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La generazione Covid 19 e il cambiamento virale nel vuoto pneumatico di una Europa a trazione tedesca

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Supereremo anche questo, con buona pace dei catastrofisti, dei fan del calendario Maya aggiornato all’anno 2020 e quant’altro. Ma quando questa immane catastrofe sarà superata che cosa ci attende?

Forse non è difficile immaginarlo, perché oggi, impossibilitati a vivere il presente  riflettiamo sul passato per proiettarci nel futuro. Le forze “anti”, del “no”, del “via”, sono nutrite e rinvigorite dal “COVID 19” perché la morte alimenta la paura, poi la fame, quindi l’odio. Ma non cederemo perché la consapevolezza che stiamo maturando ci sta rendendo immuni dall’effimero, non solo materiale.

Come reagiremo, che cosa saremo domani?

Non certo quelli di oggi. Forse non saremo peggiori, magari neanche migliori, ma di certo non saremo più gli stessi. I bambini di oggi un giorno racconteranno ai nipoti di un Papa raccolto in preghiera in piazza San Pietro in Vaticano inverosimilmente deserta, del mondo che si è fermato, delle ansie e delle angosce che ci attanagliano in questi giorni. Nel narrare ciò risulteranno ovviamente noiosi e petulanti a quelle nuove generazioni, così come spesso abbiamo giudicato chi ci raccontava delle difficoltà della Seconda Guerra Mondiale, della paura, della fame. 

Eppure adesso tutti quei racconti diventano improvvisamente parte del nostro attuale patrimonio emotivo, si liberano dal bianco e nero ed assumono i colori stridenti di città magnifiche illuminate dal sole, completamente vuote.

Saremo la generazione del “COVID 19”, quella inconsapevole fino a ieri del mondo che sarebbe cambiato in un battito ciglia. Improvvisamente fermi, immobili, in un pianeta che non gira più. “Eppur si move”. La natura sembra aver vinto una battaglia,  non la guerra certo, ed i suoni e gli odori dimenticati si fanno beffa della nostra inquietudine al punto da renderla addirittura più sopportabile. Per lungo tempo hanno o abbiamo cercato di definirci, ma in modo però non convincente perché tutto era sfuggente e virtuale,  come i derivati della finanza che hanno prodotto emboli di bolle speculative che hanno distrutto miliardi e miliardi in qualche attimo ed hanno così generato crisi mondiali durate anni.

Il sistema globalizzato ed interconnesso, degli spostamenti immediati e del ritorno a casa per cena dopo una mattina di lavoro a duemila chilometri di distanza, si è rilevato maledettamente fragile di fronte ad un virus infinitamente piccolo, che compiendo un semplice balzo in un angolo del pianeta, infetta un solo uomo e nel giro di poche settimane mette in ginocchio il mondo intero, un mondo che oggi appare così distante.

Ecco perché oggi stiamo diventando cosa saremo domani. Donne e Uomini diversi, con prospettive diverse, con valori diversi, o semplicemente con valori.

Non basteranno mesi per ritornare alla “normalità” perché per i prossimi anni, o addirittura decenni, saranno scanditi da un “prima” ed un “dopo” covid19.

Ma a chi ha davvero giovato la globalizzazione se fino a trent’anni fa una coppia di stipendiati poteva formare una famiglia, dare una buona istruzione ai propri figli, fare quasi un mese di vacanza in agosto ed avere una casa propria?

Dopo, che cosa è accaduto? Che cosa siamo diventati ? Una vita scandita da corse affannate inseguendo un modello iper-capitalista che non appartiene in toto al nostro DNA sociale, fingendo di rincorrere il massimo profitto mentre perdevamo valori e valore. Così, progressivamente, abbiamo assistito impotenti alla distruzione della classe borghese, prima la piccola, poi la media. 

Siamo entrati in Europa già penalizzati in partenza da un tasso di cambio Lira / Euro scellerato e quindi definitivamente annientati in ogni prospettiva di crescita dalla politica del rigore, che ci ha resi definitivamente schiavi di un vincolo di bilancio nel cui nome abbiamo sacrificato le migliori realtà imprenditoriali ed industriali del nostro paese. E così, di sacrificio in sacrificio, abbiamo saccheggiato e umiliato la Sanità che oggi rimpiangiamo amaramente. Perché nel momento del disastro tutti i nodi sono venuti al pettine in tutta la loro drammaticità.

Il miraggio del Welfare State, poi del nuovo Miracolo Italiano, si è rivelato un lento morire nelle nostre aspettative ed aspirazioni. I giovani e le imprese fuggono via, il divario ricchi poveri è quasi da Paese dell’Est, la Politica è un circo dove strappare applausi rappresenta la chiave del successo dell’avventuriero di turno, e per chi non vuole più partecipare, la mafia aiuta a comprare consenso e poi chiede l’amaro conto con gli interessi.  

