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Economia

La lettera dell’Ue all’Italia: manovra economica rappresenta una deviazione dal Patto di Stabilità. E lo spread sale

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I commissari europei Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici sono quelli che consegnano la lettera con la quale la Commissione critica duramente il Documento di economia e finanza inviato dal Consiglio dei ministri a Bruxelles. Nella lettera, che diventa di dominio pubblico a Roma durante l’incontro tra il ministro al Tesoro, Giovanni Tria, e lo stesso Pierre Moscovici, il vicepresidente e il commissario agli Affari economici, vengono elencate una serie di criticità, secondo quanto ravvisato dalla Commissione Ue.
Il bilancio italiano – è scritto nella lettera dell’Ue – mostra una deviazione “senza precedenti nella storia del Patto di stabilità”, sia per il fatto che contempla una espansione vicina all’1% – mentre il Consiglio aveva invitato l’Italia a una correzione fiscale – sia per una deviazione dagli obiettivi pari all’1,5%. Alla luce di questi fattori, si profila “un non rispetto particolarmente serio con gli obblighi del Patto” e si chiede al Governo di dare una risposta ai rilievi entro lunedì 22 ottobre.

Moscovici e Dombrovskis ricordano che – con un debito al 130% del Pil e le attuali previsioni – l’Italia rischia di esser fuori dalla regola sul debito. In passato, l’ultima volta nel maggio 2018, quando fu giudicata la posizione tricolore si tenne conto del fatto che Roma era in regola con il bilancio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita e per questo non erano state adottate sanzioni. Ma ora “la conclusione del report” sull’Italia “in base all’Articolo 126 potrebbe esser rivista”, qualora non fosse più garantita “l’adesione italiana al Patto alla luce delle deviazioni previste”  con la Manovra. Mentre il testo della lettera Ue viene reso pubblico, lo spread sale, fino a 315 punti base.

E proprio guardando ai mercati è intervenuto Mario Draghi, il governatore della Bce, alla riunione dei capi di Stato e di governo dell’Unione monetaria: “Mettere in discussione le regole all’interno della Ue può portare a un peggioramento delle condizioni nel settore finanziario e di qui a un danno alla crescita”.

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Economia

Emergenza idrica, a rischio il 18% del Pil italiano

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L’emergenza idrica potrebbe mettere a rischio 320 miliardi di euro tra imprese idrovore e filiera estesa dell’acqua, ovvero il 18% del Pil italiano. A lanciare l’allarme è il Libro Bianco 2023 “Valore acqua per l’Italia”, presentato da The European House – Ambrosetti, che indica come risposta alla crisi un modello circolare composto da cinque R: raccolta, ripristino, riuso, recupero e riduzione. Servono però più investimenti, come ha sottolineato l’amministratore delegato di Acea, Fabrizio Palermo, intervenendo a un altro convegno organizzato dall’Università degli studi di Roma Foro Italico: “Nel settore idrico in Italia c’è un tema di struttura societaria”, ha detto, osservando come ci siano “pochi gestori industriali e tanti Comuni che operano in economia. Ciò comporta investimenti molto bassi, che invece devono aumentare”. L’urgenza è testimoniata anche dai dati: secondo Ambrosetti il tasso di sostituzione delle reti idriche italiane, delle quali il 25% ha più di 50 anni, è di 3,8 metri per km all’anno e di questo passo sarebbero necessari 250 anni per la loro manutenzione completa. Una delle principali ragioni di questa lentezza risiede proprio negli investimenti limitati.

Gli operatori del servizio idrico, rileva il Libro Bianco, sono anche in difficoltà sul rispetto della tassonomia europea: l’82% sul risparmio energetico, il 76,5% sulle perdite d’acqua. Eppure l’acqua è una risorsa fondamentale per la nostra economia, in particolare per l’operatività di 1,5 milioni di imprese agricole, circa 330.000 aziende manifatturiere idrovore e oltre 9.000 imprese del settore energetico. Nel 2021 il ciclo idrico esteso ha generato un valore aggiunto di 9,4 miliardi, con una crescita media annua del 4,3% nel periodo 2010-2021, pari a 10 volte la manifattura italiana, occupando 92.400 persone. Questa filiera, sottolinea Ambrosetti, vale quasi quanto l’industria farmaceutica e oltre il doppio dell’abbigliamento. Da qui la necessità di un “cambio di paradigma in tempi rapidi” ha affermato Valerio De Molli, managing partner e Ceo di The European House Ambrosetti, alla luce delle “condizioni infrastrutturali della filiera estesa dell’acqua italiana, insieme alla sempre crescente pressione sulla risorsa idrica resa drammatica dagli effetti del cambiamento climatico”. Tuttavia investimenti e gestione circolare da soli non bastano: serve puntare sull’educazione, spiega Ambrosetti, che ha avviato un progetto pilota nelle scuole italiane con un “Kit dell’acqua”, pensato per diffondere conoscenze sulla filiera e l’importanza di stili di consumo responsabili e consapevoli.

