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Economia

Governo sotto ricatto, l’agenzia Moody’s taglia il rating dell’Italia è quasi da bancarotta

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Tanto tuonò che piovve. Il fuoco di fila di attacchi arrivati dall’Europa, dal Fmi e chissà da chi altri ancora, hanno determinato il giudizio di Moody’s che ci si aspettava.

Il taglio del rating dell’Italia. Il rating, la quotazione del debito italiano, in una scala ipotetica di solvibilità,  passa Baa2 a Baa3, l’ultimo gradino prima del livello “spazzatura”.

L’outlook, cioè previsione sul futuro, resta stabile. Significa che l’agenzia Moody’s non dà per scontate altri declassamenti imminenti. La motivazione della bocciatura sembra l’abbiano scritta quelli della Commissione Ue che da settimane sparano alzo zero sull’Italia per la manovra economica invia di approvazione dal Parlamento. È una motivazione politica: il taglio del giudizio è legato a un “cambio concreto della strategia di bilancio, con un deficit significativamente più elevato”. All’aumento del disavanzo, osserva Moody’ s, non corrisponde una “coerente agenda di riforme per la crescita”, e questo “implica” che la crescita rimarrà bassa. E dunque il debito, che non scende, è meno sostenibile.

L’Italia è così ora soltanto un gradino sopra il cosiddetto “investment grade” nella scala di Moody’ s. Che significa nel linguaggio astruso di queste agenzie? Che l’Italia è appena un gradino sopra la soglia che permette di portare in garanzia i titoli alla Banca centrale europea. Se tutte le quattro agenzie di rating principali dovessero portare il loro giudizio sotto quel livello, e basta un altro declassamento, il mercato per il debito pubblico entrerebbe in crisi. Molti investitori come i grandi fondi pensione dovrebbero vendere tutti i titoli in portafoglio. E non è escluso che qualcuno cominci già ora, dopo il primo declassamento di Moody’ s cui seguiranno, come accade di solito, anche quelli di Standard & Poor’ s, Fitch e magari anche della più clemente Dbrs. Le quattro sorelle.

L’intervento arriva a mercati chiusi, serve a mettere ulteriormente sotto pressione il Governo italiano, già in difficoltà sulla manovra economica e alle prese con dissidi sulle modalità del condono fiscale. Nel tassello delle pressioni esterne che subiscono i governi italiani, questo è il livello di fuoco di sbarramento più alto. Le conseguenze sui tassi di interesse pagati dal Tesoro si vedranno presto. Intanto il problema sono le banche italiane: il loro destino è legato a quello del debito pubblico italiano, ogni fiammata dello spread si trasferisce in una picconata al valore di Borsa degli istituti di credito. E ieri lo spread è arrivato a toccare valori che non si vedevano dal 2013, due anni prima che la Banca centrale europea avviasse il suo programma di acquisti straordinari di debito pubblico tuttora in corso: in mattinata la differenza di rendimento tra titoli italiani a 10 anni e titoli tedeschi di pari durata è arrivata a 340 punti per poi scendere a 301.

Alla riunione del Consiglio dei Ministri convocato oggi dal premier Giuseppe Conte per appianare i dissidi “tecnici” sulla manovra e quelli politici tra i due leader delle due forze di maggioranza, sarà prioritario discutere anche di questa decisione di Moody’s. Perché di norma dopo Moody’s arriva poi Ficht, l’altra sorella delle agenzie di rating che determina spesso anche cambi di rotta di governo che rischiano, grazie alle agenzie di rating, lo strangolamento economico. Chi volete che compri, che finanzi il debito pubblico di un Paese che viene presentato agli occhi del mondo quasi sull’orlo di una bancarotta? E forse questo è solo l’inizio di qualche attacco speculativo al nostro sistema finanziario. Le prime istituzioni ad essere messe sotto attacco sono di norma le banche, quelle che hanno in pancia buona parte del debito pubblico italiano. Insomma, politicamente occorre aspettare come si risolvono le fibrillazioni in maggioranza. Per le questioni economiche, invece, c’è da aspettare la riapertura dei mercati europei.

