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Il Milan cade ancora, il Sassuolo espugna San Siro 3-1

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Secondo ko consecutivo per il Milan in campionato, battuto a sorpresa da un ottimo Sassuolo per 3-1 a San Siro. I rossoneri incassano la prima sconfitta casalinga dopo sette mesi, sempre per mano dei neroverdi emiliani. Non basta al Milan il vantaggio di Romagnoli, poi espulso nel finale. Il Sassuolo ribalta il risultato con un super Scamacca, autore del pareggio e propiziatore dell’autogol di Kjaer. Ci pensa poi Berardi a chiudere i conti. L’attaccante calabrese si conferma autentica bestia nera del Milan, con quello di oggi sono 10 i gol segnati in carriera ai rossoneri. Con questa vittoria il Sassuolo si porta a quota 18 punti in classifica, in una posizione più consona alle sue ambizioni. I neroverdi si confermano ammazzagrandi, avendo quest’anno già battuto in trasferta anche la Juventus. Il Milan, invece, paga forse la stanchezza dell’impresa di Madrid e ora rischia di vedersi staccare dal Napoli impegnato in serata contro la Lazio al Maradona. Il Milan ritrova il suo portiere titolare Maignan contro il Sassuolo, in una gara valida per la 14/a giornata di Serie A. E’ questa la novità principale nella formazione dei rossoneri, ma Pioli cambia anche in difesa schierando Florenzi a destra e Romagnoli al fianco di Kjær in mezzo con Theo Hernandez a sinistra. A centrocampo altre doppia novità con la coppia Bennacer-Bakayoko, mentre in avanti Saelemaekers, Díaz e Leão agiranno alle spalle dell’unica punta Ibrahimovic. Nel Sassuolo, Dionisi schiera una squadra molto offensiva con Berardi, Maxime Lopez e Raspadori alle spalle di Scamacca.Gara giocata a viso aperto dalle due squadre, senza troppi tatticismi. Nei primi minuti, Milan pericoloso più volte prima con Bennacer, poi con Bakayoko dalla distanza. Il Sassuolo non sta a guardare, ma attaccando presta il fianco alle fulminee ripartenze dei rossoneri che non riescono a concretizzare più di una opportunità con Ibra, Leao e Theo Hernandez. I neroverdi replicano, sfiorando a loro volta il gol prima con Frattesi e poi con una incursione di Raspadori. Al 21′ il Milan passa in vantaggio con un colpo di testa perentorio di Romagnoli su calcio d’angolo battuto da Theo Hernandez. Grave la distrazione della difesa del Sassuolo sull’incursione del capitano rossonero.

La reazione della squadra di Dionisi è immediata, al 24′ Scamacca firma il pareggio con un bolide di destro dalla distanza che si infila sotto l’incrocio dei pali. Poco dopo la mezzora il Sassuolo passa addirittura in vantaggio, ancora con Scamacca protagonista. Sul destro da centro area un doppio rimpallo tra Maignan e Kjaer condanna i rossoneri. Il Milan accusa il colpo e prima dell’intervallo rischia di capitolare ancora per mano di Raspadori e del solito incontenibile Scamacca.Nel secondo tempo, Pioli manda subito in campo Junioe Messias per Diaz e Kessie per Bakayoko. Il Milan si riversa con rabbia nella metà campo del Sassuolo, concedendo però troppi spazi alle ripartenze neroverdi. Non a caso il primo a rendersi pericoloso è Berardi. I rossoneri insistono, però, e sfiorano il pareggio con Leao che, entrato in area dalla sinistra calcia fuori a Consigli battuto. L’arrembaggio alla porta del Sassuolo prosegue, ci provano dalla distanza prima Tonali e poi Ibrahimovic. Ma la mira è sbagliata. E’ decisamente più preciso Berardi, che al 66′ si inventa una magia ai danni di Romagnoli in dribbling prima di battere Maignan in diagonale per il gol del 3-1. Pioli si gioca il tutto per tutto inserendo Pellegri in attacco al posto di Florenzi, con Saelemaekers che si abbassa sulla linea dei terzini. Dopo una buona occasione con Messias, fermato da Consigli, il Milan resta in dieci per l’espulsione di Romagnoli per fallo su Defrel lanciato a rete. Sulla punizione dal limite, Maignan si oppone a Berardi. Nel finale, con l’uomo in meno, la squadra di Pioli non riesce più a reagire e il Sassuolo riesce a portare a casa la preziosa vittoria in assoluto controllo.

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Esteri

Maradona, nuove rivelazioni dal processo: «Luque vietò l’ingresso ai medici chiamati dalle figlie»

Il chirurgo che seguì Diego negli ultimi giorni avrebbe impedito le valutazioni cliniche dopo l’intervento alla testa.

