Nei secoli e poi nei millenni, il “Cantico dei Cantici” può essere di certo annoverato tra le più controverse opere dedicate all’amore narrato tra due esseri umani, e tanto non solo per la sua lirica ed il suo messaggio che si presta ad interpretazioni e sfumature tali da cerareoceani di riflessioni e tempeste interpretative anche attorno ad un solo dettaglio, un riferimento, una parola, ma perché esso è inserito a pieno titolo nel libro dei libri, la Sacra Bibbia, sia Ebraica che Cristiana.
Un’opera epocale per il genere umano, e tanto non poteva di certo sfuggire alla eclettica, eccentrica, profonda, passionale ed indomabile Slobodanka Ciric, artista Serba a tutto tondo trapiantata da decenni in una Napoli che oggi la travolge e ne viene a sua volta travolta, attraversoun ininterrotto rapporto viscerale, appassionato, seducente.
Dopo aver regalato al mondo dell’arte tantissime opere, materiali ed immateriali, la Ciric si cimenta oggi in un’impresa titanica, anzi, è proprio il caso di dire “biblica”, laddove riscrive letteralmente i passi più suggestivi del Cantico, interpretandolo con quella cura e con quel tatto che domina solo gli animi più sensibili. Perché Slobodanka, il cui nome può essere tradotto nella nostra lingua come Liberata, con il “suo” Cantico dei Cantici continua a perseguire la finalità che dovrebbe animare, nella sua visione, l’attività di ogni artista, chiamato dunque ad essere in primis cronista e testimone del suo tempo (dichiarazione esplicitata anche in occasione della sua interpretazione dell’istallazione artistica dei Lupi di Liu Ruowang a Napoli).
Prima di accedere a questo scritto, per molti ma non per tutti, come sottolinea giustamente e coscientemente la stessa autrice, bisogna dunque comprendere non solo il Cantico biblico, ma anche la struttura caratteriale ed artistica della scrittrice, che attraverso le sue notissime opere rimarca sempre il concetto del mondo come rivelazione di Dio e l’arte come rivelazione dell’uomo.
Attraverso la sua fervida attività Slobodanka vuole essere quindi cronista e testimone della realtà in ogni sua rivelazione, anche più la cruda, sempre però tentando di renderla veicolo di conoscenza finalizzato alla trasmissione della speranza, che nel cantico da lei riscritto, con delicatezza e senza mai alterarne il contenuto, trova il suo fulcro nell’amore di Sulammita, non a caso indicata nel testo come Liberata, con l’uomo della sua vita. Nella rielaborazione dell’amata, ma anche di sé stessa, l’autrice non manca di sottolineare i collegamenti e le reminiscenze di Lilith, di Eva, della Concubina di Levita, di Agar, di Dina, di Tamar, della Figlia di Jefte, di Susanna, di Miriam, di Donna Sapienza e di Donna Follia, della ninfa Siringa e della Dea Ecate. Una complessità che diventa semplicità di un messaggio universale e senza tempo, dove l’essere umano, la natura ed il trascendentale possono esistere in melodica connessione.
Parte così un affascinante viaggio nell’amore allo stato puro, nella sua essenza, forma e sostanza, oggi purtroppo sempre più alieno ad una società concentrata sull’effimero, sui disvalori di un capitalismo occidentale oppure su quell’ateismo di matrice comunista, accomunati in negativo dall’assenza di Dio, di quel luminoso calore divino che è l’unico ingrediente per far fiorire il più romantico dei sentimenti. Anche in tali spaccati emerge potente l’origine Serba della Ciric, costretta con la famiglia ad abbandonare da giovane donna il territorio natale (1991) quando era ancora parte integrante, ed anzi cuore pulsante, della Jugoslavia sovietica ormai prossima alla guerra civile ed alla dissoluzione federale.
Collegamenti simbolici tra epoche remote e recenti, luoghi lontani e vicini, stati celestiali e terreni, pennellati in una narrazione che si arricchisce dunque delle esperienze più profonde mutuate dalle varie vite vissute dalla nostra Liberata, e perché no, anche di quelle da vivere ancora, capaci di farci così calcare indenni un sentiero difficile, non lineare e pieno di possibilità di smarrimento. Cullati da questa ondulante lirica dell’anima, scopriremo infine che il sentimento tra l’amato e l’amata non è solo la meta, ma il viaggio stesso, che diventerà così anche nostro e poi di una intera umanità, che solo in Dio, mai nominato ma che permea ogni parola, vorrà o potrà trovare il vero Amore.
