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Il premier Conte, ora più forte per le riforme: appena rientrato vede Mattarella

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 Duecentonove miliardi. E la “responsabilita’” di “far ripartire il Paese con forza, cambiarne il volto”. Dopo una maratona negoziale lunga cinque giorni e una ultima lunga notte di scontri e trattative, Giuseppe Conte torna a Roma convinto di aver incassato una vittoria pesante. “Il governo e’ forte, ora si rafforza la sua azione”, esulta all’alba. E’ il premier a essere piu’ forte e poter guardare con piu’ tranquillita’ ai prossimi mesi, dicono i suoi, allontanando lo spettro di fibrillazioni e possibili crisi. Subito dopo l’atterraggio Conte va al Quirinale, per un faccia a faccia con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Per un Paese che affronta un enorme calo del Pil, si creano ora “condizioni proficue” per “predisporre rapidamente”, e’ l’auspicio e lo sprone del capo dello Stato, “un concreto ed efficace programma di interventi”. Conte si prepara a riferire alle Camere, convinto di aver “difeso la dignita’ dell’Italia e il ruolo delle istituzioni europee”. Promette che sull’uso dei fondi coinvolgera’ le opposizioni. Rilancia l’incontro finora mai avvenuto per discutere il Piano di rilancio e ringrazia quegli esponenti del centrodestra che “hanno capito la posta in gioco”. Mette cosi’ a nudo i distinguo tra Silvio Berlusconi che promuove un “buon compromesso”, Giorgia Meloni che ha “tifato Italia” ma ora dice che si poteva fare di piu’, e Matteo Salvini che evoca la troika, un “superMes”, una “grossa fregatura”. Il leghista e’ in difficolta’, commentano dalle fila di una maggioranza esultante. Ma dalla maggioranza trapela gia’ qualche dubbio sulla scelta del premier di annunciare una “task force operativa” per preparare il programma delle riforme. E se Conte spera di avere sminato, con il risultato europeo, un Mes che dice non essere il suo “obiettivo”, tra i giallorossi la calma e’ apparente, il Mes resta un tema pronto a riemergere presto. Non passa percio’ inosservata una frase pronunciata da Davide Casaleggio, che solo due settimane fa aveva incontrato il premier: “Dobbiamo recuperare risorse da tutte le fonti disponibili, anche per la sanita’”, dice in un’intervista. Un’apertura al Mes? Casaleggio non lo cita apertamente, ma c’e’ chi nella maggioranza ipotizza che sia un modo per sminare il campo al presidente del Consiglio aprendo a questa ipotesi. L’intervento europeo e’ di portata “storica” per l’Europa e per l’Italia, sottolinea il presidente del Consiglio. E annuncia investimenti strutturali e riforme per un Paese “piu’ verde, piu’ digitale, piu’ innovativo, piu’ sostenibile, piu’ inclusivo”. Conte, che i suoi descrivono impegnato fino all’ultimo con Macron in una battaglia per non ridurre i fondi, porta a casa il 28% dell’intero pacchetto europeo: 81,4 miliardi di sussidi e 127,4 miliardi di prestiti. I fondi arriveranno nel 2021, ma il 10% dei sussidi (circa 8 miliardi), come spiega il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, potranno essere anticipati e finanziare progetti avviati da febbraio 2020. Questi soldi, sottolinea il presidente della Repubblica esprimendo a Conte “apprezzamento e soddisfazione”, dovranno essere subito incanalati in interventi “efficaci”. “Dobbiamo correre”, si mostra determinato Conte, quando alle sei del mattino si collega con i giornalisti in videoconferenza dalle sale del Consiglio europeo, dopo una foto ricordo con pugno alzato e sorriso nascosto dalla mascherina. Non aspettera’ settembre, si mettera’ subito al lavoro, assicurano i suoi. Il primo atto sara’ un nuovo scostamento di bilancio da circa 20 miliardi, per tamponare la crisi con nuova cassa integrazione, risorse per Comuni e scuola. Si mettera’ al lavoro, assicura, con i suoi ministri che sono “una grande squadra” (con parole che non sembrano allontanare del tutto l’ipotesi di un rimpasto).