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Durante il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il dottor Fernando Villarejo, capo del reparto di terapia intensiva della clinica Olivos, ha rilasciato dichiarazioni importanti e potenzialmente decisive. Secondo il medico, Leopoldo Luque, il neurochirurgo a capo del team che seguì Maradona negli ultimi giorni, avrebbe impedito l’accessoad altri specialisti che volevano visitare l’ex campione dopo l’intervento alla testa del 3 novembre 2020.

Medici bloccati all’ingresso: «Chiamati dalle figlie»

Villarejo ha precisato che i medici esclusi erano stati convocati dalle figlie di Maradona, tra cui il dottor Mario Schitere una psichiatra. Il loro compito era valutare la possibilità di un trasferimento del paziente in una struttura di riabilitazione, data la complessità della sua condizione clinica.

«Luque ha vietato l’ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona», ha dichiarato Villarejo in aula, definendo il divieto «strano e intempestivo».

Cartella clinica: «Pluripatologie di difficile controllo»

Nonostante il divieto, il dottor Villarejo è riuscito comunque a consultare la cartella clinica di Maradona, dalla quale ha tratto conclusioni preoccupanti: il paziente era ancora in condizioni critiche, affetto da patologie complesse e difficili da gestire.

«Era un paziente molto complesso», ha spiegato, «e necessitava di un monitoraggio costante e di interventi mirati, che forse non gli sono stati garantiti».

Un processo che riaccende i riflettori sulla gestione medica

Le parole di Villarejo si inseriscono in un processo delicato, che mira a chiarire eventuali responsabilità e negligenzenella gestione sanitaria del più grande calciatore argentino. Il comportamento di Luque e le decisioni prese nei giorni successivi all’intervento chirurgico saranno al centro dell’analisi dei giudici.

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Esteri

La crociata di Ursula contro ‘i populisti filo-Putin’

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Lontano dalle suggestioni populiste, fermamente contro gli “estremisti di destra e di sinistra che non sono a favore della pace ma sono amici di Putin”, per usare le parole di Ursula Von der Leyen. E’ il Partito popolare europeo che si è ritrovato al Congresso di Valencia forte di una stagione di successi elettorali, a trazione sempre più tedesca, convinto di essere il motore propulsore di un’Europa che vuole rilanciarsi ed essere sempre più protagonista anche fuori dai confini dei 27. L’Europa disegnata dai popolari è un’entità politica capace di difendere i propri interessi nei confronti dell’alleato tradizionale, gli Usa, ma anche in grado di aprirsi nei confronti dei mercati emergenti, dalla Cina all’India, dall’Australia ai Paesi del Mercosur. Impegnata a voltare pagina sul fronte della difesa comune, della crescita e della lotta ai clandestini. L’asse formato da Ursula Von der Leyen, l’applauditissimo cancelliere in pectore Merz e il neo eletto presidente del partito, Manfred Weber tiene banco e dà la linea. “L’Europa è la nostra casa. E la nostra prima missione è proteggere il luogo che tutti chiamiamo casa”, ha sintetizzato Ursula Von der Leyen.

“Abbiamo vinto le ultime europee – ha detto Manfred Weber – grazie all’allargamento della famiglia del Ppe: non sono più conservatori o liberali ma stanno con noi. Il Ppe è il partito dell’Europa, dello stato di diritto. Viktor Orban se ne andrà in pensione e la nuova Ungheria sarà popolare”, ha aggiunto Weber tra gli applausi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha concordato sulla necessità per l’Unione europea di “voltare pagina”, a partire dalla lotta contro l’eccesiva burocratizzazione legislativa. E soprattutto chiudendo quanto prima la stagione del Green Deal, lasciandosi alle spalle “quella visione di Timmermans e di Greta Thunberg che – ha osservato il leader azzurro – aveva creato una sorta di dea natura, una forma di panteismo che non teneva conto della presenza dell’uomo, facendo perdere decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dalla pace in Ucraina, alla tensione con Trump sui dazi, dalla lotta contro l’immigrazione clandestina alla partita sulla crescita, il Ppe serra le file sulla responsabilità della leadership europea, consapevole che l’Unione, con i suoi valori e la sua storia, è destinata ad avere un ruolo centrale, in prima fila, nel mondo del futuro. L’Europa a guida popolare lancia poi un monito a Trump: “I mercati globali – ha ammonito Von der Leyen – sono scossi dall’imprevedibile politica tariffaria dell’amministrazione Usa. I loro dazi sul resto del mondo sono ai massimi da un secolo a questa parte. Le tariffe sono come le tasse. Fanno male sia ai consumatori che alle imprese. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo accada”.