Il testo è magistralmente introdotto dal prof. Pasquale Giustiniani, titolare di Storia delle Religioni presso la Facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ed arricchito dagli ulteriori e pregiatissimi contributi dell’antropologa Daniella Marra e del critico d’arte Deborah Di Bernardo, che presenta le tavole interlocutorie illustrative di Mila Maraniello, giovane artista contemporanea ma già di comprovato talento, che riesce a catturare prima e dar forma plastica poi, ai sentimenti, ai pensieri anche inconsci, alle luci ed ombre di questa narrazione senza spazio e senza tempo. La Maraniello incastona, anzi fonde la sua arte in quella di Slobodanka, rivelando una sensibilità pittorica e visiva straordinaria, capace di concentrare l’essenza del messaggio della scrittrice in forme sinuose ed essenziali che sembrano prendere vita in una realtà sospesa. Echi cromatici di una dimensione tanto intima da sfuggire ad ogni paragone metrico, un’oasi sensoriale remota, raggiungibile da una ripida discesa verso suggestioni che rimandano a loro volta verso l’alto ed oltre. Contrasti conciliati, come ammirare noi stessi dal ciglio dell’orizzonte degli eventi di un buco non più solo nero, ma contaminato dalla luminescenza striata, sobria ma marcata, dei colori del bianco e del rosso. Un vortice statico di emozioni che sono riflesso dell’inquietudine della vita che vuole essere infinita quantomeno nella capacità di amare.
Il “Cantico dei Cantici” di Slobonaka Ciric è quindi qualcosa di più di un piacere letterario. Nel raggiunto obiettivo artistico, l’autrice conferma la sua aspirazione, e questo prezioso testo diventa così straordinario veicolo di denuncia di una potente verità, ossia la carenza dell’amore nel mondo di oggi, mentre allo stesso tempo trasmette la speranza di poter ancora vivere degnamente nella sua ricerca nel nome dell’Altissimo.
Dopo il successo della presentazione del trascorso 20 Luglio nella incantevole cornice del Maschio Angioino, si replica il prossimo lunedì 6 Settembre, ore 16.30, presso un’altra location capace di sprigionare pari emozioni, il Chiostro di S. Domenico Maggiore, sempre nella nostra magnifica Napoli, capitale indiscussa di Arte, Cultura ed Amore.
Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini si racconta per la prima volta nel libro ‘Un’altra storia’ con l’intento di parlare soprattutto ai giovani. “Uno dei motivi che mi ha spinto a raccontare la mia esperienza di vita e di lotta, è che vedo tra le giovani generazioni una straordinaria domanda di libertà. Una domanda di libertà e di realizzazione che non può essere delegata ad altri o rinviata a un futuro lontano, ma che si costruisce giorno per giorno a partire dalla lotta per cambiare le condizioni di lavoro e superare la precarietà. Se riuscirò ad accendere nei giovani la speranza e la voglia di lottare per la loro libertà nel lavoro e per un futuro migliore, potrò dire di aver raggiunto uno degli obiettivi che mi ero prefisso. Questo libro, con umiltà, vuole parlare soprattutto a loro” dice Landini.
In libreria proprio a ridosso dei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza, ‘Un’altra storia’ è una narrazione intima tra ricordi, aneddoti e svolte professionali ed esistenziali, che si intreccia alla storia degli ultimi quarant’anni di questo paese, con un focus su alcune grandi ferite sociali di ieri e di oggi che ancora sanguinano e che devono essere rimarginate. Dagli anni Settanta ai giorni nostri, dall’infanzia e l’adolescenza a San Polo d’Enza, fino alle esperienze sindacali degli inizi a Reggio Emilia e Bologna, al salto nazionale in Fiom prima e in Cgil poi, nel libro di Landini non mancano le analisi sulle grandi questioni legate al mondo del lavoro e a quello delle grandi vertenze, tra cui Stellantis, il rapporto con i governi Berlusconi, Prodi, Renzi, Conte, Draghi e Meloni, nella declinazione dell’idea-manifesto del “sindacato di strada”, in cui democrazia e autonomia sono il grande orizzonte.
Questa narrazione personale e intima, ricca di spunti e riflessioni, si tiene insieme a quelle che sono le battaglie storiche del segretario e della sua azione “politica”: la dignità del lavoro, affermata nel dopoguerra e nella seconda metà del Novecento e “negata nell’ultimo ventennio a colpi di leggi sbagliate, che le iniziative referendarie propongono, infatti, di correggere e riformare profondamente” sottolinea la nota di presentazione. ‘Un’altra storia’ è un libro che ci parla di diritti da difendere, battaglie ancora da fare e del futuro.
