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I comandanti di Azov in un carcere blindato a Mosca

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I comandanti del reggimento Azov catturati a Mariupol sono detenuti nel carcere di massima sicurezza di Lefortovo a Mosca. A un mese dalla definitiva resa dei difensori dell’acciaieria Azovstal, fonti di sicurezza russe tornano a gettare una luce sulla sorte dei combattenti ucraini fatti prigionieri dalle truppe nemiche. Nessun nome, ma il ruolo di comando evocato fa pensare ai protagonisti della resistenza, durata quasi tre mesi e divenuta il simbolo della lotta di Kiev contro l’invasione. Secondo la fonte, nella prigione della capitale russa potrebbero esserci piu’ di 100 prigionieri catturati all’uscita dalla fabbrica-bunker, inclusi “mercenari stranieri”. In questa fase sarebbero in corso i loro interrogatori, mentre i processi potrebbero cominciare nelle prossime settimane. Nei giorni scorsi, media di Mosca avevano riferito del trasferimento in territorio russo di oltre mille dei 2.439 militari catturati, citando tra questi il vice comandante del battaglione Azov, Svyatoslav ‘Kalina’ Palamar, e il comandante della 36/ma brigata dei marines, Serhiy ‘Volyna’ Volynsky. Quest’ultimo e’ l’unico dei leader della resistenza di Mariupol di cui siano state diffuse immagini poco dopo la resa. Nessuna informazione e’ invece trapelata sul nemico numero uno della propaganda pro-Putin, il comandante del battaglione Azov, Denis ‘Radis’ Prokopenko. Sul terreno, intanto, gli scontri continuano in Donbass. Un fronte su cui, secondo l’intelligence britannica, entrambe le parti restano fortemente impegnate, nonostante le pesanti perdite. “Le forze ucraine hanno probabilmente disertato nelle ultime settimane, ma e’ molto probabile che il morale russo rimanga particolarmente instabile. Ci sono stati casi di intere unita’ russe che hanno rifiutato ordini e scontri tra ufficiali e le loro truppe. E’ probabile che anche molti membri del personale russo di tutti i ranghi rimangano confusi sugli obiettivi della guerra”, hanno spiegato gli 007 di Londra, sostenendo che “i problemi di morale nelle truppe russe sono cosi’ significativi da limitare la capacita’ della Russia di raggiungere gli obiettivi operativi”. L’assedio nella regione di Lugansk pero’ non si ferma. Mentre Severodonetsk e’ sempre piu’ saldamente nelle mani dell’esercito di Mosca, i filorussi affermano che gli ultimi difensori della citta’, asserragliati nella fabbrica chimica Azot con oltre 500 civili, tra cui una quarantina di bambini, sarebbero pronti a trattare la resa, come accaduto con l’Azovstal. La situazione, ha spiegato il governatore Serhiy Gaidai, e’ “difficile nella citta’ di Lysychansk e nella regione nel suo insieme” perche’ “stanno bombardando le nostre truppe 24 ore al giorno. C’e’ un’espressione: prepararsi al peggio e il meglio verra’ da se’: dobbiamo prepararci”. Sempre piu’ caldo si fa intanto anche un altro fronte, quello di Kharkiv, dove da giorni si intensificano i raid. La seconda citta’ dell’Ucraina, a nord del Donbass, era stata al centro dell’offensiva di Mosca nella fase iniziale del conflitto, prima di tornare sotto il controllo delle forze di Kiev. Ora, ha dichiarato il consigliere del ministro dell’Interno ucraino, Vadym Denysenko, “la Russia sta cercando di rendere Kharkiv una citta’ di prima linea”. A sud, invece, continua la controffensiva. Le forze di Kiev hanno rivendicato “progressi significativi” e affermano di essere “gia’ ai confini di Kherson. Il sindaco di Melitopol Ivan Fedorov – diventato celebre perche’ sequestrato e poi rilasciato dai russi dopo la presa della citta’ – ha annunciato che le truppe sono avanzate di 10 chilometri da Zaporizhzhia verso Melitopol. “E’ arrivato un gran rifornimento di armi occidentali, il che ci avvicina alla vittoria. Spero – ha detto Fedorov – che nel prossimo futuro sara’ sufficiente per liberare le nostre citta’ occupate e salvare i nostri abitanti”.

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Portava aiuti a Gaza, colpita la nave di una ong

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E’ finito tra le fiamme e il rischio di colare a picco nel Mediterraneo il tentativo di portare aiuti umanitari della nave Conscience, con a bordo 16 uomini tra equipaggio e attivisti intenzionati a violare il blocco navale imposto da Israele alla Striscia. Nella notte tra giovedì e venerdì l’imbarcazione dell’organizzazione filo-palestinese Freedom Flotilla Coalition è stata colpita da droni mentre si trovava in acque internazionali al largo di Malta. Nel porto dell’isola si sarebbe dovuta imbarcare anche Greta Thunberg, che ha stigmatizzato l’offensiva come ‘crimine di guerra’. L’esplosivo ha causato un incendio sull’imbarcazione, uno squarcio nello scafo e la messa fuori uso del generatore. La nave, che era partita dalla Tunisia giorni fa, ha lanciato un Sos a cui ha risposto Malta inviando un rimorchiatore.

