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Kurz ricatta l’Ue sulle dosi, Berlino frena AstraZeneca

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L’Austria tiene in ostaggio l’Ue sui vaccini e negozia con Mosca un milione di dosi di Sputnik, mentre Berlino sospende la somministrazione del vaccino di AstraZeneca per gli under 60 dopo nuovi casi “gravi” di trombosi cerebrale. Sebastian Kurz, attaccato dalle opposizioni in patria che lo accusano di non aver saputo gestire gli acquisti dei sieri, batte i pugni sul tavolo dell’Unione minacciando di bloccare l’acquisto degli immunizzanti. Ma le preoccupazioni per l’Europa non sono finite. Il regolatore tedesco, lo Stiko, ha raccomandato l’immunizzazione con AstraZeneca solo alle persone con piu’ (rpt, piu’) di 60 anni dopo che il Paul Ehrlich Institut ha reso noto che in Germania, ad oggi, sono stati 31 i casi di trombosi cerebrale dopo l’iniezione con il siero della casa di Oxford. I Laender si sono ovviamente adeguati alle indicazioni, applicando lo stop da domani. E si temono nuovi effetti domino nell’Unione, alle prese con i lockdown di Pasqua e ulteriori strette sui viaggi. Un quadro poco rassicurante, in cui l’unica nota positiva e’ l’annuncio di Pfizer-BioNTech di voler produrre fino a 2,5 miliardi di dosi nel 2021, ovvero il 25% in piu’ rispetto alle stime iniziali. E mentre si attende di sapere che fine hanno fatto i 29 milioni di dosi di AstraZeneca trovati in uno stabilimento di infialamento ad Anagni, la casa anglo-svedese ha registrato il nome del proprio composto come ‘Vaxzevria’, aggiornando gli effetti collaterali nel suo bugiardino cosi’ come chiesto dall’Ema. In questo quadro gia’ difficile e’ arrivato il ricatto di Vienna, che minaccia di bloccare 100 milioni di vaccini Pfizer per il quarto trimestre per tutta l’Unione pur di accaparrarsi una quota piu’ cospicua dei 10 milioni di immunizzanti che dovrebbero essere anticipati dal lotto, ad aprile. Una consegna destinata anche a tamponare le necessita’ dei Paesi piu’ in difficolta’, tra cui pero’ l’Austria non figura. Il nuovo strappo del governo Kurz e’ avvenuto alla riunione dello Steering board sui vaccini, dopo che al vertice i leader si erano divisi sulla partita, lasciando agli ambasciatori l’incombenza di risolvere il rompicapo. La proposta di mediazione della presidenza di turno portoghese sara’ discussa domani al Coreper, anche se la soluzione non sembra vicina. Per ottenere l’anticipo ad aprile di 10 milioni di dosi del Pfizer dal lotto di cento milioni, dovuto nel quarto trimestre, la Commissione europea deve esercitare la sua opzione ora. Ma Vienna sostiene che la decisione sulla ridistribuzione dell’intero stock deve essere presa all’unanimita’. Non dara’ il suo assenso fino a quando non avra’ avuto soddisfazione. E conta sul sostegno di un pugno di Paesi: Bulgaria, Croazia, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Tutti alleati rimasti scottati dal taglio di AstraZeneca da 120 a 30 milioni di dosi nel primo trimestre. Una coalizione nata per fare pressing e strappare un correttivo sulle consegne, guidata dal cancelliere austriaco. Dal canto loro gli altri partner Ue sostengono che non occorre una decisione specifica per la ripartizione dei 100 milioni di sieri perche’ vale la regola generale del pro-rata, e cioe’ in base alla popolazione di ciascun Paese, criterio seguito fino ad oggi. Per questo sostengono che le minacce di Vienna sono vuote. Presto comunque un parere dei servizi legali del Consiglio Ue potrebbe chiarire. Quanto alla questione dei 10milioni di dosi da distribuire, per ora c’e’ la proposta di assegnarne 2-3 milioni in totale a Sofia, Zagabria, Riga, Praga, e Bratislava. Gli altri 7-8 milioni dovrebbero essere ripartiti tra tutti i 27 Stati, su base pro-rata. E mentre Vienna cerca di rientrare con la forza nei giochi, negozia con la Russia un milione di dosi dello Sputnik. “Non ci devono essere paraocchi geopolitici riguardo ai vaccini”, ha avvertito Kurz.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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