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Cronache

Il boss mafioso evaso da Badu ‘e Carros aveva la chiave per uscire in cortile

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Una fuga rocambolesca ma studiata nei minimi dettagli. Da quello che emerge sull’evasione dal carcere di Nuoro di Marco Raduano, il detenuto pugliese di 39 anni, boss della mafia garganica che scontava la sua pena a 19 anni di reclusione, è stato abile a sfruttare l’occasione. Ha probabilmente tenuto d’occhio i turni di guardia, ha capito quali erano le falle del sistema – “dovute a gravi carenze di organico”, accusano i sindacati – e ha agito.

Forse aiutato da qualcuno all’esterno, è riuscito ad allontanarsi alla svelta da Badu ‘e Carros in due ore di “buco” prima che la sorveglianza si accorgesse della sua assenza. Tra i particolari emersi nella ricostruzione della fuga, il fatto che il boss sia riuscito a procurarsi la chiave per uscire dal reparto di Alta Sicurezza del carcere nuorese di Badu ‘e Carros e arrivare al muro di cinta, calarsi di sotto con diverse lenzuola annodate e fuggire indisturbato. Sapeva dove erano custodite le chiavi del portone blindato e ha avuto il tempo di provarne una prima di trovare quella giusta.

Ora è caccia all’uomo in tutto il Nuorese, ma i controlli sono stati intensificati anche nei porti e negli aeroporti della Sardegna. E domani è stato convocato dal prefetto di Nuoro, Giancarlo Dionisi, il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica con tutti i vertici delle forze di polizia, mentre sull’evasione sono state aperte due inchieste, una della procura di Nuoro, l’altra del ministero. I sindacati continuano a puntare il dito sulla carenza di agenti in carcere, mentre l’evasione è diventata un caso politico. “Prima o poi doveva succedere, il carcere è pieno di falle sulla sorveglianza – conferma Giovanni Conteddu dell’Osapp Nuoro – Nel reparto dell’Alta sicurezza dove ci sono circa 30 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata pugliese, calabrese, campana e siciliana, c’è un solo agente di guardia e nella sala dove sono custodite le chiavi e le telecamere della regia non c’è nessuno, il posto è scoperto.

Questa è la prima falla che si è rivelata decisiva per la fuga di Raduano”. “Non basta la videosorveglianza se non supportata da intelligenza artificiale e, soprattutto, se nessuno può badare ai monitor o deve controllarne decine mentre si occupa di innumerevoli altre incombenze”, incalza Gennarino De Fazio, segretario della Uilpa Polizia Penitenziaria aggiungendo che a quanto gli risulta, al momento dell’evasione di Marco Raduano la sala operativa del carcere non era presidiata.

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Cronache

Neonati sepolti, Chiara Petrolini a giudizio il 30 giugno

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Non avrà ancora compiuto 22 anni e non saranno ancora trascorsi 12 mesi da quando i suoi due figli neonati sono stati trovati morti sotto terra quando Chiara Petrolini si troverà per la prima volta davanti alla Corte di assise. L’udienza è fissata per il 30 giugno: lo ha deciso la Gup Gabriella Orsi, rinviando a giudizio la giovane di Traversetolo (Parma) per tutti i reati contestati dalla Procura, duplice omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla discendenza e soppressione dei due cadaveri. L’esito dell’udienza preliminare era prevedibile e non ci sono state sorprese.

“L’assise è la sede naturale per questo processo”, ha sintetizzato, commentando con i giornalisti l’avvocato Monica Moschioni che assiste l’ex fidanzato di Chiara, Samuel Granelli, costituito parte civile così come i suoi genitori, mentre è stata esclusa l’associazione ‘La Caramella Buona’: la difesa dei diritti dei neonati non è nello statuto, ha detto la giudice.

La seconda e ultima giornata di udienza è durata circa quattro ore. Come una settimana fa l’imputata, ai domiciliari da settembre, è arrivata al palazzo di giustizia di Parma con un’auto delle forze dell’ordine, insieme al suo difensore, avvocato Nicola Tria, entrando da un ingresso laterale. Lo stesso ha fatto l’ex fidanzato, evitando il contatto diretto con giornalisti, fotografi e telecamere. In udienza, a porte chiuse, la difesa ha chiesto la riqualificazione dei fatti nel meno grave reato di infanticidio e l’esclusione della premeditazione, ma il giudice ha accolto l’impostazione della Procura, presente con il procuratore Alfonso D’Avino e con la pm Francesca Arienti, che ha coordinato le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo. Ma soprattutto la difesa avrebbe parlato del tema dell’incapacità di intendere e di volere della ragazza, la cui valutazione sarà uno degli elementi portanti del dibattimento.