Il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte al Quiirinale in occasione del prossimo Consiglio Europeo
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Ma sul medio termine la prova e’ difficile. Ad avere “visione, concretezza, efficacia” lo invita Nicola Zingaretti, che lo aveva accusato di troppi rinvii. “No all’assistenzialismo, si’ agli investimenti”, incalza Matteo Renzi. Vito Crimi parla di “risultato storico” e Luigi Di Maio rivendica di aver “creduto nel cambiamento dell’Europa”. La prova delle riforme non si puo’ fallire: Conte e i leader della maggioranza lo sanno. Ma i partiti sono divisi, a partire dal Mes, che Iv e Pd spingono per utilizzare, mentre M5s respinge (complici anche le somme anticipate del Recovery fund). Conte non esclude del tutto il Mes ma dice che “non e’ l’obiettivo dell’Italia”, che ha come priorita’ usare le risorse del Recovery, che ha prestiti dai tassi molto vantaggiosi. Il problema, ribattono gli alleati, e’ che fino al 2021 potrebbero servire piu’ soldi. Quanto alla task force per il piano di rilancio, annunciata prima da Gualtieri e poi da Conte, trapelano dubbi sia dal M5s, che vorrebbe veder coinvolti i suoi ministri, che da Pd, dove si parla di scelta non ancora discussa, e da Iv, che nega la necessita’ di “un’altra task force”. Ma Conte ora sa di essere piu’ forte: glielo riconosce anche Alessandro Di Battista, quando denuncia tentazioni di ribaltoni e chiede all’avvocato di resistere a chi, anche nella maggioranza, lavora per larghe intese o tecnocrati. Non meglio va nel centrodestra, dove si confermano le divisioni. Berlusconi plaude all’intesa e punta il dito contro le posizioni piu’ sovraniste. L’ex premier, raccontano da Fi, non fa mistero di volere una collaborazione istituzionale con il governo, anche se nega di voler entrare in maggioranza (ad Arcore si aspettavano il ringraziamento di Conte e nel governo le parole del leader di FI erano attese). Se si somma la non totale chiusura della Meloni, Salvini appare isolato sulla linea dura: parla di un “super Mes”, di una “grande fregatura” e sostiene che alcune misure come la condizionalita’ del rispetto dello Stato di diritto siano gia’ pensate per chiudere in futuro i rubinetti dei fondi alla Lega, se portera’ al governo la politica dei porti chiusi.

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Intenzioni di voto degli italiani: Meloni stabile, M5s in risalita

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Il mese appena trascorso è stato caratterizzato da numerosi eventi di rilievo, sia a livello internazionale che nazionale, che hanno avuto un impatto sulle intenzioni di voto degli italiani. Tra gli eventi più significativi, il fallito attentato a Donald Trump negli Stati Uniti e la sostituzione della candidatura di Joe Biden con quella di Kamala Harris. Inoltre, l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione UE ha evidenziato una divisione nel centrodestra italiano, con Forza Italia a favore e Fratelli d’Italia e Lega contro.

La premier Giorgia Meloni ha assicurato che il ruolo dell’Italia in Europa non subirà contraccolpi, ma la divisione tra gli alleati è evidente. Il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, ha dichiarato che “l’Autonomia non è un dogma” e ha espresso preoccupazioni per le regioni del Sud. Ha inoltre sottolineato che il commercio estero deve rimanere una competenza nazionale, contrastando ulteriormente la posizione della Lega.

La questione dell’Autonomia differenziata, le riforme della giustizia e l’aggressione di militanti di CasaPound a un giornalista hanno suscitato ampie polemiche. Il presidente del Senato, La Russa, è stato criticato per le sue posizioni che sembravano giustificare l’aggressione.

Nonostante questi eventi, le ricadute sugli orientamenti di voto sono state limitate.