Quindi oggi l’Europa, recte, la Germania, ci chiede sacrificio, perché circa 10.000 morti in un mese sono pochi. Dobbiamo sacrificarci, perché questo non basta, non ancora almeno, perché fin tanto che il problema sarà italiano non sarà mai davvero affrontato a Bruxelles (o Berlino). Allora l’unica macabra speranza è che il virus compia il miracolo della equità sociale, quello che la U.E. ha dimenticato, e quindi si abbatta su tutta Europa consapevoli che solo allora valuterà il da farsi, mentre i nostri politici continuano a tentennare e, peggio ancora, a fare propaganda da saldo elettorale. Potevamo immaginare di toccare il fondo ma non potevamo immaginare che potesse essere così profondo.

 

Dobbiamo sacrificarci di più, magari chiedendo alle imprese che stanno fallendo, loro malgrado, senza soldi né liquidità, di vendere all’asta i beni strumentali, magari a paesi del Centro Europa, per poi pagare le tasse e tenere il bilancio in linea con i parametri comunitari. E se non basta neanche questo sacrificio allora esso non può essere definito tale. E allora perché no, all’imprenditore o al lavoratore potremmo chiedere di vendere un rene. Troppo poco? Forse due, così magari a Bruxelles potrebbero finanche apprezzare. Sembra il minimo, davvero doveroso. Perché 10.000 morti non sono nulla. Possiamo fare di più.

Ecco che allora si sfila anche la Francia, stanca o forse impossibilitata, finanche lei,  a reggere le braghe della Germania fino a tal punto. Se l’Unione Europea non cambierà finirà, se non è già finita. Non  certo per le spinte populiste, ma per l’esaurimento di ogni forma di sopportazione che da oggi in poi ci accompagnerà per sempre nella nostra esistenza e, non di meno, per un mondo che probabilmente non sarà più globalizzato, o  non lo sarà come oggi lo abbiamo impostato o tollerato, perché il valore della interconnessione alla velocità supersonica  può produrre immediata ricchezza ma anche immediata tragedia. E questa ormai, che piaccia o no, è storia.

Se non avremo la forza di imporre un cambio di rotta, possibile solo con l’autorevole intervento di politici di rispetto, l’Europa come oggi essa è, ossia una unione di nazioni saldate solo da burocrazia ed egoismi finanziari,  che rendono solo più deboli la maggior parte dei partner a vantaggio di pochissimi, non avrà semplicemente ragion d’essere.

Perché in questa guerra ci siamo ritrovati assolutamente soli fino all’inverosimile, come soli siamo a piangere i nostri morti che non possiamo neanche seppellire. Ecco perché da domani non saremo più disponibili a barattare la nostra vita e la nostra felicità per niente al mondo, perché di fronte a questa tragedia prendono vigore i valori perduti, drogati per anni da una finanza volgare e virtuale che nulla di reale produce, che ha arricchito solo i più ricchi e distrutto tutti gli altri.

Siamo cambiati e del nostro cambiamento dovranno tenere conto i futuri rappresentanti politici italiani, europei e mondiali, perché l’unica arma che ci sta facendo vincere la nostra battaglia è la solidarietà, la consapevolezza  e l’orgoglio, tutti sentimenti che ci avevano sottratto e che il “COVID 19”, a carissimo prezzo, ci ha restituito.

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Binaghi riapre al Coni: “È finita un’era, ora serve discontinuità. Ma Buonfiglio? No, grazie”

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Angelo Binaghi (foto Imagoeconomica in evidenza), presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel (Fitp), torna a parlare del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e lo fa con la consueta schiettezza, in un’intervista al Corriere della Sera. Da anni in polemica con il Coni di Giovanni Malagò, Binaghi lascia intendere di essere pronto a tornare a occuparsi attivamente dell’istituzione sportiva nazionale: “Sto partecipando a tutte le riunioni. Voglio vedere se, finita un’era, si può costruire qualcosa di nuovo, completamente diverso rispetto al passato”.

ANGELO BINAGHI, PRESIDENTE FEDERAZIONE ITALIANA TENNIS E PADEL, JANNIK SINNER (Foto Imagoeconomica)

Binaghi non ha mai fatto mistero della sua visione riformista e anti-sistema: nel novembre 2024 aveva dichiarato al Corriere “Il Coni non serve, io lo salto”. Una posizione che gli costò un deferimento poi archiviato, con opposizione del Coni. Ora però, con l’uscita di scena di Malagò imposta dai limiti di mandato, il clima potrebbe cambiare.

Buonfiglio bocciato, Pancalli “ultimo in lista”

Nessuna apertura, invece, verso l’eventuale candidatura di Luciano Buonfiglio, presidente della Federcanoa: “È il peggior esponente del vecchio sistema. Una volta mi chiese di parlare, gli risposi: ‘Caro Luciano, io no’”, racconta Binaghi, ricordando il suo ruolo nella defenestrazione di Raffaele Pagnozzi e la successiva promozione da parte di Malagò.

Rispetto invece per Luca Pancalli, ma senza sostegno: “Candidato degnissimo, ma lo considero l’ultimo della lista”.

