Era riuscito ad appropriarsi dei dati sensibili di decine di persone infettando i loro computer inviando un maleware attraverso mail di posta elettronica. Le ignare vittime ricevevano mail con aggiornamenti sul Covid-19 e le aprivano consentendo ad un hacker 45enne di Taranto di penetrare nel loro sistema di posta elettronica e di rubare i loro dati. Un’indagine complessa quella denominata “Glaaki” che Personale del Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (C.N.A.I.P.I.C.) della Polizia Postale e delle Comunicazioni, ha portato avanti arrivando a dare esecuzione, con l’ausilio del Compartimento Polizia Postale di Bari, alla perquisizione locale, personale ed informatica nei confronti di questo personaggio.
All’indagato vengono contestati i reati di “detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici” (art. 615 quater c.p.) e “diffusione di programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico” (art.615 quinquies c.p.).
Il provvedimento, emesso dalla Procura della Repubblica di Roma che ha coordinato le indagini, è stato eseguito all’interno dell’abitazione ove l’indagato risiede insieme ai genitori.
Nel corso della perquisizione è stata rinvenuta e sequestrata un ingente quantità di materiale informatico a riscontro dell’attività investigativa svolta dal centro e che sarà oggetto di successiva analisi forense da parte degli specialisti del Centro.
L’indagine, denominata “Glaaki”, nome dato dagli esperti di sicurezza informatica che per primi sono incappati nella campagna di attacco sino a quel momento sconosciuta, origina da uno spunto investigativo emerso nel corso delle analisi svolte in collaborazione con la società di sicurezza informatica Ts-way s.r.l. ed è stata avviata nel febbraio del 2020, in piena emergenza epidemiologica da Covid. Questo Centro è venuto a conoscenza di una campagna di spear phishing perpetrata attraverso l’invio massivo di email dirette ad ignari cittadini destinatari di un messaggio contenente un allegato malevolo avente ad oggetto proprio le parole “Covid-19”.
Proprio l’impatto psicologico dovuto all’emergenza agli inizi di febbraio 2020, ha consentito all’hacker di massimizzare gli effetti della campagna di spear phishing.
Con il pretesto di fornire aggiornamenti sullo stato di avanzamento del contagio, il cyber criminale ha indotto i destinatari delle email ad aprire un allegato infetto, contenente un codice malevolo di tipo keylogger che, inoculato all’interno del pc del destinatario della email, ha consentito all’indagato di appropriarsi delle password digitate, delle credenziali bancarie e dei dati personali delle vittime.
Le sofisticate tecniche utilizzate per indurre i destinatari dell’attacco ad aprire l’allegato vengono in gergo denominate “spoofing” e hanno visto l’attaccante modificare i campi mittente utilizzando “nomi di mittenti credibili”, inducendo le vittime ad aprire l’allegato proveniente da un indirizzo mail “trusted”.
Una volta aperte le porte del sistema informatico della vittima infatti, l’hacker esfiltrava i contatti della rubrica della casella di posta elettronica, a loro volta potenziali vittime e quindi successivamente mittenti fittizi per nuovi messaggi vettori del virus.
Le complesse attività di analisi del traffico prodotto dal malware, dai computer violati verso altri spazi web, hanno consentito di ricostruire il funzionamento del codice malevolo e quindi l’origine del traffico dati, fino ad arrivare all’individuazione di alcuni IP in uso al possibile attaccante.
La conferma del complesso quadro investigativo è emersa durante le perquisizioni informatiche, nel corso delle quali gli specialisti del Centro hanno rintracciato ed isolato, su un dispositivo in uso all’indagato, il codice malevolo creato ad hoc per la campagna di spear phishing.
L’hacker è un informatico esperto in codici di programmazione. Le indagini, tuttora in corso, permetteranno di individuare gli eventuali complici dell’hacker ovvero i possibili acquirenti dei dati sottratti.
Purtroppo nel corso della pandemia gli attacchi informatici, anche meno complessi di quello oggetto d’indagine, hanno visto una pericoloso innalzamento segnando un incremento del 246%, mentre le frodi telematiche che spesso sfruttano i dati sottratti hanno visto un più 64%.
