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Harry trionfa in libreria ma crolla nei sondaggi in Gb

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harry e meghan

Un libro che – almeno in patria – potrebbe segnare l’inizio della fine del suo stesso autore, l’irrequieto principe ribelle Harry, se il tempo darà ragione ai più sbrigativi tra i detrattori e ai sondaggi sulle reazioni negative della maggioranza dei britannici. Ma che rischia di rivelarsi anche una carica ad orologeria piazzata dall’interno della Royal Family alle fondamenta millenarie della monarchia. È da oggi in vendita in mezzo mondo ‘Spare’, l’annunciatissima autobiografia in cui il duca di Sussex – secondogenito di re Carlo III, orfano inconsolabile di Diana e consorte orgoglioso di Meghan Markle – si mette a nudo e mette a nudo i suoi, dal dorato auto esilio californiano scelto nel 2020, attraverso un racconto affidato alla penna magica del premio Pulitzer J.R. Moehringer: miniera di suggestioni imbarazzanti e accuse esplosive per casa Windsor destinate ora a deflagrare sotto l’occhio globale di decine di milioni di lettori sparsi in tutti i continenti.

Un volume già passato al setaccio dai media per una settimana, nelle rivelazioni più scabrose, grazie alla lettura di qualche copia sfuggita in anticipo al draconiano embargo imposto in teoria fino a ieri dall’editore Penguin. E filtrato altresì dal contorno d’interviste tv rilasciate per il lancio da Harry, beneficato con Meghan dai contratti milionari d’oltre Oceano. Ma dalle cui 410 pagine (dell’edizione inglese) – dedicate in apertura “a Meg”, ad Archie e Lili e, naturalmente, a mia madre” – continueranno a stillare dettagli ed elementi a sensazione da rimestare per chissà quanto tempo: sullo strappo dalla dinasta consumato tre anni fa; sui conflitti irrisolti con il padre sovrano e il fratello maggiore William erede al trono; sui veleni che i familiari (consorti Camilla e Kate in testa) sono accusati nero su bianco d’aver contribuito a spifferare a tabloid e media del Regno; sul trauma mai sanato e sui misteri della tragedia di Lady D; sulla narrazione degli alti e bassi d’una vita personale fatta di privilegi e di cedimenti giovanili alla droga, come pure di missioni militari al fronte e di talebani uccisi in azione in Afghanistan in numero di 25.

Ma soprattutto ingabbiata nelle recriminazioni per quel ruolo di ruota di scorta della corona, di erede di “riserva” (in inglese appunto “spare”) al quale la tradizione di corte relega per nascita i principi cadetti: destino a cui l’immagine finale del libro, un colibrì che ritrova la libertà in terra americana, sembra voler dare l’addio definitivo, sancendo il no alla prospettiva di un qualunque rimpatrio futuro se non da visitatore già espresso a parole: “Non credo che tornare indietro sarà mai possibile”. Capitoli di un’esistenza che per il momento richiamano l’attenzione di schiere di curiosi, sull’isola e altrove. Come dimostrato dalle code di gente di età ed estrazione diverse in attesa delle prime copie fresche di stampa formatesi fin dalla notte ad esempio dinanzi alle librerie della catena di WHSmith, leader sul mercato britannico. O l’immediato primo posto conquistato nelle classifiche dei bestseller ordinati online tramite Amazon.

Ma su cui nel Regno non cessa di montare la furia della stampa popolare, i rimbrotti di testate di establishment e royal correspondent, il risentimento di tanti sudditi, le indiscrezioni sulla “tristezza” se non la “collera” attribuita al resto dei familiari, re Carlo in primis. Intanto un sondaggio YouGov accredita l’ulteriore crollo delle simpatie dei connazionali per Harry: affondato al record negativo d’un 28% di consensi e d’un 64% di dissensi, dopo essere stato in anni nemmeno lontani di gran lunga il reale più popolare del lotto. Numeri da contestualizzare, avverte d’altronde Tessa Dunlop, storica della monarchia, osservando quanto siano concentrati fra la popolazione più matura e bianca del Paese, a fronte di un campione spaccato a metà fra i più giovani e decisamente più sfavorevole verso la narrativa gradita al palazzo tra le minoranze etniche. Nonché negli Usa, nei talk show di celebrità assolute del giornalismo liberal quali Christiane Amanpour, Anderson Cooper o Emily Maitlis, e in altri Paesi stranieri come quelli del Commonwealth: dove gli eredi della compianta Elisabetta II sarebbero sulla carta chiamati a continuare a esercitare il loro soft power in avvenire. Mentre Anna Pasternak, commentatrice controcorrente di vicende reali, non esita a dirsi “totalmente d’accordo” col secondo figlio di Diana sulla denuncia delle “collusioni” malsane e degli scambi di favori costruiti in questi anni dai vertici del casato e dai pr di corte con tabloid, reporter e gole profonde varie.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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