L’offensiva dei miliziani filo-turchi è “una minaccia alla sovranità della Siria” e “l’ordine va ristabilito il più presto possibile”. L’unica esternazione del Cremlino su quanto avviene nel Paese alleato mediorientale risale a venerdì. Ma nel frattempo la diplomazia russa ha messo in moto una serie di contatti – prima di tutto con la Turchia e l’Iran – per cercare di tamponare una crisi nel Paese alleato che sembra avere colto impreparata Mosca e minacciare l’apertura di un altro pericoloso fronte.
La testata ucraina Kyiv Post, citando “social media islamici”, si è spinta ad ipotizzare un ruolo dell’Ucraina nell’offensiva delle milizie jihadiste che hanno preso il controllo di Aleppo, sostenendo che sarebbero state addestrate dalle forze speciali ucraine dell’intelligence militare di Kiev (Gur). In particolare, aggiungono le fonti, gli addestratori apparterrebbero al cosiddetto gruppo Khimik, a cui era già stata attribuita la paternità di un attacco contro una base militare russa a sud-est di Aleppo lo scorso 15 settembre.
A sostegno di questa ricostruzione, il Kyiv Post cita le parole del capo del Gur, Kyrylo Budanov, il quale fin dal maggio del 2023 aveva avvertito che le sue squadre speciali avrebbero continuato a “uccidere i russi ovunque e in qualunque momento fino alla completa vittoria dell’Ucraina”.
Quello siriano rischia di diventare per la Russia il terzo fronte di guerra, dopo l’Ucraina e quello del Sahel africano, dove i contingenti di Mosca hanno sostituito negli ultimi due anni e mezzo quelli francesi in Burkina Faso, Niger e Mali sotto la regia del vice ministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov. Lo scorso agosto il Mali ha rotto le relazioni diplomatiche con l’Ucraina, accusandola di sostenere i ribelli Tuareg che il mese prima avevano attaccato e distrutto una colonna di militari maliani e russi della Wagner nel nord del Paese.
Anche la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, aveva puntato il dito contro l’Ucraina, accusandola di aver aperto “un secondo fronte” in Africa sostenendo “gruppi terroristici” perché “incapace di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia”. Le voci che circolavano nella capitale russa e che parlavano di consultazioni tenute dal presidente siriano Bashar al Assad durante una visita lampo a Mosca hanno trovato conferma oggi sui media governativi siriani: il rais sabato avrebbe effettivamente incontrato Putin, anche se dal Cremlino non è giunta alcuna conferma ufficiale, mentre il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha avuto ieri un colloquio telefonico con il suo omologo turco Hakan Fidan, con il quale ha parlato tra l’altro del “processo di Astana”.
Cioè di quel coordinamento tra Mosca, Ankara e Teheran che finora era sembrato poter armonizzare i diversi interessi in gioco in Siria. L’avanzata dei jihadisti sostenuti dalla Turchia potrebbe invece essere d’intralcio ai rapporti amichevoli fin qui intrattenuti tra i presidenti Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, già messi a dura prova nel 2015 dall’abbattimento di un jet russo da parte di F-16 turchi al confine tra la Siria e la Turchia. La priorità per Mosca è per ora quello di tenere lontane le possibili minacce alla sua base navale di Tartus, a nord del confine con il Libano, l’unica di cui dispone nel Mediterraneo. Almeno finora, perché media occidentali sostengono che da tempo il vice ministro Yevkurov è in trattative con il generale libico Khalifa Haftar per aprire un altro porto militare a Bengasi o a Tobruk. Mentre Ankara sostiene il governo rivale di Tripoli.