Le autorità marittime del La Valletta hanno dichiarato che non ci sono state vittime, l’incendio è stato spento, l’imbarcazione non rischia di affondare e i passeggeri hanno rifiutato di essere portati a riva. La Freedom Flotilla ha attribuito la responsabilità dell’attacco a Israele: “Gli ambasciatori israeliani devono essere convocati e rispondere delle violazioni del diritto internazionale, tra cui il blocco in corso e il bombardamento della nostra nave civile in acque internazionali”. Da Gerusalemme non nessun commento. Mentre il canale di notizie saudita Al Arabiya ha riferito che la spedizione era stata organizzata da Hamas e che le persone a bordo avevano in programma di attaccare le truppe dell’Idf avvicinandosi alla costa di Gaza. L’impiego di droni di piccole dimensioni, difficilmente rilevabili con i radar standard, non lascia una ‘firma elettronica’ significativa, impedendo così l’attribuzione a chi li ha lanciati.

Da Roma e Bruxelles, però, le opposizioni hanno definito ‘un crimine’ l’attacco alla Conscience: Pd, Avs, M5s chiedono al governo Meloni e all’Ue di intervenire condannando l’aggressione. Ankara, memore della strage della Freedom Flotilla del 2010 che vide la morte di 9 attivisti e decine di feriti, ha affermato che “saranno fatti tutti gli sforzi per rivelare il prima possibile i dettagli dell’attacco e portare gli assalitori davanti alla giustizia”. Intanto la Croce Rossa ha dichiarato che l’intervento umanitario a Gaza è “sull’orlo del collasso totale”. Israele ha chiuso i valichi il 2 marzo, sostenendo che Hamas aveva dirottato gran parte degli aiuti entrati durante la tregua di 6 settimane, e che i 25mila camion entrati hanno consegnato aiuti sufficienti per un periodo prolungato. Ora l’Idf, secondo indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni, ha pianificato di modificare radicalmente la distribuzione: stop all’ingrosso e all’immagazzinamento degli aiuti, le organizzazioni internazionali e gli appaltatori privati consegneranno cibo alle singole famiglie di Gaza.

Ogni nucleo familiare avrà un rappresentante che riceverà cibo in una zona di sicurezza dell’esercito nel sud della Striscia. Il piano, che intende aggirare Hamas, non è ancora stato approvato dal governo israeliano, ma l’urgenza che i valichi vengano aperti è stata sottolineata dal ministro della Difesa Israel Katz. Degli ostaggi ancora a Gaza, infine, ha parlato giovedì sera Donald Trump, rivelando di aver appreso che ci sono meno di 24 rapiti ancora in vita, come aveva fatto intendere nei giorni scorsi la moglie del premier israeliano, Sara Netanyahu.

Il governo nel frattempo sta affrontando la forte pressione della comunità drusa, compresi centinaia di riservisti e soldati, che chiede di proteggere i ‘fratelli’ che vivono in Siria, attaccati e uccisi – accusano – dai jihadisti. Dopo una violenta protesta drusa la sera prima nel nord di Israele, nelle prime ore del mattino l’Idf ha bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco. “Questo è un messaggio chiaro al regime siriano. Non permetteremo alle truppe siriane di spostarsi a sud di Damasco o di rappresentare una minaccia per la comunità drusa”, hanno avvertito Netanyahu e Katz. La presidenza siriana ha risposto che il raid rappresenta una “pericolosa escalation”.

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Russia, creiamo una ‘zona cuscinetto’ in regione ucraina di Sumy

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Il ministero della Difesa russo sostiene che le sue truppe stiano creando nella regione ucraina di Sumy quella che definisce “una zona di sicurezza”. Lo riporta l’agenzia Interfax. Le dichiarazioni di Mosca non sono al momento verificabili. L’annuncio arriva dopo che le autorità russe hanno detto di aver ripreso per intero il controllo della regione russa di Kursk, che confina con quella ucraina di Sumy, e dove la scorsa estate i soldati ucraini avevano lanciato un’offensiva a sorpresa. Kiev respinge le affermazioni di Mosca sostenendo di avere ancora dei capisaldi nella regione di Kursk, dove però ha perso gran parte dei territori di cui si era impossessata l’anno scorso.

Pochi giorni fa, il governatore della regione di Sumy, Oleg Hryhorov, aveva dichiarato che le truppe russe stavano cercando di creare una zona cuscinetto nell’oblast dell’Ucraina nordorientale ma, a suo dire, senza “alcun successo significativo”. Allora il governatore ucraino sosteneva che quattro villaggi di confine – Zhuravka, Veselivka, Basivka e Novenke – si trovassero in una “zona grigia” a causa degli attacchi russi, ma non fossero sotto il controllo dei soldati del Cremlino. Il mese scorso, il ministero della Difesa russo sosteneva invece di aver preso Zhuravka e Basivka, cosa che le autorità ucraine negano.

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Rubio: serve svolta nei colloqui su Ucraina al più presto

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump deciderà quanto tempo gli Stati Uniti dedicheranno alla risoluzione del conflitto ucraino, quindi una svolta nei negoziati “è necessaria molto presto”. Lo ha affermato a Fox News il segretario di Stato americano Marco Rubio. Le posizioni di Russia e Ucraina “si sono già avvicinate, ma sono ancora lontane l’una dall’altra – ha ricordato – ed è necessaria una svolta molto presto. Allo stesso tempo, ha proseguito Rubio, è necessario accettare il fatto che “l’Ucraina non sarà in grado di riportare la Russia alle posizioni che occupava nel 2014”. La portavoce del Dipartimento di Stato americano, Tammy Bruce, ha dichiarato durante un briefing che gli Stati Uniti restano impegnati a lavorare per risolvere il conflitto, “ma non voleremo in giro per il mondo per mediare negli incontri che si stanno attualmente svolgendo tra le due parti. Ora – ha sottolineato – è il momento per le parti di presentare e sviluppare idee concrete su come porre fine a questo conflitto. Dipenderà da loro”.

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