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Economia

Il quarto scudetto come un tesoro: il brand Napoli vale sempre di più

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Il quarto scudetto, se dovesse arrivare, sarebbe molto più di una conquista sportiva per il Napoli. Sarebbe un moltiplicatore di valore economico e d’immagine, un acceleratore del brand che negli ultimi anni ha già registrato una crescita straordinaria. Secondo la classifica 2024 di Brand Finance Football 50, il Napoli è il 18° brand calcistico al mondo, con una valutazione che sfiora i 240 milioni di euro. E il titolo tricolore potrebbe far impennare ulteriormente questa cifra.

La crescita del brand sotto la gestione De Laurentiis

Dal 2011 a oggi, il brand Napoli ha registrato una crescita del 275%. Un risultato che si inserisce nel quadro di quasi 3 miliardi di euro di ricavi complessivi nel ventennio di presidenza di Aurelio De Laurentiis. È il frutto di una gestione attenta al marketing, alla valorizzazione del marchio e alla penetrazione su nuovi mercati.

La voce più significativa nei ricavi continua a essere quella legata ai diritti televisivi, che rappresentano circa il 49% del totale aggregato. Ma l’arrivo in società di Tommaso Bianchini ha aperto una nuova fase, fatta di internazionalizzazione del brand e presenza capillare su nuovi mercati.

I bonus per la squadra e l’effetto sponsor

Non esiste un vero e proprio premio-scudetto cumulativo per la rosa, ma ci sono bonus individuali legati ai contratti dei singoli calciatori: si stima che, complessivamente, valgano circa 3 milioni di euro. Una cifra ampiamente compensata dall’aumento dei ricavi, in particolare grazie agli sponsor, molti dei quali – da MSC Crociere a Coca-Cola – hanno contratti con “corrispettivi variabili” legati al raggiungimento di traguardi sportivi.

La qualificazione alla Champions League garantirà invece una base fissa di circa 50 milioni di euro, indipendentemente dallo scudetto, secondo il nuovo sistema UEFA che premia ranking storico e peso dei mercati nazionali.

Valore simbolico e commerciale del tricolore

La conquista del titolo ha una ricaduta diretta sul valore del marchio: secondo alcune stime, l’impatto economico del trademark tricolore sul logo Napoli sarebbe di circa 180 milioni di euro. Una cifra lontana dai colossi come Manchester City o Real Madrid, ma un record assoluto nel panorama calcistico italiano.

Il brand Napoli è oggi una combinazione di prestazioni finanziarie, reputazione, influenza sui consumatori e ritorno economico. Ed è per questo che De Laurentiis parla sempre di 80 milioni di tifosi nel mondo, compresi i mercati orientali. L’operazione Kim-Min Jae ha portato il Napoli al centro dell’interesse in Corea del Sud, e nuovi orizzonti si aprirebbero con l’ingaggio di giocatori come Jonathan David, nato a Brooklyn e canadese d’adozione.

I nuovi prodotti e la riapertura agli sponsor del betting

Dietro le quinte, De Laurentiis e la figlia Valentina stanno lavorando in silenzio ai nuovi prodotti ufficiali per lo scudetto. Un ritorno alla memoria per i tifosi, come ai tempi della raccolta punti Buitoni, che consentiva di ottenere la maglia azzurra col tricolore.

In parallelo, presto il Napoli potrebbe beneficiare anche della riapertura alla pubblicità delle agenzie di scommesse, vietata dal 2018 con il decreto Dignità ma ora vicina alla revisione. La Commissione Cultura e Sport del Senato ha infatti approvato una risoluzione che allenta il divieto, creando un’ulteriore opportunità di monetizzazione per i club di Serie A.

Un progetto industriale che guarda al futuro

Il rafforzamento del brand Napoli non è solo una questione di marketing, ma una strategia industriale precisa: generare fatturato, valorizzare il prodotto, esportare il marchio. E se il quarto scudetto dovesse arrivare, la squadra di De Laurentiis non alzerebbe solo un trofeo: alzerebbe anche l’asticella della propria potenza economica nel calcio globale.

