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Il dilemma della Nato: cosa offrire a Kiev a Vilnius

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La Nato – o meglio, gli alleati che la compongono – s’arrovella sull’Ucraina per non arrivare al summit di Vilnius senza una risposta da dare alla questione del momento: cosa offrire a Kiev che non sia una generale promessa sul suo futuro ingresso nel patto transatlantico. Ovvero una ripetizione di Bucarest 2008, praticamente il Giurassico rispetto agli equilibri geopolitici attuali. “Dobbiamo garantire che, quando la guerra finirà, ci siano accordi credibili per la sicurezza dell’Ucraina, affinché la storia non si ripeta”, ha dichiarato il segretario generale Jens Stoltenberg alla vigilia della ministeriale difesa. Le capitali, però, al momento non sono pronte. Usa e Germania sono restie a concedere un comunicato finale ‘aggressivo’ e consigliano di restare focalizzati sulla gestione del conflitto. D’altra parte, è il ragionamento, poiché tutti concordano che Kiev non può entrare ora nella Nato ha più senso affrontare il tema quando sarà pertinente. Altro paio di maniche sono le garanzie di sicurezza. Il cambio di passo di Emmanuel Macron ha cambiato l’equazione e adesso – a quanto si apprende – vi è un gruppo di Paesi che sta lavorando sugli aspetti pratici di queste promesse, da fornire nel quadro di accordi bilaterali seppure (dettaglio importante) con un riflesso in ambito Nato.

Quale, è ancora da capire. Secondo l’ambasciatrice americana alla Nato Julienne Smith è in corso “un ricco dibattito, con diversi punti di vista, sul tema dell’ingresso di Kiev” e sulle possibili garanzie di sicurezza ed è “senz’altro molto più sfumato” rispetto alle ipotesi che siano Washington e Berlino a frenare. La ministeriale sarà d’altronde chiamata a ‘sigillare’ i piani ragionali di difesa, da cui a cascata dipenderanno la costituzione del modulo forze, i posti di comando e controllo nonché, in definitiva, le necessità di spesa — si va ormai verso il 2% come minimo, con caveat precisi d’investimento, non tanto “spendere per spendere”. A Bruxelles si terrà un incontro della Commissione Nato-Ucraina, sia per avere un aggiornamento sull’andamento della controffensiva sia per discutere dei futuri rapporti. Tra l’altro potrebbe essere l’ultima, dato che uno dei punti fermi di Vilnius dovrebbe essere quello di lanciare il format del Consiglio Nato-Ucraina. Sarà abbastanza, nel caso, per convincere Volodymyr Zelensky a prendere parte al summit? “Se non ci sarà ce ne faremo una ragione”, nota un’alta fonte diplomatica. L’altro risultato pratico a cui si sta lavorando pancia a terra è l’ingresso della Svezia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, dal canto suo, ha affermato che Ankara non darà il via libera a Stoccolma prima del vertice, in programma l’11 e il 12 luglio. Stoltenberg ha ribadito che la Svezia “ha rispettato i patti” e dunque ora tocca a Turchia e Ungheria chiudere la partita. “Sono pronto a giocarmi 10 euro che a Vilnius sarà dato l’annuncio”, assicura una fonte Nato.

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Blinken in visita a sorpresa in Ucraina

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Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato in visita a sorpresa in Ucraina. Il capo della diplomazia Usa è giunto stamattina a Kiev con un treno notturno dalla Polonia. E’ previsto un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo i giornalisti al seguito di Blinken. Si tratta del quarto viaggio in Ucraina del segretario di stato americano dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022. La visita è intesa a rassicurare Kiev sul continuo sostegno degli Stati Uniti e a promettere un flusso di armi in un momento in cui Mosca sta conducendo una pesante offensiva nella regione nordorientale ucraina di Kharkiv.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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