Di seguito, le intenzioni di voto per le Politiche:

  • Fratelli d’Italia (FdI): 27,9%
  • Partito Democratico (PD): 22,6%
  • Movimento 5 Stelle (M5S): 13,0%
  • Forza Italia (FI): 8,8%
  • Lega: 8,0%
  • Alleanza Verdi e Sinistra (Avs): 6,4%
  • +Europa: 1,6%
  • Italia Viva (Iv): 2,3%
  • Azione: 3,0%

La valutazione dell’esecutivo e della premier Meloni ha subito lievi cali. Il governo ha un indice di approvazione del 43%, un punto in meno rispetto al mese scorso, mentre Meloni ha un indice di 44, anch’esso in calo di un punto. L’indice di approvazione dei leader politici è rimasto sostanzialmente stabile, con l’eccezione di Antonio Tajani, il cui indice è sceso di due punti a causa delle recenti polemiche con Matteo Salvini.

La politica internazionale sembra influire poco sulle opinioni degli elettori italiani, con i cambiamenti nelle intenzioni di voto che rimangono minimi. Tuttavia, le dinamiche interne ai partiti e le divisioni nel centrodestra potrebbero avere implicazioni future sulla stabilità del governo e sulle alleanze politiche. ​

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Antonio Tajani: l’autonomia non è un dogma

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Negli ultimi tempi, si sono moltiplicati i segnali di un’offensiva all’interno di Forza Italia. Oggi, il segretario del partito, Antonio Tajani, ha chiarito la sua posizione affermando che “l’Autonomia non è un dogma”. Questa dichiarazione, resa durante un confronto in Consiglio dei ministri con Roberto Calderoli, padre della riforma, sembra rappresentare quella scossa che Pier Silvio Berlusconi aveva chiesto a Forza Italia, passando da un “partito di resistenza a uno più di sfida”.

Dopo numerose critiche mosse da alcuni membri di Forza Italia, in particolare dal governatore calabrese Roberto Occhiuto, al provvedimento bandiera della Lega, Tajani ha assunto una posizione più decisa rispetto al passato. Serrando i ranghi anche rispetto a una fronda interna, di cui la battaglia in nome del Sud condotta da Occhiuto è un esempio, Tajani ha affermato: “L’Autonomia differenziata non è un dogma di fede, è una riforma voluta dalla sinistra nel 2001 e spinta dalla Regione Emilia-Romagna: ora vigiliamo sull’applicazione. Vigilare non vuol dire mettersi di traverso ma fare le cose fatte bene”.

Tajani ha aperto alla posizione di Occhiuto, riconoscendo le preoccupazioni delle regioni del Sud: “La riforma deve essere a vantaggio di ogni cittadino italiano”. Ha chiarito che non mette in discussione “l’impegno preso da FI” con gli alleati, ma ha sottolineato che “serve un’ulteriore riflessione”. Tajani ha anche espresso preoccupazioni in quanto ministro degli Esteri, affermando che “il commercio estero deve restare competenza nazionale, le Regioni non possono sostituire lo Stato”.

Queste dichiarazioni segnano un cambio di ritmo per Forza Italia, il cui ruolo all’interno del governo appare ora più dialettico e di pungolo. Prima di Tajani, altri dirigenti del partito avevano preso le distanze dall’Autonomia. Licia Ronzulli, ad esempio, ha criticato il decreto sulle liste d’attesa appena convertito, definendolo “una misura tampone, ma insufficiente”.

Un altro fronte aperto è quello del decreto Carceri: il compromesso raggiunto dalla maggioranza ha sacrificato ben sette emendamenti forzisti su nove. La linea securitaria di Fratelli d’Italia e Lega, che nega anche la semilibertà per chi ha ancora quattro anni da scontare, ha prevalso. In commissione, i dirigenti forzisti hanno abbozzato: “Non si può ottenere tutto subito”, ha detto Maurizio Gasparri. Tuttavia, lunedì sarà illustrata l’iniziativa comune di FI con i Radicali per affrontare “la questione penitenziaria”.

