Il governo è “aperto al dialogo con la magistratura”. Dal vertice a Palazzo Chigi, andato in scena mentre le toghe in tutta Italia scioperavano contro la riforma della giustizia, è uscita questa linea. Ma i margini di intervento sul testo, che ha superato il primo di quattro passaggi parlamentari, non si annunciano ampli, se è vero che sono considerati intoccabili i tre cardini: la separazione delle carriere dei magistrati, i due Csm distinti e l’Alta Corte disciplinare. Più facile, si ragiona nell’esecutivo, che si possa aprire un confronto sulle cosiddette ‘quote rosa’ e sul ‘sorteggio temperato’ dei componenti dei Csm.
La portata di queste assicurazioni di apertura al dialogo sarà più chiara il 5 marzo, quando Giorgia Meloni nel pomeriggio riceverà il nuovo presidente dell’Anm, Cesare Parodi. Un incontro preceduto poco prima da quello con i vertici dell’Unione Camere penali, dichiaratamente a favore della separazione fra giudici e pubblici ministeri. Sarà il primo faccia a faccia fra la premier è il presidente del sindacato dei magistrati, e con il predecessore di Parodi, Giuseppe Santalucia, la dialettica a distanza è stata piuttosto tesa. Mentre questo appuntamento è stato reso noto due settimane fa, quello con l’associazione di oltre 10mila penalisti è filtrato solo nelle ultime ore, dal vertice che si è riunito a Palazzo Chigi.
Al tavolo Meloni, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il guardasigilli Carlo Nordio, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il leader di Noi moderati Maurizio Lupi, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Nazario Pagano, e quelli delle commissioni giustizia di Camera e Senato, Ciro Maschio e Giulia Bongiorno. Una riunione finalizzata proprio a “preparare” quelle “consultazioni già programmate”, secondo quanto filtrato al termine di quello che è stato definito un “vertice di maggioranza”. Perché è vero che la riforma costituzionale in questo momento è nelle mani del Parlamento, dove il 16 gennaio è arrivato il primo via libera della Camera. Ma il pallino è decisamente in capo a Palazzo Chigi e Via Arenula, dove si conta di arrivare nel giro di qualche mese all’approvazione finale, seguita da un referendum considerato quasi inevitabile. “Nessuno vuole mettere le toghe sotto il controllo del governo”, ha assicurato Tajani.
La riforma “non è concepita contro i magistrati, ma nell’interesse dei cittadini”, la linea ribadita dalla maggioranza, “disponibile a un confronto costruttivo, con particolare attenzione al dialogo con l’Anm”. Decisivo, però, sarà il perimetro su cui il governo e la coalizione che lo sostiene accetteranno di modificare il testo. Su questo nulla è filtrato dal vertice di Palazzo Chigi. Tra i temi su cui c’è margine di confronto, però, a quanto spiegano fonti dell’esecutivo, ci sono i criteri di nomina dei componenti del Csm. Sono valutati come possibili interventi sia riguardo la norma sulla parità di genere, sia riguardo l’ipotesi di rendere “temperato” il sorteggio, per i laici, per i togati o entrambe le categorie. Era una soluzione inizialmente prevista dal disegno di legge Zanettin, poi accantonata quando il governo ha presentato il suo ddl costituzionale. Per i togati si prevedeva una platea scelta per requisiti, come l’assenza di provvedimenti disciplinari, da cui estrarre a sorte i candidati votabili dai magistrati. Per i laici, invece, il sorteggio temperato era da una platea di candidati scelti dal Parlamento.