“La politica non è un nemico, la riforma Giorgetti è stata efficace”

Altro punto centrale della visione di Binaghi è il rapporto con la politica: “Non è possibile considerare i politici come nemici. La riforma Giorgetti ha funzionato molto meglio del Coni. Chi parla di invadenza politica racconta una bugia”.

Rivendica anche l’autonomia finanziaria degli Internazionali d’Italia (“l’unica manifestazione senza un euro di contributo pubblico”) e ricorda di aver cacciato i politici dalla tribuna del torneo.

Il futuro del Coni? Binaghi resta alla finestra, ma si prepara

Con gli Internazionali di Roma imminenti e il grande ritorno in campo di Jannik Sinner, “il vero Fenomeno”, Binaghi rivendica di essere “un uomo fortunato”. Ma tiene il piede dentro la porta del Coni, in attesa di vedere quale sarà la grande sorpresa che guiderà il nuovo corso dello sport italiano.

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Bisnonna inglese 115enne diventa la persona più anziana al mondo

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Una bisnonna britannica di ben 115 anni ha raccolto questa settimana la palma di persona più vecchia del mondo – stando alle statistiche internazionali censite – dopo l’annuncio della morte di uno suora 116enne in Brasile. Lo racconta oggi con dovizia di particolari il Daily Telegraph. La nuova titolare del record di longevità si chiama Ethel Caterham ed è nata il 21 agosto del lontano 1909 in un villaggio dell’Hampshire, in Inghilterra meridionale: prima del diluvio della Grande Guerra, mentre sul trono di quello che era ancora l’Impero britannico sedeva re Edoardo VII, figlio della regina Vittoria, bisnonno della defunta Elisabetta II e trisavolo dell’attuale monarca, il 76enne Carlo III.

Ultima di 8 figli, nonna Ethel vive attualmente in una residenza per anziani nella contea del Surrey, pure in Inghilterra del sud, dove – dopo l’ufficializzazione del suo primato – ha ricevuto una lettera personale di re Carlo: che si felicita per il “rimarchevole traguardo” da lei raggiunto. Tuttora lucida, Catheran è in grado di ricordare le tappe salienti della sua vita.

A 18 anni si trasferì nell’India coloniale, assunta come au pair nella famiglia di un ufficiale dell’esercito di Sua Maestà; poi, al ritorno in Gran Bretagna, conobbe a una festa il futuro marito Norman, sposato nel 1933 e col quale ha vissuto a Hong Kong e a Gibilterra prima di tornare in terra inglese. Rimasta vedova quasi mezzo secolo fa, nel 1976, Ethel ha smesso di guidare solo alla soglia dei 100 anni. Mentre a quasi 111 è riuscita a guarire pure da un contagio di Covid. Il segreto della sua longevità? “Non aver litigato con nessuno”, ha risposto a un giornalista.

Oltre alla scelta di dare priorità “alla famiglia, la cosa più importante dell’esistenza”, ai figli, ai nipoti e ai pronipoti. A una testata locale ha spiegato del resto di non avere rimpianti, di essere “felice d’aver girato il mondo” fino ad approdare in “questa bella casa” di riposo in patria: “Ho detto sì a ogni opportunità di vita, mantenendo un’attitudine mentale positiva e accogliendo ogni cosa con moderazione”. Giusto l’anno scorso il Regno Unito aveva celebrato la conquista del record di un altro suddito britannico come ‘uomo più anziano del pianeta’: record ereditato da un giapponese e detenuto per qualche mese nel 2024 dal veterano di guerra John Tinniswood, deceduto a novembre a 112 anni d’età.

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Ivanka Trump News elogia Giorgia Meloni: “Donna pulita e leader più attraente dell’UE”

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Un post pubblicato su X dall’account Ivanka Trump 🇺🇲 🦅 News ha acceso i riflettori su Giorgia Meloni, definita “la leader più attraente dell’Unione Europea”. L’immagine allegata ritrae la presidente del Consiglio italiana sorridente su un lettino, con indosso un costume da bagno che richiama i colori della bandiera italiana.

Il messaggio che accompagna lo scatto recita: “Lascia un ❤️ per una donna pulita, fantastica e senza tatuaggi, la leader più attraente dell’UE 🇪🇺!!!”. Una dichiarazione che va oltre l’elogio estetico, sottolineando valori considerati simbolici dalla destra americana: ordine, sobrietà e conservatorismo nei costumi.

Il post è solo l’ultimo segnale dei rapporti calorosi tra la famiglia Trump e Giorgia Meloni, rafforzati da un’intesa ideologica su immigrazione, difesa dell’identità nazionale e visione tradizionale della società. Donald Trump, tornato presidente degli Stati Uniti, ha già espresso pubblicamente ammirazione per la premier italiana in più occasioni.

L’episodio conferma la crescente sintonia politica e mediatica tra due mondi che, seppur geograficamente lontani, condividono una visione del potere fondata su patriottismo, sovranismo e comunicazione diretta con il popolo.

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