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La manovra è legge, ora per il governo la sfida del Pnrr

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 La manovra divenuta legge mezz’ora prima della conferenza stampa di fine anno, “in anticipo di un giorno rispetto a quella degli ultimi due anni”. E il raggiungimento, annunciato alla vigilia, di tutti i target del 2022 che sbloccano la tranche da 19 miliardi di euro. Obiettivo raggiunto per il buon funzionamento della “staffetta” con il governo Draghi e della cabina di regia, festeggiato con la consapevolezza che “ora viene il difficile”, ossia la messa a terra delle risorse con i cantieri. Giorgia Meloni taglia questi due traguardi in tempo per la sua conferenza stampa di fine anno, in cui lascia intendere che i margini di movimento dei prossimi interventi, soprattutto sul dossier lavoro, sono legati alle risorse europee. L’Italia non ricorrerà al meccanismo del Mes, perché “finché io conto l’Italia non vi accederà mai”, ribadisce la premier. Ma spera di ricevere una parte di quelle “decine di miliardi” che “non verranno utilizzati” neanche dagli altri Paesi europei e che l’Ue – la convinzione – dovrebbe sbloccare per altre iniziative. C’è poi il Fondo sociale europeo destinato alla formazione, 8 miliardi avanzati della vecchia programmazione e 13 della nuova. Senza dimenticare le risorse del Pnrr.

“Molti soldi”, sottolinea Meloni, che possono aiutare a rimpiazzare il Reddito di cittadinanza. “Missione compiuta”, esulta il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti dopo la fiducia incassata anche al Senato, rivendicando una legge di bilancio che “privilegia e tutela i figli e le nuove generazioni, senza trascurare la stabilità dei conti pubblici”. C’è chi però la vede in maniera diversa, non solo le opposizioni. La Cgil calcola “solo 7-14 euro in più al mese” di benefici dal taglio del cuneo fiscale, “vantaggi scarsi per i redditi fino a 25mila euro”. “Alla prima prova seria l’esecutivo ha fallito. ‘Aridatece Mario'”, la sintesi romanesca di Carlo Calenda, nostalgico di Draghi. “Sotto l’albero di Natale avete fatto trovare 12 condoni per il valore di 1,6 miliardi”, l’accusa del Pd. E il M5s liquida come “bugie” la difesa sulla flat tax da parte di Meloni, secondo cui “non discrimina i lavoratori dipendenti”. Rispondendo a molte delle 43 domande, la premier fa scudo alle critiche, ribadendo anche la “fiducia” negli alleati di governo, con cui non sono mancate scintille in queste settimane convulse. Alla luce della nuova allerta Covid, aumenta la preoccupazione di chi denuncia tagli e mancati stanziamenti per la sanità. “Il parametro non può essere quello della pandemia, quando spendevamo in generale cose come 180 miliardi”, ribatte, “molto prudente” quando le si chiede se lo scostamento di bilancio possa servire.

“Sicuramente non lo farei mai a cuor leggero”. Di certo, confida negli effetti del tetto europeo al prezzo del gas: i provvedimenti contro il caro energia “costano in media 5 miliardi al mese, se cambia il quadro una parte di risorse potrebbe liberarsi” per altri capitoli. Altra colonna della manovra è la pace fiscale. “Non ci sono condoni”, taglia corto la leader di FdI. La misura salva-calcio nasce dalla sospensione dei pagamenti decisa dal precedente governo: “Noi diciamo, ci date i soldi ma con la rateizzazione e una maggiorazione del 3%”. Meloni evidenzia invece interventi “trascurati”, come le assunzioni all’Agenzia delle entrate o quello contro le aziende ‘apri&chiudi’, rivendicando le basi di “un nuovo tipo di dialogo con i contribuenti ma senza favorire l’evasione fiscale”, e sbandierando il diktat sulla riforma del catasto: “Nessun aumento delle tasse sulla casa”. Un approccio che sarà sviluppato nella riforma fiscale allo studio per il 2023, con la direttrice dichiarata di un taglio del costo del lavoro fino a cinque punti entro la legislatura. Per la premier, inoltre, la manovra è stata pensata anche per “metterci in sicurezza” dall’aumento dei tassi, e dopo le critiche di vari ministri alla Bce arriva anche il suo consiglio “a gestire bene la comunicazione, altrimenti si rischia di generare, non panico, ma fluttuazione sui mercati”.

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Stretta di FdI sui ballottaggi. La Lega punta sui salari

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Il centrodestra torna alla carica sulla battaglia per cancellare i ballottaggi dei sindaci delle grandi città (con più di 15 mila abitanti). Fallito il blitz di un mese fa al Senato, in forma di emendamento al decreto Elezioni, ci riprova con l’iter più tradizionale di un disegno di legge ad hoc, identico a quello. Martedì partirà l’esame in Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, forte anche della spinta di Fratelli d’Italia che guida la Commissione con il meloniano Alberto Balboni, che è anche relatore del provvedimento. Stesso ruolo che ha per il ddl per aumentare il numero di assessori e consiglieri regionali e di quello costituzionale per allungare a 90 i giorni per la conversione in legge dei decreti (oggi sono 60).