Sin dal febbraio dello scorso anno, con il drammatico dilagare dell’epidemia da covid-19, la dimensione globale del cybercrime ha conosciuto aumenti significativi, tanto nella quantità quanto, soprattutto, nella qualità della minaccia cibernetica.
L’emergenza covid-19, infatti, ha offerto ai gruppi cyber-criminali un’ulteriore occasione per strutturare e dirigere attacchi ad ampio spettro, volti a sfruttare per scopi illeciti la situazione di particolare esposizione e maggior vulnerabilità in cui il paese è risultato, e tuttora risulta, esposto.
Alcune delle più rilevanti infrastrutture sanitarie (Enti governativi, ospedali, istituti di ricerca), impegnate nel trattamento dei pazienti “covid” sono state oggetto di campagne di aggressione portate in vario modo da attori ostili: campagne di cyber-estorsione volte alla veicolazione all’interno dei sistemi ospedalieri di sofisticati ransomware, concepiti allo scopo di cifrare e rendere perciò inservibili, dati sanitari necessari ai programmi di cura; intrusioni informatiche nei sistemi critici attraverso sofisticati malware, volte alla esfiltrazione di informazioni riservate riguardanti lo stato di avanzamento della pandemia e l’elaborazione di misure di contrasto, specie con riguardo all’approntamento di vaccini e terapie anti-Covid; frodi informatiche, anche milionarie, nell’approvvigionamento di dispositivi sanitari, sia attraverso il clearweb che all’interno delle piattaforme di black market allocate sul darkweb; attacchi di phishing ai danni di enti ed imprese, veicolati attraverso messaggi di posta elettronica i quali, dietro apparenti comunicazioni di Ministeri, organizzazioni sanitarie ed altri enti, relative all’andamento del contagio o alla pubblicazione di misure di contrasto, nascondevano in realtà sofisticati virus informatici in grado di assumere il controllo dei sistemi attaccati e procedere così alla esfiltrazione di dati personali e sensibili, alla captazione di password di accesso a domini riservati.
Il mistero degli uomini attorno all’auto di Giambruno: nuove ombre e una nuova interrogazione parlamentare
Cosa ci facevano, nella notte tra il 30 novembre e il 1 dicembre 2023, due uomini accanto alla Porsche di Andrea Giambruno, ex compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni? È la domanda che torna con forza dopo un’inchiesta de La Stampa di Torino, che riporta nuovi dettagli e riaccende i riflettori su un caso dai contorni ancora oscuri.
Secondo quanto ricostruito da La Stampa, una pattuglia della polizia di zona nota due uomini che armeggiano vicino all’auto parcheggiata sotto l’abitazione della premier. Alla richiesta di identificarsi, i due rispondono evasivamente, mostrandosi come «colleghi» e mostrando un tesserino. Poi si allontanano. È l’inizio di una vicenda dai risvolti inquietanti: le indagini passano dalla Digos alla Squadra Mobile, entra in scena anche l’antiterrorismo, e le ombre si addensano sui Servizi segreti interni (Aisi).
Una poliziotta riconosce, tra le foto mostrate, due volti che sembrano corrispondere a funzionari dell’intelligence, ma il Dipartimento nega qualsiasi coinvolgimento. Tuttavia, come riporta La Stampa, entrambi i presunti agenti sarebbero stati successivamente trasferiti, uno in Tunisia, l’altro in Iraq, mentre intanto la presidente Meloni chiede un cambio nel dispositivo di sicurezza personale.
Nel giugno 2024, un ricettatore si autoaccusa, dicendo di essere stato lui accanto all’auto. Ma le sue parole risultano contraddittorie e poco credibili, e la poliziotta non lo riconosce. Il fascicolo si avvia verso l’archiviazione per mancanza di reato, ma il secondo uomo resta senza nome.
Renzi presenta nuova interrogazione e annuncia esposto in Procura
Ora la vicenda torna al centro anche della politica. Dopo una prima interrogazione del 13 febbraio, Matteo Renzi e Ivan Scalfarotto, senatori di Italia Viva, annunciano una nuova interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che sarà formalizzata mercoledì, e la presentazione di un esposto in Procura a Roma entro questa settimana.
