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Corona Virus

“Il vaccino di Pfizer è efficace al 90%”, il mondo esulta

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E’ gia’ in ottima posizione per conquistare il primato del “vaccino piu’ veloce” della storia: quello contro la pandemia di Covid-19 messo a punto dall’americana Pfizer e dalla tedesca BioNTech non ha ancora concluso l’ultima fase della sperimentazione, ma i dati indicano gia’ che e’ efficace nel prevenire il 90% delle infezioni. L’annuncio del presidente della Pfizer Albert Bourla ha subito fatto il giro del mondo, facendo volare le Borse e accendendo speranze ovunque nel pieno di una violentissima seconda ondata dell’epidemia. Ad alimentare l’ottimismo anche l’annuncio della BioNTech di voler chiedere, con la Pfizer, l’autorizzazione per la produzione all’ente americano per la sorveglianza sui farmaci, la Food and Drug Administration (Fda). Sulla base delle proiezioni, le due aziende ritengono di poter fornire 50 milioni di dosi a livello globale nel 2020, e fino a 1,3 miliardi nel 2021. E’ la prima volta che si assiste ad una corsa simile per ottenere un vaccino contro una malattia mai vista, responsabile di una pandemia. Basti pensare che solo nel maggio scorso la BioNTech si trovava nella fase 1 della sperimentazione in compagnia di una manciata di altre aziende. Oggi, secondo la lista stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (Oms), sono 202 le aziende che nel mondo stanno sperimentando un vaccino anti Covid-19. Di queste, 47 hanno cominciato i test sull’uomo, dieci delle quali hanno raggiunto la terza e ultima fase della sperimentazione. Corsie preferenziali, autorizzazioni piu’ snelle e una macchina organizzativa mai vista hanno permesso di condensare in pochi mesi un processo che in condizioni normali richiede anni.

Per questo l’annuncio di Pfizer e BioNTech ha acceso anche l’entusiasmo e la speranza dei politici, a partire dal presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden, per il quale il dato sul vaccino “da’ speranza” ma “e’ importante capire che mancano ancora mesi per la fine di questa battaglia contro il Covid-19”. Anche il processo di approvazione del vaccino, ha aggiunto, “deve essere guidato dalla scienza in modo che l’opinione pubblica abbia fiducia che sia sicuro ed efficace”. L’invito e’ a mantenere la calma e a non abbandonare le misure di prevenzione, considerando che “le proiezioni indicano che potremmo perdere altre 200mila vite nei prossimi mesi prima che il vaccino sia disponibile per tutti”. Molto diverso lo stile del presidente uscente Donald Trump, che ha twittato: “La borsa va su, il vaccinoarrivera’ presto. Report sull’efficacia al 90%. Grande notizia!”. Entusiasta anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che in un tweet ha esclamato che “la scienza europea funziona!” e ha annunciato di voler firmare con Pfizer e BioNTech un contratto per avere fino a 300 milioni di dosi. E’ stato invece il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, a parlare del vaccino piu’ veloce nella storia dell’umanita’.

In Italia il collega Roberto Speranza ha definito le notizie sul vaccino “incoraggianti”, osservando tuttavia che “serve ancora tanta prudenza”. In attesa del vaccino, infatti, le uniche difese sono uso della mascherina, distanziamento e igiene delle mani, ma l’annuncio delle due aziende ha scosso anche il mondo scientifico. “Notizie incoraggianti”, ha commentato il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus; “una notizia straordinaria”, ha detto l’immunologo Anthony Fauci, direttore del Centro americano per le malattie infettive (Niaid). Se il risultato e’ senza dubbio positivo, la comunita’ scientifica attende adesso il completamento dei test e la pubblicazione dei risultati, nonche’ la risposta a domande cruciali, come quelle sulla durata dell’immunita’ e sulla distribuzione del vaccino nei Paesi più poveri.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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