Insomma, la strategia è tracciata. Sui sindaci, dopo le polemiche innescate a inizio aprile dall’emendamento anti ballottaggi che la maggioranza presentò e ritirò subito dopo, per evitare la figuraccia di non essere ammesso (per scarsa attinenza al decreto Elezioni, dedicato alle prossime Amministrative e ai referendum), ora si cambia strada. Ma la meta è decisa, assicurano soprattutto i Fratelli d’Italia. Sottoscritto da tutti i capigruppo di maggioranza, il disegno di legge punta a dire addio al doppio turno che quasi mai ha portato fortuna ai propri candidati e chiede di eleggere al primo turno il candidato sindaco che abbia avuto almeno il 40% dei consensi, oltre a prevedere un premio alla lista o al gruppo di liste collegate a quel candidato. Obiettivo: blindarsi sempre più sui territori, approfittando del buon vento di oggi.

Occasione ancor più allettante per un partito come quello della premier Meloni, che vanta consensi alti, ma viene spesso additato per avere pochi dirigenti e amministratori. Una sfida condivisa dagli alleati. Compresi i leghisti, protagonisti spesso di distinguo, nella coalizione, come ad esempio sul riarmo europeo. Una questione che continua a dividere i tre partiti e che giovedì sarà sul tavolo del Consiglio supremo di difesa, convocato dal Quirinale. Nel breve, la Lega si concentra sui temi economici e scommette sui salari. Nell’aria da giorni, è il leghista Claudio Durigon, nella veste di sottosegretario al Lavoro, a spiegare al Corriere i dettagli della proposta di legge targata Lega che a breve sarà in Parlamento. Il partito di Matteo Salvini lancia il pressing, anche rispetto agli alleati, per garantire stipendi realmente adeguati all’inflazione crescente.

L’escamotage è quello di anticipare in busta paga i soldi in più che normalmente derivano dal rinnovo contrattuale e spesso in ritardo di anni. E sui costi della misura, Durigon replica: “I soldi li stiamo valutando. Troveremo soluzioni”. Parole su cui FdI glissa, pur condividendo la lotta. Fredda e più scettica Forza Italia. In primis, sulle coperture. Secondo i vertici economici di FI, la novità potrebbe costare almeno un miliardo e forse più. Inoltre, non convince il tema delle contrattazioni: da un lato si vorrebbe rafforzare la contrattazione e delegarla ai territori e dall’altro introdurre meccanismi centralizzati, è la critica degli azzurri. Alessandro Cattaneo, responsabile Dipartimenti di FI, chiama in causa il ministro dell’Economia: “Giorgetti dovrà esprimersi perché bisogna stimare quanto sia oneroso intervenire”. Parallelamente FI annuncia la prossima battaglia contro le morti e gli infortuni sul lavoro. Un ddl sarà presentato “prima dell’estate”, garantisce il viceministro alla Giustizia e forzista Francesco Paolo Sisto. (

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Mattarella convoca il Consiglio Supremo di Difesa giovedì 8 maggio

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Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha convocato il Consiglio Supremo di Difesa al Palazzo del Quirinale per giovedì 8 maggio 2025 alle ore 17. Lo comunica la Presidenza della Repubblica.”L’ordine del giorno prevede le “valutazioni sul Libro bianco della difesa europea, sulle infrastrutture strategiche nazionali, sull’adeguamento dello strumento militare e le prospettive per l’industria della difesa italiana”. Inoltre, il Consiglio esaminerà “l’evoluzione nelle principali aree di crisi con particolare riferimento ai conflitti in Ucraina e Medio Oriente ed alle iniziative di pace in ambito internazionale ed europeo”.

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Interrogazione parlamentare di Fratoianni: carabiniere denuncia chi canta Bella ciao

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“Chissà se il maresciallo dei carabinieri che ha denunciato, a Mottola in provincia di Taranto, 10 cittadini accusati di aver voluto cantare ‘Bella Ciao’ e ‘Fischia il Vento’ durante le celebrazioni del 25 aprile, sa che per liberare l’Italia dai nazisti e dai loro servi fascisti l’Arma dei Carabinieri ha perso quasi 3mila uomini. E chissà se ha compreso le parole utilizzate dall’attuale comandante generale che solo pochi mesi fa ricordando il sacrificio di Salvo D’Acquisto lo ha definito ‘un esempio luminoso di coraggio, abnegazione e amore per il prossimo, che supera i confini del tempo: un modello di riferimento per tutti i Carabinieri e per le future generazioni’. Evidentemente non lo sa o meglio non intende riconoscerlo”.

Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs in una nota. “Non comprendiamo ad esempio – prosegue il leader di SI – perché i suoi superiori non siano ancora intervenuti per sospenderlo dal servizio. La denuncia di cui si è fatto promotore è assolutamente inaccettabile e in contrasto con i valori costituzionali”. “È per questo che in attesa di conoscere i provvedimenti che intende assumere il Comando Generale, presenteremo un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno – conclude Fratoianni – su questa vicenda surreale e nello stesso tempo gravissima”.

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