Eletto segretario generale della Cgil nel 2019, Landini ha cominciato a lavorare come apprendista saldatore in un’azienda artigiana e poi in un’azienda cooperativa attiva nel settore metalmeccanico, prima di diventare funzionario e poi segretario generale della Fiom di Reggio Emilia. Successivamente, è stato segretario generale della Fiom dell’Emilia-Romagna e, quindi, di quella di Bologna. All’inizio del 2005 è entrato a far parte dell’apparato politico della Fiom nazionale. Il 30 marzo dello stesso anno, è stato eletto nella segreteria nazionale del sindacato dei metalmeccanici Cgil. Il primo giugno del 2010 è diventato segretario generale della Fiom-Cgil. Nel luglio del 2017 ha lasciato la segreteria generale della Fiom per entrare a far parte della segreteria nazionale della Cgil.
MAURIZIO LANDINI, UN’ALTRA STORIA (PIEMME, PP 224, EURO 18.90)
Stop all’automatismo che impone la sospensione della responsabilità genitoriale per i genitori condannati per maltrattamenti in famiglia. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 55 del 2025, dichiarando illegittimo l’articolo 34, secondo comma, del Codice penale nella parte in cui non consente al giudice di valutare in concreto l’interesse del minore.
Una norma rigida che non tutela sempre i figli
L’automatismo previsto dalla norma, secondo cui alla condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) segue obbligatoriamente la sospensione della responsabilità genitoriale per il doppio della pena, è stato giudicato irragionevole e incostituzionale. Secondo la Consulta, la previsione esclude qualsiasi valutazione caso per caso e impedisce al giudice di verificare se la sospensione sia effettivamente nell’interesse del minore, come invece richiedono gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.
Il caso sollevato dal Tribunale di Siena
A sollevare la questione è stato il Tribunale di Siena, che aveva riconosciuto la responsabilità penale di due genitori per maltrattamenti nei confronti dei figli minori, ma riteneva inadeguato applicare in automatico la sospensione della responsabilità genitoriale. Il giudice toscano ha evidenziato la possibilità concreta che, in presenza di una riconciliazione familiare e di un miglioramento del contesto domestico, la sospensione potesse arrecare un danno ulteriore ai minori.
Il principio: al centro l’interesse del minore
La Corte ha ribadito che la tutela dell’interesse del minore non può essere affidata a presunzioni assolute, bensì deve derivare da una valutazione specifica del contesto familiare e della reale efficacia protettiva della misura. Il giudice penale deve dunque essere libero di stabilire, caso per caso, se la sospensione della responsabilità genitoriale sia davvero la scelta più idonea alla protezione del figlio.
La continuità con la giurisprudenza
La decisione si inserisce nel solco della sentenza n. 102 del 2020, con cui la Consulta aveva già bocciato l’automatismo previsto per i genitori condannati per sottrazione internazionale di minore. In entrambi i casi, si riafferma il principio secondo cui le misure che incidono sulla genitorialità devono essere coerenti con i valori costituzionali e orientate alla tutela concreta del minore.
Il mondo della cultura piange la scomparsa di Mario Vargas Llosa (foto in evidenza di Imagoeconomica), uno dei più grandi romanzieri del Novecento e premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Lo scrittore peruviano si è spento oggi, domenica, a Lima all’età di 89 anni, circondato dalla sua famiglia, come ha comunicato suo figlio Álvaro attraverso un messaggio pubblicato sul suo account ufficiale di X.
«Con profondo dolore, rendiamo pubblico che nostro padre, Mario Vargas Llosa, è morto oggi a Lima, circondato dalla sua famiglia e in pace».
Una vita tra letteratura e impegno
Nato ad Arequipa il 28 marzo del 1936, Vargas Llosa è stato tra i più influenti autori della narrativa ispanoamericana contemporanea. Oltre ai riconoscimenti letterari internazionali, ha vissuto una vita profondamente segnata anche dall’impegno civile e politico.
Con la sua scrittura tagliente e lucida, ha raccontato le contraddizioni della società peruviana e latinoamericana, esplorando con coraggio e passione temi di potere, ingiustizia e libertà.
I capolavori che hanno segnato la sua carriera
Autore di romanzi fondamentali come “La città e i cani” (1963), durissima denuncia del sistema militare peruviano, e “La casa verde” (1966), Vargas Llosa ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura del Novecento. La sua vasta produzione comprende anche saggi, articoli e testi teatrali.
Un addio in forma privata
Come reso noto dalla famiglia, i funerali saranno celebrati in forma privata e, nel rispetto della volontà dell’autore, le sue spoglie saranno cremate. Un addio sobrio, coerente con la riservatezza che ha spesso contraddistinto l’uomo dietro lo scrittore.