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Tod’s celebra i 40 anni del Gommino, Diego Della Valle: l’artigianato è la nostra intelligenza

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A raccontare la qualità spesso si rischia di esagerare. Ma qui, nella sede Tod’s immersa tra le colline marchigiane, il concetto prende forma tra mani esperte, odore di pelle e passaggi artigianali che trasformano ogni scarpa in un manifesto del made in Italy. Il Gommino, icona senza tempo, compie 40 anni. Per celebrarlo, il Corriere della Sera ha raccolto in una lunga intervista la visione e le riflessioni di Diego Della Valle (foto Imagoeconomica in evidenza), custode e promotore di un artigianato che, più che una strategia industriale, è una vera filosofia.

L’artigianato come religione quotidiana

«Il fatto a mano non è uno slogan ma una religione», dice Toni, storico selezionatore di pelli dell’azienda. Ha 78 anni e da quando era ragazzo lavora con la famiglia Della Valle. Tocca le pelli, le annusa, le “ascolta”: «Anche la pelle sbuffa, e va capita». È uno dei 100 passaggi che portano a un paio di Gommino.

Al suo fianco due generazioni: Fabrizio, che testa la resistenza dei materiali, e Michele, responsabile del taglio. Tutti con lo stesso orgoglio: «L’intelligenza artificiale non potrà mai scegliere la pelle giusta», affermano.

Della Valle: “Per noi la qualità è come una religione”

Diego Della Valle li ascolta e sorride. «Non è difficile mantenere l’entusiasmo se la qualità è una religione aziendale. Serve coerenza, rigore, uno stile inconfondibile. Ma è il nostro punto di partenza». La differenza con i colossi della moda francese? «Loro sono bravissimi in comunicazione. Ma la qualità, quella la comprano da noi».

Il libro Italian Hands e il racconto dell’eleganza italiana

«Ogni anno cerchiamo un’idea per raccontare l’artigianato», spiega Della Valle. Dopo Aria d’Italia, dedicato ai giovani cosmopoliti, ora arriva Italian Hands, un omaggio a chi lavora con le mani in ogni parte del Paese: dagli artigiani delle acciughe ai costruttori di pupi siciliani. «È il nostro modo per dare dignità all’Italia vera, quella silenziosa».

La bottega dei mestieri: giovani e futuro

La “Bottega dei Mestieri” all’interno di Tod’s è un laboratorio di formazione. «L’artigianato dà libertà, indipendenza, possibilità di scegliere dove vivere. È una risposta umanistica al digitale», dice il patron. Non a caso ha coniato il termine intelligenza artigianale, contrapposta a quella artificiale: «Non va temuta, ma governata. L’uomo deve restare al centro».

Il Gommino: da nicchia a simbolo italiano

«Per noi il Gommino è un fratello», racconta Della Valle. «All’inizio lo mettevano a Portofino o Saint Moritz. Poi è diventato un simbolo trasversale: elegante come una scarpa, comodo come una sneaker». Ogni paio ha 133 gommini: «Mai un incubo, è il cuore dell’azienda. Quest’anno lo celebriamo con un libro, eventi e nuove edizioni».

Dazi e instabilità: “Ma il desiderio rimetterà ordine”

Sui dazi Usa: «Creano incertezza, e quando c’è incertezza la gente aspetta». Ma Della Valle è ottimista: «La qualità e il desiderio torneranno a rimettere ordine. Serve equilibrio, come ragionerebbe un saggio contadino. Stiamo lavorando su soluzioni per non gravare sul consumatore».

Il prezzo del lusso: “I costi saliranno, ma con equilibrio”

«I prezzi saliranno, inevitabilmente. Dopo la pandemia i costi sono aumentati, ora ci si aggiungono i dazi. Ma un prodotto artigianale di qualità richiede un valore adeguato. Cercheremo di restare accessibili».

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Moody’s declassa il rating degli Usa ad Aa1

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L’agenzia di rating Moody’s (Foto Imagoeconomica) ha declassato il rating del credito degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1, citando i crescenti livelli del debito pubblico e i costi di rimborso degli interessi. L’agenzia ha inoltre modificato l’outlook per gli Usa da negativo a stabile.

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