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J&J propone di pagare 8,9 mld per risolvere cause cancro

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Johnson&Johnson ha messo sul piatto una cifra monstre per chiudere tutte le decine di migliaia di controversie legali in cui si sostiene che il talco usato nei suoi prodotti per l’igiene provochi il cancro. Il colosso farmaceutico statunitense ha proposto il pagamento di 8,9 miliardi di dollari (circa 8 miliardi di euro). L’azienda di New Brunswick, New Jersey, spera in questo modo di “chiudere tutti i reclami presenti e futuri” sulle sue responsabilità, si legge in una nota. La cifra corrisponde a quattro volte quella stabilita da una giuria di St. Louis, che aveva dato ragione a 22 donne che accusavano il talco della società di aver provocato loro tumori alle ovaie, stabilendo un risarcimento di 25 milioni ciascuna e danni puntivi per 4,14 miliardi di dollari. Il verdetto era stato poi rivisto dalla corte di appello del Missouri e ridotto a 2,1 miliardi, con due delle donne rimosse per motivi di giurisdizione. Johnson&Johnson si era rivolta alla Corte Suprema ma, a giugno 2021, il ricorso era stato respinto. Adesso l’offerta finale per chiudere tutte le dispute. La società precisa che più di 60.000 persone che hanno fatto ricorso hanno aderito alla risoluzione della controversia, ma ritiene di non avere commesso nessun illecito.
“La società continua a ritenere che queste denunce siano infondate e prive di valore scientifico”, ha dichiarato un funzionario legale nel comunicato, ma combattere le cause è molto costoso: secondo la Cnbc, l’azienda ha già pagato 7,4 miliardi di dollari in spese legali tra il 2020 e il 2021. Il risarcimento eviterebbe quindi di andare avanti in una contesa che richiederebbe decenni e sarebbe molto costosa, ha dichiarato Erik Haas, vicepresidente mondiale della società, sottolineando che questo accordo permetterebbe “di indennizzare le persone entro un termine ragionevole”, ovvero 25 anni. Nell’ottobre del 2021, la Johnson & Johnson aveva tentato una controversa manovra fallimentare per risolve i suoi problemi, creando una controllata, la Ltl management, a cui cedere le cause legate al talco, dichiarandone poi la bancarotta. Ma a gennaio di quest’anno la Corte d’Appello del Terzo Circuito ha sostenuto che solo le aziende direttamente minacciate da problemi finanziari possono fare appello a questo istituto. Dal momento che J&J non si è mai dichiarata in pericolo imminente non può beneficiare del Chapter 11. A seguito alle accuse contro i prodotti a base di talco, il colosso statunitense aveva deciso dal 2020 di interrompere la produzione del talco negli Stati Uniti e in Canada. Dal 2023 lo stop è stato esteso a tutto il mondo. Se l’accordo proposto fosse approvato, si tratterebbe di uno dei più grandi risarcimenti della storia degli Stati Uniti, insieme a quelli dovuti da multinazionali del tabacco o da alcune case farmaceutiche per la crisi sanitaria generata da oppioidi.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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