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Esteri

Il giorno di Trump in tribunale per l’assalto a Capitol

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Per la terza volta in pochi mesi, Donald Trump arriva in un tribunale per ascoltare le accuse a suo carico e, per la terza volta, un ex presidente degli Stati Uniti sarà in stato d’arresto, almeno per un’ora. A Washington però è un’altra storia rispetto a New York e Miami: il tycoon è incriminato per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, una delle pagine più buie della storia americana avvenuta proprio a pochi metri dalla corte federale nella quale si presenta Trump, la stessa in cui hanno sfilato centinaia di rivoltosi. Tutta l’area è stata transennata dalle forze dell’ordine e le strade principali sono state sbarrate con enormi spazzaneve, una misura già adottata durante le celebrazioni per la festa dell’indipendenza, il 4 luglio, per evitare attacchi terroristici con auto o camion.

La polizia è in massima allerta anche perché sono ancora vive nella memoria dei residenti le immagini di violenza dell’attacco al Congresso, scene che ne’ l’Fbi ne’ la Metroplitan police vogliono rischiare si ripetano. L’ex presidente, come sempre, ha suonato la carica e in un email inviata ai suoi sostenitori per raccogliere fondi ha avvertito che potrebbe rischiare fino a 561 anni di carcere. “Non è colpa mia se il mio avversario politico nel partito democratico, il ‘corrotto’ Joe Biden, ha detto al suo procuratore generale di accusare il principale (di gran lunga!) candidato repubblicano ed ex presidente degli Stati Uniti di tutti i crimini possibili così da costringerlo a spendere tutti i soldi per la difesa”, ha attaccato il tycoon sul suo social Truth ribadendo che le incriminazioni contro di lui sono “una strumentalizzazione della giustizia senza precedenti e aggiungendo che “gliene basta un’altra per assicurarsi la vittoria al 2024”.

Un altro degli argomenti difensivi dell’ex presidente è che un processo a Washington, una città profondamente democratica e anti-trumpiana, non sarebbe equo. Oltre, naturalmente, a negare davanti alla giudice Tanya Chutkan le accuse di aver cavalcato “bugie” per restare al potere e di aver “incoraggiato” la rivolta in collaborazione con sei “co-cospiratori” che non sono stati nominati in quanto non ufficialmente incriminati ma che quasi sicuramente sono i suoi ex avvocati Rudy Giuliani, John Eastman, Sidney Powell, l’ex funzionario del dipartimento di Giustizia Jeffrey Clark e un altro avvocato Kenneth Chesebro, più un sesto non identificato. Secondo l’ultimo sondaggio della Cnn, comunque, l’elettorato del Grand old party è ancora dalla parte di Trump. Ben il 69% dei repubblicani o simpatizzanti ritiene che la vittoria di Biden fosse illegittima, un dato in aumento rispetto al 63% dell’inizio dell’anno. Non solo, di questi il 39% ritiene che ci siano prove concrete che le elezioni siano state truccate, mentre il 30% ha soltanto il “sospetto”.

In attesa della quarta incriminazione in Georgia entro settembre, più che il carcere o la perdita della nomination repubblicana, il problema più urgente di Trump sono i fondi per la campagna 2024 dopo che ha speso già 40 milioni di dollari per difendersi. Una questione che, per altre ragioni, tocca anche Biden che infatti ha deciso di rafforzare la sua squadra per la raccolta delle donazioni. Il presidente ha assunto tre top manager del Comitato nazionale democratico – Colleen Coffey, Michael Pratt e Jessica Porter – per dare un impulso economico alla campagna. “Colleen, Jessica e Michael sono già stati preziosi fino ad oggi e saranno fondamentali per mettere in atto un’operazione di raccolta fondi storica e senza precedenti”, ha commentato la responsabile Julie Chavez Rodriguez. Da qualche giorno Biden si è ritirato nella sua casa al mare a Rehoboth Beach con la First Lady Jill. Tra passeggiate in bicicletta e visite in chiesa, il presidente vuole mantenere un profilo basso e provare, per quanto possibile, a tenersi alla larga da Washington e dai guai giudiziari del suo avversario.

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Rubio: serve svolta nei colloqui su Ucraina al più presto

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump deciderà quanto tempo gli Stati Uniti dedicheranno alla risoluzione del conflitto ucraino, quindi una svolta nei negoziati “è necessaria molto presto”. Lo ha affermato a Fox News il segretario di Stato americano Marco Rubio. Le posizioni di Russia e Ucraina “si sono già avvicinate, ma sono ancora lontane l’una dall’altra – ha ricordato – ed è necessaria una svolta molto presto. Allo stesso tempo, ha proseguito Rubio, è necessario accettare il fatto che “l’Ucraina non sarà in grado di riportare la Russia alle posizioni che occupava nel 2014”. La portavoce del Dipartimento di Stato americano, Tammy Bruce, ha dichiarato durante un briefing che gli Stati Uniti restano impegnati a lavorare per risolvere il conflitto, “ma non voleremo in giro per il mondo per mediare negli incontri che si stanno attualmente svolgendo tra le due parti. Ora – ha sottolineato – è il momento per le parti di presentare e sviluppare idee concrete su come porre fine a questo conflitto. Dipenderà da loro”.

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Onu prepara ampia riforma a causa dei vincoli di bilancio

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Le Nazioni Unite stanno valutando una radicale ristrutturazione con la fusione dei team chiave e la ridistribuzione delle risorse. Lo riporta la Reuters sul suo sito, citando un memorandum riservato preparato da un gruppo di lavoro del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres. Il documento propone di indirizzare le decine di agenzie in quattro direzioni principali: pace e sicurezza, questioni umanitarie, sviluppo sostenibile e diritti umani. Tra le misure specifiche figura la fusione delle agenzie operative del Programma Alimentare Mondiale (Wfp), dell’Unicef, dell’Oms e dell’Unhcr in un’unica agenzia umanitaria.

La riforma prevede inoltre la riduzione delle duplicazioni di funzioni e la razionalizzazione del personale, incluso il trasferimento di una parte del personale da Ginevra e New York a città con costi inferiori. L’iniziativa è legata alla crisi finanziaria dell’ONU. Le proposte definitive di ristrutturazione dovranno essere presentate entro il 16 maggio.

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Siria, Israele bombarda zona palazzo presidenziale Damasco

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L’esercito israeliano ha annunciato di aver bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco, dopo aver minacciato il governo siriano di rappresaglie se non avesse protetto la minoranza drusa. “Gli aerei da guerra hanno colpito la zona intorno al palazzo”, ha scritto l’esercito israeliano su Telegram.

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