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Guerra Ucraina

Kiev rivendica l’attacco a un treno nella Siberia russa

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L’Ucraina ha affermato di aver orchestrato attacchi contro una linea ferroviaria russa in Siberia, a migliaia di chilometri dalla linea del fronte, tra gli ultimi episodi di sabotaggio segnalati all’interno del territorio russo. “I russi sono caduti due volte nella trappola della Sbu (il servizio di sicurezza ucraino): un altro treno di carburante è esploso sulla ferrovia Baikal-Amur”, ha detto all’Afp una fonte delle forze dell’ordine ucraine, aggiungendo che il presunto attacco è stato il seguito di un’esplosione avvenuta mercoledì notte che ha coinvolto un treno in transito nella remota regione russa della Buriazia.

Non c’è stata una risposta immediata da parte russa all’ultimo incidente, ma Mosca ha confermato che all’inizio di questa settimana il personale di un treno aveva notato del fumo in un serbatoio di carburante e ha chiamato i vigili del fuoco sul posto. Il quotidiano economico russo Kommersant ha citato venerdì fonti che affermano che gli investigatori hanno aperto un’indagine penale sull’incidente di mercoledì e che l’incendio sul treno è stato probabilmente causato da un ordigno esplosivo non identificato. “I servizi speciali russi dovrebbero abituarsi al fatto che i nostri uomini sono ovunque. Anche nella lontana Buriazia”, ha detto la fonte ucraina. La ferrovia Baikal-Amur è lunga oltre 4.000 chilometri (2.500 miglia) e corre adiacente ai confini di Cina e Mongolia. La Russia ha annunciato oggi di aver arrestato un uomo con doppia cittadinanza italo-russa per aver effettuato attacchi di sabotaggio su una ferrovia e contro una base aerea, agendo sotto gli ordini dell’Ucraina.

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Esteri

Le richieste di Mosca per uno stop ai combattimenti

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Dagli scambi commerciali nel mar Nero al rientro delle banche russe nel sistema Swift: tra le condizioni elencate dal Cremlino per l’attuazione della parziale tregua con l’Ucraina a spiccare è la revoca di diversi tipi di misure che l’Occidente, dall’inizio della guerra, ha messo in campo contro Mosca. Sanzioni decise da Washington ma anche dall’Europa. Sono sedici i pacchetti messi in campo finora da Bruxelles. E alcuni di questi rientrano pienamente nelle aree sulle quali Mosca vuole un ritorno allo stato pre-guerra. In totale, secondo gli ultimi dati della Commissione – 19 marzo 2025 – è di 48 miliardi il valore dell’export verso la Russia che Bruxelles ha vietato. Somma che sale a 91,2 miliardi se si guarda al valore dei beni importati da Mosca.

Il Cremlino, nei punti inseriti nello schema per una tregua, ha messo la clausola della libera circolazione delle navi nel mar Nero. Petroliere, innanzitutto. Il divieto di import del greggio russo è stato messo in campo dall’Ue in coabitazione con il G7 a partire dal giugno del 2022, sebbene con alcune eccezioni. Nei mesi successivi Bruxelles ha approvato numerose altre misure per evitare l’aggiramento dell’embargo al petrolio, possibile con la collaborazione di Paesi terzi extra-Ue. Il divieto ha riguardato il 90% dell’import di petrolio russo da parte dell’Ue.

Nel 2021 il valore di queste importazioni era di 71 miliardi di euro. Diverso il discorso per i fertilizzanti. Le prime sanzioni ad uno dei prodotti russi e bielorussi più venduti in Europa risalgono al quinto pacchetto di misure, varato nell’aprile del 2022. Bruxelles, negli ultimi mesi, ha provato a rafforzare il muro, con la strada dei dazi. Ma le resistenze del comparto agricolo sono state diverse. Tra le richieste di Putin c’è anche il re-ingresso delle banche russe nel sistema Swift per le transazioni internazionali. Il divieto è stato tra le prime sanzioni imposte dall’Occidente. Nel marzo del 2022 l’Ue escluse i primi 7 istituti da Swift. Tra questi, tuttavia, non figurava Gazprombank, il principale canale con cui Mosca riceve gli introiti del petrolio.

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Esteri

Mar Nero, il fronte navale dimenticato: perché la Russia ha accettato il cessate il fuoco

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Dalla pretesa del controllo totale sul Mar Nero all’ammissione di un cessate il fuoco imposto dai fatti. La Russia, che nel febbraio 2022 aveva avviato una delle campagne militari più ambiziose del conflitto, si trova oggi costretta a ridimensionare le sue ambizioni navali. La guerra sul mare è stata una disfatta strategica per Mosca, che ha perso almeno il 20% della propria flotta militare. Ed è proprio questo insuccesso a spingere Vladimir Putin ad accettare la tregua discussa ai negoziati in Arabia Saudita.

L’ambizione: dominare il Mar Nero

Il piano iniziale era chiaro: occupare tutti i porti e le coste dell’Ucraina meridionale, escludere Kiev da una delle sue principali arterie economiche e imporre un monopolio russo sulla navigazione nel Mar Nero. Già il primo giorno di guerra, Mosca dichiarava la sospensione della navigazione a nord del 45° parallelo e nel Mar d’Azov. Il porto storico di Sebastopoli diventava il fulcro di operazioni “antiterrorismo”. L’obiettivo era Odessa, da raggiungere anche con operazioni anfibie, mai realmente decollate.