Un partito popolare e una Commissione europea che oggi può incassare la discesa in campo di una sua nuova e fondamentale supporter, la Germania a guida Merz, il cui intervento è stato quello più applaudito nella sede della Fiera di Valencia. “Se altri Paesi mettono in discussione la legittimità della difesa dei confini e della sovranità – ha ammonito Merz – noi lotteremo ancora più forte a favore di questi valori”. Molto determinato anche sul dossier difesa: “Dobbiamo lavorare insieme come mai prima, con una sola voce, soprattutto sulla difesa: dobbiamo essere pragmatici nel nuovo progetto. Tutto deve avvenire nella cornice Nato ma dobbiamo essere capaci di difenderci meglio che nel passato”, ha concluso tra gli applausi.

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Economia

Il costo dei dazi nei prezzi Amazon, scontro Trump-Bezos

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La guerra dei dazi fa salire la tensione fra Donald Trump e Jeff Bezos. Mentre Amazon lancia la sfida a Starlink mandando in orbita il suo primo lotto di satelliti internet, la Casa Bianca critica duramente il colosso delle vendite online per essere pronto – secondo le indiscrezioni di Punchbowl – a evidenziare nei prezzi dei suoi prodotti l’impatto dei dazi. “E’ un atto politico e un atto ostile”, ha detto senza mezzi termini la portavoce Karoline Leavitt, chiedendosi come mai la società non lo abbia fatto “quando l’amministrazione Biden ha fatto salire l’inflazione ai massimi da 40 anni”.

Le pesanti critiche sono state seguite dalla smentita di Amazon. “Il team che gestisce il nostro negozio ultra low cost Amazon Haul ha preso in considerazione l’idea di indicare i costi di importazione su alcuni prodotti. Ipotesi che non è mai stata approvata e non verrà attuata”, ha detto un portavoce sottolineando l’idea “non è mai stata presa in considerazione per il sito maggiore di Amazon”. La spiegazione di Amazon, secondo quanto riportato da Cnn, sarebbe stata preceduta dalla telefonata ‘frustrata’ di Trump a Bezos, il miliardario in prima fila al giuramento del presidente insieme alla sua futura moglie Lauren Sanchez. Una telefonata confermata dal presidente: “E’ stato fantastico, ha risolto il problema molto rapidamente e ha fatto la cosa giusta. Ho apprezzato”.

I rapporti di Trump e Bezos si erano distesi con il secondo mandato presidenziale: se nei primi quattro anni alla Casa Bianca il tycoon non ha risparmiato critiche al fondatore di Amazon, soprattutto per il suo controllo del Washington Post, ora invece fra i due ci sarebbe un legame vero. Bezos è andato diverse volte a Mar-a-Lago e ha visitato più volte la West Wing della Casa Bianca per incontrare Trump, oltre ad aver messo il bavaglio alla pagina degli editoriali del quotidiano del Watergate, ordinando che si scriva soltanto di “libertà personali e libero mercato”. Per Bezos la posta in gioco è alta considerato che il ‘first buddy’ Elon Musk è il maggiore rivale nella sua corsa allo spazio. Dopo anni di ritardo, Amazon ha finalmente lanciato i suoi satelliti internet del Progetto Kuiper nel tentativo di recuperare il terreno perso con Starlink. Bezos ha investito più di 10 miliardi di dollari nel progetto e intende utilizzare questa rete di satelliti per fornire un accesso a internet ad altissima velocità da ogni angolo del mondo, comprese le aree remote e le zone di guerra o disastrate.

Un’impresa non facile visto lo strapotere spaziale di Musk che, però, rischia di pagare anche con Starlink la sua vicinanza a Trump. Lo scontro (rientrato) fra Trump e Bezos mostra, secondo molti osservatori, il pugno duro della Casa Bianca contro qualsiasi società che metta in dubbio le sue mosse. Se Amazon avesse messo in evidenza l’impatto dei dazi nei prezzi dei suoi prodotti, decine di altre aziende avrebbero seguito la stessa strada per difendere la loro reputazione dalla possibile ira dei consumatori contro i rincari, con il rischio di alimentare le critiche a Trump e minare la sua agenda. Per cercare di attenuarne l’impatto Trump ha firmato un ordine esecutivo per allentare la pressione dei dazi sulle case automobilistiche mentre la Casa Bianca lavora ad accordi commerciali.

“Penso che abbiamo un accordo con l’India”, ha detto il presidente criticando allo stesso tempo al Cina. In un’intervista a Abc di cui sono stati diffusi degli estratti, il presidente ha messo in evidenza che Pechino “merita” tariffe al 145%. “Abbiamo una cornice di intesa con la Corea del Sud. Le trattative vanno bene anche con il Giappone”, ha aggiunto il segretario al Tesoro Scott Bessent. A chi gli chiedeva di come andassero i negoziati con l’Ue, Bessent ha risposto: “Posso rifarmi alle dichiarazioni di Henry Kissinger, ovvero chi chiamo? Alcuni Paesi europei”, come la Francia e l’Italia, “hanno imposto ingiuste tasse sui servizi digitali per i nostri internet provider. Altri Paesi non le hanno. Vogliamo veder queste tasse ingiuste rimosse”.

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