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Il ricatto di Putin: via le sanzioni o niente gas

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Via le sanzioni o niente piu’ gas. Il messaggio che da Mosca arriva all’Europa non potrebbe essere piu’ esplicito. E il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, confermando lo stop delle forniture dal gasdotto Nord Stream, di fatto da’ sostanza all’ultima minaccia di Vladimir Putin: quella della “tempesta globale” pronta ad abbattersi in vista dell’inverno su una Unione europea decisa piu’ che mai a imporre un tetto al prezzo del gas russo. Lo ha ribadito la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, lo ha invocato il presidente francese Emmanuel Macron. Con l’inquilino dell’Eliseo che, dopo un colloquio col cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha annunciato un patto di solidarieta’ sull’asse Parigi-Berlino: per affrontare l’inverno la Francia esportera’ gas verso la Germania in cambio di energia elettrica. Ma intanto, di fronte al braccio di ferro tra la Russia e la Ue, i mercati continuano a tremare. Il prezzo del gas e’ tornato a volare, toccando nuovamente ad Amsterdam il picco dei 290 euro al megawattora per poi chiudere a 245 euro. Un andamento che oramai da qualche settimana e’ da montagne russe. A fondo vanno le Borse europee che hanno bruciato oltre 58 miliardi di euro (Wall Street era chiusa per il Labour Day), con Milano che ha perso oltre il 2% mandando in fumo 12 miliardi, maglia nera insieme a Francoforte. Mentre lo spread e’ tornato a salire a 237 punti, con l’euro scivolato ai minimi da 20 anni sul dollaro. Acque agitate dunque nel Vecchio Continente, dove pero’ oramai prevale la linea ‘whatever it takes’, con Bruxelles e le principali capitali pronte a tutto per far fronte all’emergenza del caro-energia mantenendo una posizione intransigente nei confronti della Russia. Le prime decisioni sono attese nel corso del Consiglio dei ministri Ue dell’energia di venerdi’ 9 settembre. Sul tavolo due opzioni principali: un tetto al prezzo del gas e possibili linee di credito d’emergenza per gli operatori del mercato energetico. In particolare, come emerge da una bozza della presidenza di turno ceca della Ue, si pensa a una limitazione temporanea del prezzo del gas utilizzato per la produzione di energia elettrica e a una limitazione del prezzo del gas importato”, oltre a sospensioni temporanee dei mercati europei dei derivati sull’energia. Sono tutte misure che Mosca vede come il fumo negli occhi, col Cremlino che ribadisce la sua versione: i problemi con le forniture di gas all’Europa attraverso il Nord Stream continueranno fino alla revoca delle sanzioni che impediscono la manutenzione dei macchinari del gasdotto. “Sono proprio le sanzioni che gli Stati occidentali hanno imposto – ha affermato Peskov – che hanno portato la situazione a quello che stiamo vedendo ora”. Mentre Putin ha accusato l’Occidente anche di frenare la soluzione dei problemi ambientali globali. E mentre il presidente del consiglio europeo, Charles Michel, e’ arrivato a sorpresa in Algeria per una visita di lavoro e per discutere forniture aggiuntive da parte del Paese nordafricano, la Germania ha annunciato che per ora terra’ due centrali nucleari di riserva fino al 2023. Nel frattempo Teheran tenta di approfittare della situazione di crisi, dicendosi pronta a rifornire l’Europa e a soddisfare i suoi bisogni energetici. Ma ad un patto: che l’Occidente rilanci l’accordo sul nucleare iraniano del 2015, quello stracciato da Donald Trump, e rimuova le sanzioni contro la Repubblica Islamica. Una mossa che molti interpretano piu’ come una provocazione che come una proposta concreta. Intanto preoccupa anche la situazione sul fronte delle forniture di petrolio. Cosi’ l’Opec+ ha deciso di tagliare la produzione di 100.000 barili al giorno nel mese di ottobre per stabilizzare il mercato, ritornando cosi’ sui livelli del mese di agosto.

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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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