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Politica

I tormenti del Pd napoletano sospeso tra Mancuso e supercazzole mentre De Luca prepara le sue liste

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La nuova federazione napoletana del Pd batte un primo flebile, deboluccio colpo. Fa sentire la sua vocina tremula al presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca. Il neo segretario napoletano del Pd, Marco Sarracino, dice che “le correnti, a cui tutti apparteniamo (lui è della corrente di Andrea Orlando, ndr), anziché animare il dibattito politico hanno costruito le carriere dei singoli. E ci hanno portato al disastro. Ora basta”. Come dichiarazione di principio non c’è male. Non aggiunge ma neanche toglie alcunché a quel che già si sa, però sono frasi belle per scaldare i cuori della sinistra napoletana in assemblea. Il Pd partenopeo vota gli organismi dirigenti all’unanimità.
E come cambia passo? Come apre finalmente alla società civile, a quei corpi intermedi, all’associazionismo presuntivamente deluso dall’esperienza de Magistris? Diventa presidente per acclamazione l’ex procuratore di Nola Paolo Mancuso. È questa la prima grande novità della politica espressa dai democrat napoletani. La bella Napoli, l’amico dei Gasparri, diventa ufficialmente Democrat. Farà pure la tessera. Anzi avrà la tessera numero 1 del Pd di Napoli. Scelto non a caso. Eh sì, perchè ora che i napoletani sanno che Paolo Mancuso è il presidente del Pd di Napoli faranno la corsa a tesserarsi. Un Pd napoletano che mentre alcuni si ostinano a discutere di evitare correnti e logiche di clan altri lavorano per costruirne di nuove. Ah, la cosa divertente che il Pd napoletano fa in questi giorni è fingere di non  capire che fine farà il cosiddetto governatore della Campania Vincenzo De Luca e soprattutto quel pezzo di Pd (la maggior parte) che lo sta seguendo nella avventura delle prossime elezioni regionali. Perché mentre Marco Sarracino, Teresa Armato, Armida Filippelli ed altri neo capi del Pd in Campania discutono di strategie politiche, sinestesie apoplettiche, parallassi, minolli, supercazzole varie e delle magnifiche sorti e progressive della sinistra napoletana che sente di rinascere sulle ceneri delle presunte debolezze dell’offerta politica demagistrisiana, il buon Vincenzo De Luca sta costruendo (anche dentro il Pd che filosofeggia tra un brunch e un drink nei palazzi della borghesia fulminata napoletana) le liste per le prossime regionali.
Infatti mentre Sarracino arringava il popolo e i dirigenti Dem napoletani sul correntismo il buon Vincenzo De Luca faceva la rockstar alla festa per i trenta anni di attività di Atitech.Un mega party nell’hangar numero 15 di Capodichino organizzato da Gianni Lettieri. I nuovi dirigenti dem forse non lo sanno che il noto imprenditore napoletano già candidato sindaco per il centro destra nel 2011 e 2016 (entrambe le volte sconfitto da Luigi de Magistris) è un grande amico di De Luca. A inizio di questo anno è stato condannato in primo grado a Milano in un processo per la Bancarotta Novaceta a 4 anni e 4 mesi.
Il presidente Gianni Lettieri ha accolto i suoi 540 invitati in un hangar dove si fa manutenzione. Oltre a Vincenzo De Luca, c’erano  l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta (il braccio destro di Silvio Berlusconi), il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (amico di De Luca), un po’ di industriali che contano in Campania come Vito Grassi, Andrea Prete,  Giuseppe Bruno (questi ultimi tre vertici delle unioni industriali di Napoli, Avellino e Salerno). Quello che emerge dalla festa è l’ennesimo tassello di un mosaico che va al suo posto nella formazione di liste che De Luca metterà in campo per ripresentarsi al cospetto degli elettori campani che l’hanno già votato e mandato a fare il presidente della giunta regionale della Campania. De Luca sta preparando le sue liste. Poi, se il Pd vorrà aggiungersi bene. Se invece vorrà fare altro, saluti e baci. Ognuno per i fatti suoi. Così De Luca ha sempre usato trattare il suo partito.

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Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli

Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.

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Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.

Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.

L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica

Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.

Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola

Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.

La sfida canora con Umberto Eco

Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».

Il rimpianto dello ius soli

Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».

I 101 e la caduta di Prodi

Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».

Il rapporto con la morte

Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».

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Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza

In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.

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In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.

Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.

Nessun vertice politico ai funerali del Papa

Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.

La sfida: riavvicinare Usa ed Europa

Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.

L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale

Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.

Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.

L’Italia sulla pace in Ucraina

Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.

Nuove misure per la sicurezza sul lavoro

In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.


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Politica

Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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