La svolta: l’affondamento della “Moskva”

Il punto di rottura arriva il 13 aprile 2022, quando l’incrociatore Moskva, fiore all’occhiello della Flotta del Mar Nero, viene colpito e affondato da un drone marino ucraino Neptune. È l’inizio della fine: a oggi almeno trenta unità navali russe sono state distrutte o rese inutilizzabili. Il grosso della flotta è stato ritirato verso est, a Novorossiysk, abbandonando di fatto il controllo attivo delle coste ucraine.

L’Ucraina resiste e reagisce

Kiev ha costruito un sistema difensivo sofisticato lungo le acque territoriali, proteggendo le rotte commerciali con droni marini e aerei. L’isola dei Serpenti, simbolo della resistenza, è stata riconquistata. I russi hanno reagito con attacchi mirati, ma non sono riusciti a ristabilire la superiorità marittima. L’Ucraina ha così riaperto i suoi corridoi navali, e nonostante le continue minacce, le esportazioni sono riprese.

Il blocco e il “corridoio del grano”

Nel 2022, con mediazione di Onu e Turchia, nasce il cosiddetto “corridoio del grano”. Funziona, inizialmente: 331 navi partite in pochi mesi. Ma nel 2023 Mosca inizia a ostacolare i controlli e infine impone di nuovo il blocco. Nel frattempo Kiev forza la mano, e tra ottobre 2023 e dicembre 2024 transita un volume record: 3.500 navi e oltre 93 milioni di tonnellate di prodotti esportati.

Gli attacchi di Mosca e l’alto costo della guerra

Nel solo bimestre gennaio-febbraio 2025, la Russia ha colpito Odessa almeno 21 volte, distruggendo parte delle infrastrutture portuali ed energetiche. Il prezzo umano è alto: il caso più tragico l’11 marzo, quando quattro marinai siriani muoiono a bordo di un cargo battente bandiera delle Barbados.

La mediazione possibile: il ruolo della Turchia

La tregua proposta oggi ai tavoli sauditi prevede una sospensione delle ostilità navali, ma resta fragile. Il monitoraggio potrebbe tornare nelle mani della Turchia, come nel 2022. Ma Erdoğan è oggi troppo impegnato nella crisi interna per giocare lo stesso ruolo. E così, mentre le truppe russe avanzano lentamente nel Donbass, il Cremlino ammette di aver perso il controllo di uno dei fronti che più avrebbe voluto dominare.

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Esteri

Nel cuore di Mosca, la mostra sull’Arbat racconta che la pace è ancora lontana

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Nel mezzo della vecchia Arbat, la storica via pedonale simbolo della capitale russa, una mostra fotografica rende evidente quanto sia difficile parlare oggi di pace tra Russia e Ucraina. L’installazione, dal titolo provocatorio “L’Europa ringrazia” — subito ribaltato dal grande “Niet” rosso che lo sormonta — trasmette un messaggio preciso: la Russia si sente tradita da chi avrebbe dovuto esserle grato.

Due facce della stessa guerra

Ogni pannello ha due lati: da un lato, immagini di monumenti vandalizzati dedicati all’Armata Rossa, spesso imbrattati di vernice gialla e azzurra, i colori della bandiera ucraina; dall’altro, foto d’epoca che mostrano l’accoglienza delle truppe sovietiche nel dopoguerra in varie capitali europee. In calce, la celebre frase del maresciallo Zhukov: “Li abbiamo liberati, e loro non ce lo perdoneranno mai”.

Il messaggio è chiaro: Mosca si sente oltraggiata non solo dalle bombe e dalle sanzioni, ma anche dalla rilettura occidentale della memoria storica.

Shopping e geopolitica

Sull’Arbat si passeggia tra boutique e souvenir, ma anche tra simboli di propaganda. Una signora elegante si ferma davanti a uno dei pannelli, ascolta distrattamente una canzone di Celentano proveniente da un bar, poi scuote la testa: «Trump crede davvero che Putin chiuderà tutto con un brindisi?», dice con sarcasmo.

A Mosca il sentimento dominante non è la speranza, ma lo scetticismo. A confermarlo anche le parole del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, che in tv ribadisce: nessuna tregua sarà possibile senza “garanzie dirette da Washington” e senza un “ordine chiaro a Zelensky”.

Psicosi diplomatica

I giornali russi, pur con toni più sottili, sembrano allinearsi. Il quotidiano Komsomolskaya Pravda fa analizzare da uno psicologo i gesti della delegazione russa al termine dei colloqui a Riad: «Volti stanchi, posture tese: nessun progresso». Kommersant scherza amaramente: “Usa e Russia vanno al mare”, frase che può valere sia per la discussione sulla sicurezza nel Mar Nero, sia per l’apparente inconcludenza dei negoziati.

Il clima è quello di una tregua fragile, imposta più dalla pressione internazionale che da una volontà reale.

“Prima via le sanzioni”

La linea russa, ribadita dai falchi del Cremlino, è chiara: “Prima via le sanzioni, poi l’armistizio”. Le divergenze su agricoltura, porti, logistica, energia sono profonde, e parlano “tre lingue diverse”, come ha detto il politologo Sergey Markov. Nessuno sembra credere davvero che basti un accordo tecnico per fermare le ostilità.

E se c’è bisogno di un altro segnale simbolico, basta tornare sempre sull’Arbat: lì, appena pochi giorni fa, è stata inaugurata un’altra mostra, questa volta dedicata ai “progressi sociali ed economici della Crimea riunificata”. Nelle foto, ponti e scuole, ma anche militari abbracciati dai bambini.

Immagini pensate per raccontare una vittoria. Ma che, viste oggi, parlano più di un conflitto che ancora non vuole finire.

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