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Politica

Il M5s si spacca sul capogruppo al Senato, il candidato “contiano” Licheri non vince

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Una frattura c’è, e si vede. Nel Movimento 5 Stelle piomba come un macigno la votazione per la scelta del nuovo capogruppo in Senato, perché il gruppo si spacca esattamente in due metà: 36 voti per il candidato ‘contiano’, l’uscente Ettore Licheri; 36 voti per la ‘sfidante’, Mariolina Castellone. Un pareggio alla prima votazione che è un chiaro messaggio ai vertici del Movimento: i malumori sono forti e il gruppo non gradisce l’atteggiamento del nuovo corso, proprio alla vigilia di appuntamenti fondamentali come la legge di Bilancio e, soprattutto, la scelta del nuovo capo dello Stato. In particolare, raccontano fonti parlamentari interne, non è piaciuto il tentativo di alcuni membri del nuovo board pentastellato di fare una sorta di “campagna elettorale per Licheri”. Questo “ha reso ancora più tesi gli animi, già irrigiditi dal fatto che ora la voce del Movimento è rappresentata solo dai 5 vicepresidenti e gli altri sono stati messi da parte”.Il tema c’è, anche se il leader, Giuseppe Conte, prova a spegnere ogni focolaio di polemica. “La votazione per il rinnovo del capogruppo M5S al Senato è il sintomo positivo di una dialettica interna sana e costruttiva, dove le posizioni dei due candidati rappresentano percorsi concorrenti, ma entrambi – come da loro stessi esplicitamente più volte chiarito – pienamente orientati a perseguire il nuovo corso del Movimento”. Ecco perché “sono felice di questo esercizio democratico che, anche alla luce dell’altissima affluenza, testimonia la forte vitalità politica della nostra comunità necessaria per proseguire con entusiasmo in questo percorso di rilancio”. Il presidente del Movimento spiega di aver “sentito entrambi per ringraziarli per la disponibilità e l’impegno sin qui profuso” e dice chiaro e tondo: “Non ho riscontrato traccia di spaccature né elementi che possano accreditare l’immagine distorta che qualcuno ha interesse strumentalmente a diffondere in queste ore di una votazione che torna utile per ‘contarsi’ o per alimentare nuove divisioni”. L’ex premier esorta a “spazzare via queste letture divisive, perché il nuovo corso è nel segno della inclusione e della massima valorizzazione dei talenti di ognuno”. Una chiave di lettura condivisa dai diretti interessati: “Al di là delle ricostruzioni di questi giorni e che smentiamo totalmente, la grande partecipazione alla votazione per l’elezione del nuovo direttivo sta a testimoniare l’entusiasmo del gruppo e la volontà di affrontare al meglio gli importanti appuntamenti che ci aspettano”, scrivono in una congiunta Castellone e Licheri.I malumori, però, esistono e resistono. E toccherà proprio a Conte ricomporre. Il leader, che si trova in tour per sostenere i candidati del Movimento alle comunali, prende tempo, d’accordo proprio con Licheri e Castellone: “Entrambi mi hanno comunicato la comune volontà di rinviare le votazioni alla settimana prossima, proprio nell’auspicio di lavorare insieme a una sintesi che possa rilanciare e rafforzare le attività non solo del gruppo parlamentare del Senato ma di tutto il MoVimento 5 Stelle”.Del resto, i risultati del voto in Senato sono arrivati proprio in contemporanea con la presentazione del primo libro di Luigi Di Maio. E non sono passati sotto silenzio nella nutrita platea (una cinquantina circa) di parlamentari che sono arrivati alla Galleria Sordi per ascoltare il ministro degli Esteri. Tra loro anche i compagni di viaggio della prima ora: da Alfonso Bonafede a Vincenzo Spadafora, Riccardo Fraccaro, Pietro Dettori, Sergio Battelli, Giulia Grillo, Federica Dieni, Dalila Nesci. C’è anche Virginia Raggi, alla sua prima uscita pubblica dopo l’insediamento di Roberto Gualtieri in Campidoglio. Molti notano – e fanno notare – l’assenza di Conte, anche se giustificato, perché impegnato a Manfredonia (Foggia) per sostenere il candidato sindaco, Raffaele Fatone. “Ma almeno uno dei 5 vicepresidenti poteva farsi vedere”, si lascia scappare un deputato della ‘vecchia guardia’, con aria delusa. Tutti segnali che qualcosa nel Movimento va rimessa a posto. E alla svelta, possibilmente.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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