Recentemente, fonti forziste hanno sbarrato la strada alla proposta della Lega di aumentare la raccolta pubblicitaria Rai per abbassare il canone, affermando che “non è nel programma”.

Le parole di Tajani arrivano mentre il consiglio dei ministri affronta il nodo dell’Autonomia con una informativa del ministro Roberto Calderoli. “Ad oggi sono state trasmesse al governo le richieste delle Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria”, ha riferito Calderoli. Tajani ha chiesto di visionare la relazione e Calderoli, in tono gelido, ha assicurato: “La invio a tutti”.

In conclusione, le dichiarazioni di Tajani rappresentano un tentativo di Forza Italia di ritagliarsi un ruolo più critico e costruttivo all’interno del governo, affrontando temi delicati come l’Autonomia differenziata e la questione penitenziaria, cercando al contempo di mantenere un equilibrio con gli alleati.

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Svolta sulle Autostrade, allo Stato parte dei pedaggi

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Una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie. E’ con questa novità che si sblocca la partita delle concessioni, che aveva tenuto il stallo per qualche giorno il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Il provvedimento, che spazia dalla proroga dei dehors alle sanzioni per taxi e Ncc abusivi, incassa così il via libera del consiglio dei ministri.

Che suggella anche un nuovo tassello della delega fiscale. Ottiene infatti il via libera definitivo l’undicesimo decreto attuativo, che contiene nuove scadenze per le dichiarazioni e qualche nuovo aggiustamento al concordato preventivo, il meccanismo con cui il governo conta di incassare risorse da usare per la manovra. In particolare, slitta dal 30 settembre al 31 ottobre la scadenza per l’invio delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Irap. Viene inoltre ampliato da 30 a 60 giorni il termine per il pagamento degli avvisi bonari ricevuti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.

Per favorire l’adesione al concordato, invece, arriva la flat tax incrementale sul maggior reddito concordato, con aliquote variabili dal 10 al 15% in base al punteggio Isa (che indica l’affidabilità fiscale). Vengono anche rivisti gli acconti, con una minore maggiorazione. Approvato anche il “superamento definitivo del redditometro”, annuncia il vicepremier Matteo Salvini, intestando alla Lega questa “grande vittoria”, che dà lo “stop al Grande Fratello fiscale”. Un risultato su cui cui rivendica il proprio merito anche Fi.

“Viene introdotta una nuova misura, che stanerà i grandi evasori”, spiega da FdI il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando l’impegno del partito di Giorgia Meloni per un “fisco amico”. Il viceministro dell’Economia, esponente di FdI e ‘regista’ della delega, Maurizio Leo, che un paio di mesi fa aveva firmato un decreto che lo reintroduceva, poi sospeso, non ne fa menzione nel suo commento: illustra le altre misure e parla di “passo significativo verso una maggiore efficienza e semplificazione del sistema fiscale”.

Nel ddl concorrenza, che è uno dei 69 obiettivi per ottenere la settima rata del Pnrr, la principale novità è la riforma delle concessioni autostradali: arriva – per quelle in scadenza dal 2025 – un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi.

Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non supereranno i 15 anni. “L’obiettivo è realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo i pedaggi”, spiega Salvini, che in cdm porta anche una delibera che dà mandato all’avvocatura per depositare il ricorso contro i divieti unilaterali di Vienna al Brennero. Tante le altre misure del ddl concorrenza, dalla portabilità delle scatole nere alle start up innovative, dalle sanzioni per fronteggiare l’abusivismo nel settore dei taxi e Ncc alle misure per contrastare la cosiddetta ‘shrinkflation’, la pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto, mantenendo inalterato il confezionamento. Ci sono anche la portabilità delle scatole nere e la proroga (per un anno, in attesa delle norme di riordino del settore) dei dehors, che incassa il plauso delle sigle di categoria ma su cui i consumatori minacciano ricorsi. “Con il ddl – commenta il ministro delle Imprese Adolfo Urso – compiamo un altro significativo passo nella giusta direzione, a supporto delle imprese e a tutela dei consumatori”.

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