La manovra assicura per il 2024 buste paga un po’ più pesanti per i lavoratori dipendenti. E anche per alcuni comparti della Pa, grazie all’avvio dei rinnovi contrattuali. Ma lascia anche in eredità alla prossima legge di bilancio un conto salato, da oltre 20 miliardi, dal momento che le misure principali sono temporanee e andranno quindi rifinanziate.
A complicare i giochi, ci sono i paletti del nuovo Patto di stabilità, che dalla prossima manovra ridurranno i margini del ricorso all’extradeficit, concentrando la caccia alle risorse su tagli alla spesa e nuove tasse. Nella manovra appena approvata dal Parlamento i due interventi più corposi, che assorbono la metà delle risorse, ovvero il taglio del cuneo e la nuova Irpef a tre aliquote, sono finanziati solo per il 2024. E in deficit.
Per riproporre questo doppio intervento serviranno complessivamente circa 15 miliardi: 10,8 per ridurre il cuneo di 7 punti per i redditi fino a 25mila euro e di 6 per quelli fino a 35mila; e 4,3 per l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef. Ma in manovra sono tanti gli interventi temporanei, dagli esoneri contributivi per le madri con 2 figli ai fringe benefit. Così come quelli per i quali sono stanziate risorse considerate insufficienti, tra cui la sanità e la Pa.
Per rinnovare i contratti dei dipendenti pubblici ci sono 8 miliardi per il 2024, a fronte dei circa 30 necessari per completare la tornata contrattuale: se si dovesse fare come per la precedente tornata, per la quale ci sono volute quattro leggi di bilancio, per il 2025 si dovranno cercare almeno altri 7-8 miliardi. Ma non ci sono solo le misure da rifinanziare. In lista d’attesa ci sono anche le le promesse elettorali dei partiti finora rinviate per dare spazio ad altre priorità.
A partire da quota 41, che per la Lega resta comunque un obiettivo di legislatura, così come per Fi la volontà di aumentare ancora le pensioni minime. A complicare il rebus delle risorse, il prossimo anno si dovrà tener conto anche dell’effetto delle nuove regole per il Patto di Stabilità Ue: nonostante il governo abbia già tenuto conto della riduzione strutturale del deficit nella Nadef (Bruxelles chiede un taglio dello 0,5% annuo e nelle tabelle definite a ottobre l’indebitamento strutturale si riduce dal -4,8% del 2024 al -4,3% nel 2025, accentuando poi il calo al -3,5% nel 2026) si potrà far ricorso alla leva dell’indebitamento meno di quanto fatto finora, quindi le coperture andranno trovate attraverso nuove tasse o con la spending review. Un aiuto dovrebbe arrivare dalla riforma del fisco.
“Contiamo molto sulle risorse che verranno dalle varie forme di collaborazione tra fisco e contribuente”, spiega il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che si aspetta risultati dal concordato preventivo biennale per gli autonomi, dalla cooperative compliance per le imprese e anche dalla global minimum tax.
Su quest’ultima tassa, però, uno studio della Cgia di Mestre sostiene che l’effetto sarà minimo per le casse dello Stato: nel 2022, si osserva, le 25 principali web company presenti in Italia hanno versato all’erario solo 162 milioni di imposte. Comunque, archiviato il 2024 con 6 decreti attuativi della legge delega approvata ad agosto, Leo promette per gennaio nuovi provvedimenti su riscossione e sanzioni.
In vista della manovra per il 2025, invece, si punta ad avviare il secondo modulo della riforma dell’Irpef: l’idea è scendere a 2 aliquote Irpef, a beneficio dei ceti medi, con redditi oltre 50mila euro. “Vedremo le risorse a disposizione”, dice cauto Leo, che conta di trovarle anche mettendo mano al riordino delle tax expenditure. La flat tax, invece, “resta un obiettivo di legislatura – aggiunge -, compatibilmente con le risorse a disposizione”.