«Alla luce dell’articolo de La Stampa — si legge in una nota di Italia Viva — intendiamo fare piena luce su quanto accaduto e capire se davvero in quella notte ci fosse un’azione di sorveglianza o di interferenza operata da soggetti riconducibili ai Servizi segreti. Una vicenda che, nonostante l’avvio verso l’archiviazione, presenta ancora elementi poco chiari».
Ombre su Palazzo Chigi: caso chiuso o mistero irrisolto?
Nel frattempo, nei palazzi della politica e nei corridoi dell’intelligence si continua a parlare sottovoce di questa storia, che sfiora i vertici della sicurezza nazionale e lascia dietro di sé una lunga scia di dubbi e coincidenze inquietanti. Che cosa cercavano quei due uomini? Perché nessuno riesce a identificarli chiaramente? E perché il caso è stato chiuso così rapidamente?
Il fascicolo potrebbe essere archiviato, ma la caccia al secondo uomo è ancora aperta. E, con la nuova offensiva parlamentare di Renzi, il caso potrebbe tornare presto al centro del dibattito istituzionale.
Roberto Saviano (le foto sono di Imagoeconomica)torna a parlare. Lo fa in una lunga e intensa intervista rilasciata al Corriere della Sera, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro L’amore mio non muore (Einaudi). Dall’esperienza ai funerali di Papa Francesco alla memoria dolorosa della sua zia scomparsa, dal prezzo pagato per la scrittura alla condanna della solitudine, Saviano racconta senza filtri la sua vita da recluso, il senso di colpa, il peso degli attacchi e l’ossessione per la verità.
“Ho partecipato ai funerali di Francesco, come a quelli di Wojtyla. Ma lì c’era la camorra a vendere i panini”
La sua presenza in Vaticano ha destato curiosità. Ma Saviano spiega: «Ero stato anche ai funerali di Wojtyla, da cronista. Seguivo la vendita dei panini, organizzata dal clan». E sottolinea quanto la figura di Francesco, a differenza delle autorità presenti, abbia voluto essere toccata dagli ultimi.
“Mi sento in colpa. La mia famiglia ha pagato tutto. Io ho scelto, loro hanno solo perso”
Saviano ammette il dolore più intimo: la scomparsa recente della zia, vissuta in solitudine. «Ho la sensazione di aver sbagliato tutto», confessa. «I miei genitori si sono sradicati da Caserta per proteggermi. Io ho fatto carriera, loro hanno solo pagato».
E ancora: «Pensavo di cambiare la realtà con i libri, di accendere una luce. Ma ho solo generato isolamento».
“Il simbolo è di pietra. Non puoi sbagliare, non puoi contraddirti. Non sei più uomo, ma solo rappresentazione”
La condizione di scrittore-simbolo lo opprime: «Esisto per quello che rappresento, non per quello che sono». E il suo ruolo pubblico – protetto, attaccato, giudicato – ha inciso su tutto: amicizie, amore, libertà. «Quando vuoi bene a qualcuno, quella persona deve restare fuori dalla gabbia in cui tu sei chiuso. Nessun amore sopravvive così».
“Ho pensato di farla finita. Ma il corpo ha reagito. E ho capito che la fine non era quella”
Parla anche di pensieri estremi: «Ho pensato al suicidio. Volevo mettere il punto. Poi, guardandomi allo specchio, ho capito che non era quella la soluzione». E oggi convive con crisi di panico, insonnia, ansia. «Alle 5 del mattino non respiro. E mi chiedo: dove vado adesso?».
“Rushdie è vivo solo perché l’attentatore non sapeva usare il coltello. Ma almeno ora nessuno può dire che la minaccia era inventata”
L’amicizia con Salman Rushdie è per Saviano un nodo emotivo forte. L’attacco subito dallo scrittore anglo-indiano ha svelato la verità del pericolo: «È vivo per miracolo, e ora nessuno può più dire che la fatwa era un’esagerazione. Lui almeno ha avuto una liberazione. Io no: sono ancora dentro».
