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Esteri

Carte secretate, fisco e 6 gennaio: le grane di Trump

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I documenti top secret non consegnati agli Archivi Nazionali, l’inchiesta su possibili frodi fiscali e l’indagine sul 6 gennaio e sui tentativi di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020. Le grane legali di Donald Trump continuano ad aumentare. E il raid senza precedenti dell’Fbi a casa dell’ex presidente a caccia di carte secretate – avvenuto nel 48mo anniversario delle dimissioni di Richard Nixon – si avvia a scrivere un nuovo capitolo della storia, oltre a gettare un’ombra sulla sua possibile candidatura nel 2024. Trattandosi di “territori inesplorati”, come tutti li descrivono, gli esperti legali sono divisi sulla perquisizione degli agenti federali a Mar-a-Lago e sulle sue implicazioni. Marc Elias, legale della campagna elettorale di Hillary Clinton nel 2016, parla di una “bomba nella politica americana” e ricorda come la legge stabilisce che chi ha in custodia i documenti governativi e volontariamente li “nasconde, falsifica o distrugge” commette un reato punibile con una condanna fino a tre anni di carcere e dovrebbe “essere interdetto dall’avere alcun incarico negli Stati Uniti”. Un’analisi che trova d’accordo lo storico presidenziale Michael Beschloss: “Se Donald Trump ha violato la legge vigente potrebbe non poter ricoprire piu’ un incarico federale”. Altri osservatori sono invece convinti che, anche se avesse violato la legge, Trump non dovrebbe essere interdetto da una possibile corsa alla presidenza nel 2024. Le norme vigenti, spiega il costituzionalista professore al South Texas College, sono state sviscerate e analizzate nel dettaglio nel 2015 quando Hillary Clinton fu accusata di aver usato un server privato per documenti e informazioni secretate. C’e’ poi chi nota come gli unici elementi discriminanti per la corsa alla presidenza sono cittadinanza, residenza e eta’. Posizioni diverse che mostrano il campo minato legale e politico in cui il Dipartimento di Giustizia e le autorita’ americane si trovano a operare. Mentre i repubblicani gridano allo scandalo e fanno muro in difesa di Trump, dietro le quinte i vari filoni di inchiesta contro l’ex presidente proseguono. C’e’ quello della procuratrice di New York Letitia James sulla societa’ di famiglia di Trump per accertare se abbia gonfiato o meno il valore dei suoi asset per spuntare condizioni finanziarie migliori. C’e’ la commissione di inchiesta sul 6 gennaio. E soprattutto ci sono le indagini del Dipartimento di Giustizia sui fatti che hanno portato all’assalto a Capitol Hill e sui tentativi di capovolgere l’esito del voto 2020. Un’inchiesta quest’ultima che si sta avvicinando all’ex presidente, nei confronti del quale comunque non e’ stata avviata alcuna indagine, e che avrebbe enormi implicazioni politiche a partire dalla prima incriminazione di un ex presidente.

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Putin ringrazia i soldati nordcoreani, ‘sono eroi’

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Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ringraziato in un messaggio i soldati nordcoreani che hanno preso parte alla “liberazione della regione di Kursk” dalle truppe d’invasione ucraine, definendoli “eroi”. Lo riferisce il servizio stampa del Cremlino.

“Il popolo russo non dimenticherà mai l’impresa delle forze speciali coreane, onoreremo sempre gli eroi coreani che hanno dato la vita per la Russia, per la nostra comune libertà, al pari dei loro compagni d’armi russi”, si legge nel messaggio di Putin. Il presidente russo sottolinea che l’intervento è avvenuto “nel pieno rispetto della legge internazionale”, in base all’articolo 4 dell’accordo di partenriato strategico firmato nel giugno dello scorso anno tra Mosca e Pyongyang, che prevede assistenza militare reciproca in caso di aggressione a uno dei due Paesi. “Gli amici coreani – ha aggiunto Putin – hanno agito in base a un senso di solidarietà, giustizia e genuina amicizia. Lo apprezziamo molto e ringraziamo con sincerità il presidente Kim Jong-un personalmente”.

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Trump: Zelensky vuole un accordo e rinuncerebbe alla Crimea. Putin smetta di sparare e firmi

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Volodymyr Zelensky è “più calmo” e “vuole un accordo”. È quanto ha riferito Donald Trump, secondo quanto riportato dai media americani, dopo il loro incontro avvenuto nella suggestiva cornice di San Pietro, a margine dei funerali di papa Francesco.

Un incontro positivo e nuove prospettive

Trump ha descritto l’incontro con il presidente ucraino come «andato bene», sottolineando che Zelensky sta «facendo un buon lavoro» e che «vuole un accordo». Secondo il tycoon, il leader ucraino avrebbe ribadito la richiesta di ulteriori armi per difendersi dall’aggressione russa, anche se Trump ha commentato con tono scettico: «Lo dice da tre anni. Vedremo cosa succede».

La questione della Crimea

Tra i temi toccati nel colloquio, anche quello della Crimea. Alla domanda se Zelensky sarebbe disposto a cedere la Crimea nell’ambito di un eventuale accordo di pace, Trump ha risposto: «Penso di sì». Secondo il presidente americano, «la Crimea è stata ceduta anni fa, senza un colpo di arma da fuoco sparato. Chiedete a Obama». Una posizione che conferma il suo approccio pragmatico alla questione ucraina.

L’appello a Putin: “Smetta di sparare”

Trump ha ribadito di essere «molto deluso» dalla Russia e ha lanciato un nuovo appello al presidente Vladimir Putin: «Deve smettere di sparare, sedersi e firmare un accordo». Il tycoon ha anche rinnovato la convinzione che, se fosse stato lui presidente, la guerra tra Mosca e Kiev «non sarebbe mai iniziata».

Un contesto suggestivo

Riferendosi all’incontro tenutosi a San Pietro, Trump ha aggiunto: «È l’ufficio più bello che abbia mai visto. È stata una scena molto bella». Un commento che sottolinea anche la forza simbolica del luogo dove i due leader si sono parlati, all’ombra della basilica vaticana.

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Media, due giornalisti italiani espulsi dal Marocco

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Due giornalisti italiani sarebbero stati espulsi ieri sera dalle autorità marocchine con l’accusa di aver cercato di entrare illegalmente nella città di Laayoune (El Aaiun). Lo rivela il quotidiano marocchino online Hespress. Matteo Garavoglia, 34 anni, giornalista freelance originario di Biella e collaboratore del ‘Manifesto’, e il fotografo Giovanni Colmoni, avrebbero tentato di entrare nella città marocchina meridionale al confine con la regione contesa del Sahara Occidentale “senza l’autorizzazione richiesta dalla polizia”.

I due erano a bordo di un’auto privata e, secondo quanto riporta il quotidiano marocchino, sarebbero stati fermati dagli agenti che hanno interpretato il tentativo di ingresso come un “atto provocatorio, in violazione delle leggi del Paese che regolano gli ingressi dei visitatori stranieri”. Sempre secondo l’Hespress, i due reporter avrebbero cercato di “sfruttare il fatto di essere giornalisti per promuovere programmi separatisti. Per questo sono stati fermati e successivamente accompagnati in auto nella città di Agadir”. Non era la prima volta che i due tentavano di entrare a Laayoune, secondo il quotidiano, ma sempre “nel disprezzo per le procedure legali del Marocco”.

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