contro i dimostranti: “Non avremo nessuna pietà”. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani intanto ha convocato per domani l’ambasciatore iraniano Mohammad Reza Sabouri, accelerando i tempi: il diplomatico di Teheran è soltanto designato perché non ha ancora presentato le credenziali al Quirinale “ma la gravità della situazione in Iran ha indotto il governo a fare questo passo”, ha fatto sapere la Farnesina. Sara è solo l’ultimo coraggioso volto della rivolta che da oltre 100 giorni infiamma la Repubblica islamica.

Una ribellione su vasta scala iniziata con la morte di Mahsa Amini e presto divenuta un movimento di opposizione radicale al regime. Almeno 100 i dimostranti tra i migliaia arrestati che rischiano la pena di morte, 11 quelli già nel braccio della morte, denuncia l’Iran Human Rights (Ihr). “I nostri giudici sono assassini, l’intero sistema è corrotto”, è lo slogan che ora riecheggia nelle piazze, perché il più clamoroso “morte a Khamenei” è oramai scontato, mentre nelle strade ragazzi e ragazze continuano la protesta del colpo del turbante, far cadere con una manata il copricapo di un religioso – un tempo intoccabile – e pubblicare il video sui social network. “Non mostreremo misericordia ai nemici”, ha tuonato Raisi bollando le proteste come “un disturbo”. I dimostranti sono “ipocriti, monarchici, controrivoluzionari” e tutti coloro “che hanno subito un danno dalla rivoluzione”, ha detto davanti a una folla riunita a Teheran per un omaggio ai resti di 200 soldati uccisi durante la guerra Iran-Iraq del 1980-1988. “Le braccia della nazione sono aperte a tutti coloro che sono stati ingannati. I giovani sono i nostri figli”, ha concesso, ma “non avremo pietà per gli elementi ostili”.

Rivolto infine ai nemici storici della Repubblica islamica, in particolare Usa e Israele che fomenterebbero le rivolte, Raisi ha ammonito che “se pensate di raggiungere i vostri obiettivi diffondendo voci e dividendo la società, vi sbagliate”. Forse i suoi strali erano rivolti anche a Elon Musk che ha acceso quasi 100 dei suoi satelliti Starlink che potranno garantire accesso a internet e superare i blocchi imposti dal governo. Il capo di SpaceX ha voluto fare l’annuncio rispondendo al video sulle proteste di un utente Twitter. Teheran a stretto giro ha oscurato il sito di Starlink, un sistema che tuttavia per essere utilizzato ha bisogno di kit speciali che difficilmente verranno fatti entrare legalmente nel Paese.

Divampano intanto le polemiche per la morte della piccola Saha Etebari, la ragazzina di 12 anni colpita e uccisa a un posto di blocco della polizia mentre era in auto con i genitori: la Procura ha promesso un’inchiesta dopo che l’iniziale tesi dell’incidente messa in bocca al padre era sembrata sin troppo goffa. Bufera anche per il caso della moglie e della figlia della leggenda del calcio iraniano Ali Daei, costrette a scendere da un aereo per le posizioni critiche del calciatore, una mossa di rappresaglia che sta scatenando critiche in tutto il Paese. I riflettori sono accesi anche sugli appelli della madre di un giovane dimostrante accusato di aver ferito cinque Pasdaran, il 22enne Mohammad Qobadlou, la cui esecuzione – confermata il 24 dicembre – sarebbe imminente. Scacchisti, pattinatrici, scalatori, nuotatori, calciatori, attori, attrici, registi, gente comune: tutto in Iran sembra volgersi contro il potere centrale di Teheran, come forse non era mai accaduto dal 1979.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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