“Vorrei sparire. Cambiare nome. Prendere un camion e guidare lontano. Ma so che non posso”
L’idea della fuga è ricorrente: «Vorrei una nuova identità, un’altra vita. Ho preso la patente per il camion. Sogno di fare come Erri De Luca, partire per una missione umanitaria». Ma aggiunge con amarezza: «Non ne uscirò mai. Sono un bersaglio».
ROBERTO SAVIANO
“In Italia, se non muori, ti dicono che il pericolo non era reale. La scorta diventa uno stigma, non una protezione”
Saviano riflette sull’ossessione per la scorta: «In Italia, se non ti uccidono, allora vuol dire che hai esagerato». Racconta l’episodio surreale di una signora che lo accusa in aeroporto di aver mentito sul pericolo perché era da solo.
“Con Gomorra ho illuminato l’ombra. Ora racconto Rossella, uccisa dall’amore e dalla ’ndrangheta”
Il suo nuovo libro ricostruisce la storia di Rossella Casini, ragazza fiorentina scomparsa nel 1981 perché si era innamorata del figlio di un boss. Una tragedia sommersa, raccontata con sguardo letterario e civile. «Una Giovanna d’Arco ingenua e lucida. Il suo corpo non è mai stato trovato. La sua colpa: amare dissidenti».
“Michela Murgia mi ha insegnato la libertà nei legami. E mi ha donato vita. Ora mi manca anche l’amore”
Commuove il ricordo dell’amicizia con Michela Murgia: «Mi ha insegnato a tagliare i lacci ai sentimenti». E confessa: «Mi manca l’amore. Ma come si ama, se vivi da prigioniero? L’amore ha bisogno di leggerezza. Io sono pesante, ormai».
Nel cuore rinascimentale di Palazzo Vitelli a San Giacomo, a Città di Castello, si è compiuto un piccolo miracolo tecnologico: un Commodore 64, icona informatica degli anni ’80, ha dialogato con ChatGPT (foto Imagoeconomica in evidenza), intelligenza artificiale simbolo del terzo millennio. Una scena che sembra uscita da un racconto di fantascienza, e invece è avvenuta davvero, durante l’undicesima edizione di “LudiKastello”, il festival dei giochi di ruolo, da tavolo, miniature e carte collezionabili.
Il fascino del tempo che si incrocia
Un computer da 1 MHz di potenza, con 64 kB di RAM, collegato a un’intelligenza artificiale in cloud capace di elaborare miliardi di dati in pochi secondi. È questa la suggestione che ha incantato i visitatori dell’evento, dove il passato più romantico dell’informatica ha stretto la mano al presente più ambizioso dell’innovazione.
Il tecnico informatico Fabio Antimi, protagonista della dimostrazione, ha spiegato come sia stato possibile far dialogare il vecchio computer con il web:
«Tramite un collegamento cablato, il C64 si è connesso al server BBS dell’associazione RetroCampus di Milano, permettendo l’accesso a notizie, meteo e anche all’interazione diretta con ChatGPT in tempo reale, tutto in formato testuale».
L’intelligenza artificiale in stile Televideo
La comunicazione avveniva in un’interfaccia stile videotext, un richiamo nostalgico a quegli anni in cui il Televideo RAIera il portale informativo di intere generazioni. E così, battendo su una tastiera a corsa lunga, le domande digitate venivano inviate a ChatGPT, che rispondeva in pochi secondi con testi leggibili sul monitor a fosfori verdi.
«È un’esperienza che unisce il piacere del vintage con il potere del presente» — raccontano i rappresentanti dell’associazione Peter Pan, organizzatrice dell’evento — «un ponte tra generazioni di appassionati, tra chi sognava con i pixel e chi oggi progetta il futuro con gli algoritmi».
Una macchina del tempo digitale
Non si è trattato solo di una dimostrazione tecnica, ma di un vero e proprio atto poetico: far parlare una macchina nata quando Internet era appena un sogno accademico, con un’intelligenza artificiale capace di generare testi, idee e conversazioni in tempo reale.
Un dialogo surreale, ma reale, che ha fatto vibrare di emozione tutti i presenti. Perché quando il passato e il futuro riescono a parlarsi, il presente diventa magia.