L’avvocato Tria aveva già depositato una consulenza tecnica psichiatrica che concludeva per una piena incapacità di Chiara ed è probabile che sarà chiesta una perizia in tal senso ai giudici dell’assise, mentre l’accusa è convinta del contrario e ha già presentato analisi e elaborati specialistici per sostenerlo. L’idea degli inquirenti è che la lucidità dimostrata dalla ragazza nel portare avanti, per due volte, gravidanze all’insaputa di tutti, partorendo da sola in casa, provocando la morte dei figli, sepolti entrambi in giardino, sia poco compatibile con il vizio di mente. Il primo parto è del 12 maggio 2023, il secondo del 7 agosto 2024. I resti del secondo figlio sono stati trovati per caso un paio di giorni dopo, quando Chiara e la famiglia erano in vacanza negli Stati Uniti. Da lì sono scattate le indagini che hanno portato al ritrovamento del cadavere del primogenito, qualche settimana dopo.

Secondo la Procura la 21enne avrebbe assassinato entrambi tagliando loro il cordone ombelicale. I carabinieri hanno accertato che ha fatto tutto da sola e i genitori, inizialmente indagati per una presunta complicità, sono stati definitivamente archiviati. Il processo dunque prenderà il via tra circa un mese e nel frattempo potrebbe essere fissata una nuova udienza al tribunale del Riesame di Bologna, che deve decidere sulla richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dalla Procura, dopo il rinvio della Cassazione. Seppur rilevando una “elevatissima capacità mistificatoria ed una non comune determinazione criminale” per i supremi giudici i fatti “si sono svolti” in “condizioni non più presenti né ripetibili”. E per questo Chiara rimane ai domiciliari nella villetta dove tutto è successo.

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La Procura, Visintin aggredì e soffocò Liliana Resinovich

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“Visintin aggredì e soffocò Liliana Resinovich”. Questa la tesi della Procura di Trieste anticipata da Il Piccolo. La ricostruzione del pubblico ministero Iozzi, è contenuta in una richiesta di incidente probatorio a carico di Sterpin. Per l’accusa Liliana fu uccisa dal marito “nel parco dell’ex ospedale psichiatrico”.

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Cassazione conferma riduzione condanne per clan in Lombardia

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La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, nel luglio 2024, aveva ridotto le condanne del processo al clan della ‘ndrangheta dei Maiolo-Manno che, stando alle indagini, avrebbe anche fornito appoggio nel 2021 ad un candidato sindaco, non eletto, del centrodestra a Pioltello, nel Milanese. La riduzione era dovuta all’applicazione della “continuazione” delle pene con altre condanne, soprattutto quelle dell’ormai storico procedimento “Infinito” contro le cosche in Lombardia del 2010.

La Procura generale aveva impugnato questa decisione dei giudici milanesi, ma la Suprema Corte ha confermato la sentenza a carico di Cosimo Maiolo e Salvatore Maiolo. In particolare, era stata applicata una pena finale di 17 anni e 4 mesi, in continuazione con gli 11 anni e 4 mesi del processo “Infinito”, a Cosimo Maiolo, difeso dall’avvocato Mirko Perlino e, stando alle indagini, presunto boss della “locale” di Pioltello. In primo grado, invece, in abbreviato, solo per l’ultimo processo, era stato condannato a 12 anni e 8 mesi. Ad uno dei figli di Cosimo, Salvatore Maiolo, la pena finale, sempre in continuazione col processo “Infinito” e con un altro per sequestro di persona, era stata portata a poco più di 13 anni ed è stata confermata.

Per un altro imputato, infine, Antonio Maiolo la Cassazione ha disposto un processo d’appello bis per una nuova valutazione. Per le difese, come chiarito, è importante che sia diventato definitivo il riconoscimento della “continuazione” tra le due contestazioni di associazione mafiosa: l’ultima dell’inchiesta che aveva portato ad arresti nel 2022 e quella al centro del blitz di 15 anni fa.

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