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Economia

Equo compenso per i professionisti, via libera del Senato

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Il via libera definitivo si avvicina per le norme sulla giusta remunerazione per le prestazioni dei professionisti, “orfani” dal 2006 delle tariffe (abolite con le ‘Lenzuolate’ dell’allora ministro Pier Luigi Bersani): al Senato è scattato, infatti, il semaforo verde all’unanimità e per alzata di mano sul disegno di legge di FdI e Lega, ma sarà necessario un terzo passaggio alla Camera, perché a Palazzo Madama è stato modificato il riferimento normativo ad un articolo del codice di procedura civile abrogato dalla riforma dell’ex Guardasigilli Marta Cartabia, in vigore dal 28 febbraio. Il provvedimento prevede che le imprese bancarie e assicurative (e loro controllate e mandatarie), nonché le aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10 milioni debbano versare al professionista a cui affidano incarichi un compenso equo, ossia “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro”, nonché “conforme ai parametri ministeriali” per la determinazione delle remunerazioni. Gli accordi per pagamenti “al ribasso” saranno nulli, così come qualsiasi patto che vieti al lavoratore autonomo di pretendere acconti in corso d’opera e che attribuisca al cliente “vantaggi sproporzionati”.

Nel contempo gli Ordini e i Collegi potranno sia sanzionare i loro iscritti che accetteranno di incassare somme al di sotto di quelle fissate dai parametri ministeriali, sia promuovere una “class action” per difenderli (chance, questa, che riguarda anche le rappresentanze dei professionisti riuniti in associazioni). È prevista, inoltre, l’istituzione al ministero della Giustizia di un Osservatorio sull’equo compenso per verificare la corretta applicazione delle norme. Nella ‘staffetta’ del disegno di legge al Senato è stata corretta una ‘svista’, ovvero la menzione dell’articolo 702-bis del codice di procedura civile che, fino al 28 febbraio scorso, disciplinava il rito semplificato, sostituito, a partire da quella data, dagli articoli 281-decies e seguenti. Per la relatrice del provvedimento, la senatrice della Lega Erika Stefani, si garantisce “la dignità dei professionisti”, a volte “deboli” al cospetto di “banche, assicurazioni, o Pubblica amministrazione”. Il Pd ha votato a favore, “in linea col principio dell’equo compenso introdotto nel 2017 dall’allora ministro Andrea Orlando”, ha affermato la senatrice Anna Rossomando, anticipando che il centrosinistra tenterà di inserire dei “miglioramenti” alla Camera.

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Inps, il 65% delle pensioni è inferiore a 1.000 euro

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Quasi due terzi delle pensioni erogate in Italia, ad esclusione di quelle dei dipendenti pubblici, sono inferiori a 1.000 euro: il dato arriva dall’Osservatorio sulle pensioni dell’Inps che precisa comunque come il dato riguardi le prestazioni singole e non il reddito da pensione dei percettori che spesso godono di più trattamenti. Nel complesso le pensioni vigenti a inizio 2023 per dipendenti privati, autonomi e le prestazioni assistenziali sono oltre 17,7 milioni, per 231 miliardi di spesa. Il 77,2% è di natura previdenziale (206,6 miliardi) e il 22,8% di natura assistenziale (24,4 miliardi di spesa).

Le pensioni inferiori a 1.000 euro al mese nel complesso sono 11,5 milioni, mentre sono 9,88 milioni quelle inferiori a 750 euro (il 55,8%). Nel 2022 sono state liquidate 1.350.222 nuove pensioni, il 46,5% delle quali di natura assistenziale. L’età media alla decorrenza complessiva è aumentata di oltre quattro anni tra il 2003 e il 2022 passando da 62,3 a 66,9. Se si guarda all’età di vecchiaia l’uscita è passata da 59,8 a 64,4 anni (era 64,3 nel 2021), mentre quella dei superstiti è passata da 70,4 a 74,7. Per l’invalidità previdenziale l’età alla decorrenza è passata da 51,2 a 55,2 anni.

Analizzando la distribuzione per classi di importo mensile delle pensioni – si legge nell’Osservatorio – “si osserva una forte concentrazione nelle classi basse. Il 55,8% delle pensioni ha un importo inferiore a 750,00 euro. Questa percentuale costituisce solo una misura indicativa della povertà, per il fatto che molti pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi”.

Il divario tra i due sessi – spiega l’Inps – è accentuato: per gli uomini la percentuale di prestazioni con importo inferiore a 750 euro è al 40,9% contro il 67,7% per le donne. E se si analizza la situazione della categoria vecchiaia, si osserva che questa percentuale per gli uomini scende al 18,4%. Sempre per i maschi, si osserva che il 44,8% delle pensioni di vecchiaia è di importo compreso fra 1.500 e 3.000 euro. Per le donne sono minori i numeri delle pensioni di vecchiaia (3,9 milioni contro 5,3) mentre sono superiori rispetto agli uomini le pensioni erogate ai superstiti (3,02 milioni contro 437mila), quelle agli invalidi civili (quasi 1,88 milioni contro 1,34) e le pensioni sociali, quelle che in generale hanno importi più bassi. L’Inps segnala infine la maggiore incidenza delle pensioni previdenziali al Nord e di quelle assistenziali al Sud.

In Italia vengono erogate 68 pensioni assistenziali ogni 1.000 abitanti, ma se l’incidenza è di 45 ogni mille abitanti in Emilia-Romagna, in Calabria è di 115, più del doppio. Il coefficiente standardizzato per distribuzione di età della popolazione è di 118 ogni 1.000 abitanti in Calabria e di 43 in Emilia-Romagna. Se si guarda invece alla prestazioni previdenziali la graduatoria tra Regioni del Nord e del Sud si inverte con la Campania che ha solo 146 pensioni previdenziali ogni 1.000 abitanti e il Piemonte 286 (226 la media in Italia). Se si guarda al coefficiente standardizzato la Regione che fa peggio è la Sicilia (167) mentre l’Emilia-Romagna segna 268 pensioni previdenziali ogni mille residenti.

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