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I test di medicina venduti, Bernini convoca i rettori

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L’apertura di una procedura di indagine e l’immediata convocazione dei rettori. Il ministero per l’Università e la Ricerca interviene nella vicenda sulle presunte irregolarità nei test di medicina e di odontoiatria. Prove che sarebbero state in vendita su Telegram per pochi spiccioli, appena venti euro. Il dicastero ha convocato i rappresentanti della Conferenza dei rettori italiani e del Cisia, il Consorzio che si occupa dei nuovi test (Tolc) per conto proprio della Conferenza dei rettori. “Possibili abusi durante lo svolgimento dei nuovi test devono essere subito chiariti” afferma la ministra Bernini aggiungendo che “a tutela di tutti gli studenti coinvolti ho immediatamente convocato la Conferenza dei Rettori e il Consorzio Cisia che materialmente si occupa dei Tolc”. Sulle prove online per l’ingresso alle facoltà, la ministra afferma che è “uno strumento alla sua prima prova e che se non funziona va cambiato”. Le verifiche, anche quelle ministeriali, sono quindi in corso.

“Se ci sono state illiceità le responsabilità saranno chiare. Se i Tolc sono da cambiare, lo faremo. Vogliamo che l’anno accademico inizi bene e con regolarità, e soprattutto vogliamo un sistema che funzioni perché il nostro obiettivo è continuare ad aprire, sempre in maniera sostenibile, l’accesso a Medicina”, aggiunge Bernini. Dal canto loro i rettori si apprestano a chiedere una relazione dettagliata al Cisia, il consorzio che gestisce i nuovi test, sull’andamento delle due sessioni di aprile e luglio. “Le università hanno fatto uno sforzo ai limiti dell’immaginabile – afferma Salvatore Cuzzocrea che della Conferenza dei rettori è il presidente – per assicurare, in tempi strettissimi, preparazione e svolgimento delle nuove prove avvenute senza il minimo disguido. Garantire che si siano svolte correttamente è una priorità. Se la relazione del Cisia dimostrasse che ciò non è stato, ci impegniamo a valutare, d’intesa con il Mur, ogni opportuna iniziativa”. Per il consorzio sul fronte organizzativo “tutto si è svolto nella massima regolarità ed efficienza. Nel predisporre le attività definite dalla disciplina di riferimento, abbiamo operato con il consueto scrupolo in continua e costante collaborazione con le sedi universitarie”.

E ancora: “per i tolc le misure di sicurezza e protezione dei dati, incluso il sistema di erogazione, messe in campo sono state tali da garantire l’integrità del database delle domande” e a riprova di ciò “i primi dati statistici” dimostrano, secondo il consorzio, che i punteggi di aprile e luglio differiscono per una frazione di punto. Se vi fosse stato accesso preventivo e generalizzato alla banca dati dei quesiti i risultati tra primo e secondo periodo ne sarebbero stati fortemente influenzati”. La vicenda parte da un esposto presentato alla Procura di Palermo e al Tar del Lazio. Chi denuncia chiede alla magistratura di fare chiarezza su una chat creata su Telegram che avrebbe fornito agli aspiranti medici una “soffiata sulle domande” per poche decine di euro. Più oneroso invece il costo di un corso di preparazione che permetteva di conoscere in anticipo le domande del test. C’è chi avrebbe pagato migliaia di euro per iscriversi. Intanto il Mur con un decreto del 6 settembre ha spostato “al 26 settembre e fino al 5 ottobre” la data dello “sviluppo temporale delle fasi ordinarie di scelta, assegnazione e immatricolazione dei candidati” alle scuole di specializzazione di sanità.

Il provvedimento è pubblicato sul sito del Mur e prevede che la data di inizio delle attività didattiche resti “invariata al 1° novembre 2023”. Sul punto il Ministero spiega che è in “corso un’ulteriore concertazione tra il dicastero dell’Università, della Salute e le Regioni, allo scopo di completare il processo di accreditamento e di definizione dei posti complessivamente disponibili. Per tale motivo si è reso necessario posticipare a martedì 26 settembre l’apertura della finestra temporale per la scelta, l’assegnazione e l’immatricolazione alle scuole di specializzazione di area sanitaria”.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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