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Esteri

Hamas restituirà i corpi dei piccoli Bibas giovedì

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L’accelerazione chiesta da Israele per la liberazione degli ultimi sei ostaggi vivi, dei 33 previsti nella prima fase dell’accordo, è stata accolta da Hamas. Che ha confermato anche la restituzione di quattro salme di rapiti per giovedì e altrettante la prossima settimana. Il capo negoziatore di Gaza Khalil al Hayya, in un discorso registrato trasmesso da al Quds news ha annunciato che nelle bare consegnate all’Idf ci saranno anche Shiri, Kfir e Ariel Bibas, la madre e i due bambini dai capelli rossi rapiti il 7 ottobre 2023 nel kibbutz di Nir Oz. Israele aspetta il risultato dell’esame del Dna prima di qualsiasi conferma. La tv pubblica Kan ha fatto sapere che i corpi saranno identificati entro 48 ore dalla consegna ad Abu Kabir.

Le autorità esortano alla cautela per rispetto al dolore dei parenti. Ma la famiglia Bibas, pur non avendo ricevuto aggiornamenti ufficiali, ha voluto chiarire che la notizia, trasmessa da media e social palestinesi, non ha mancato di raggiungere anche loro, con quel che ne consegue. Sul fronte diplomatico, Benyamin Netanyahu ha ottenuto un risultato riducendo a una, anziché due, le liberazioni-show in cui si sono prodotti Hamas e la Jihad islamica palestinese da settimane. In cambio consentirà l’ingresso a Gaza di centinaia di roulotte per gli sfollati e i mezzi pesanti per spostare le macerie che ricoprono la Striscia e le strade di collegamento. Oltre alla liberazione di ulteriori 47 detenuti palestinesi, che si aggiungeranno agli oltre mille già tornati in libertà nelle scorse settimane. Da quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto che tutti gli ostaggi israeliani fossero liberati entro sabato scorso, scadenza trascorsa con il ritorno in patria di soli tre, Israele ha esercitato un forte pressing sui Paesi mediatori affinché almeno gli ultimi sei della prima fase siano rilasciati tutti insieme il 22 febbraio.

Avera Mengistu e Hisham al-Sayed saranno rilasciati dopo più di dieci anni in cattività a Gaza, gli altri dopo 505 giorni di prigionia: Omer Wenkert, Omer Shem Tov, Eliya Cohen, Tal Shoham. Secondo fonti di Axios, anche Hamas avrebbe spinto per concludere prima del 42mo giorno, temendo – così come Gerusalemme – che il piano potesse saltare prima di essere portato a termine. Nel mentre, non si è fatta attendere la reazione gli ayatollah dopo che Benyamin Netanyahu, durante la dichiarazione congiunta con il segretario di Stato Usa Marco Rubio di domenica, ha avvisato Teheran che “il lavoro sarà portato a termine”. Riferendosi all’attacco dei mesi scorsi in Iran in risposta alle centinaia di missili lanciati dai pasdaran in ottobre su Isrele. Il numero due dei guardiani della rivoluzione Ali Fadavi martedì ha minacciato una terza ondata di attacchi missilistici contro Israele “al momento opportuno”. Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, nel frattempo ha superato le speculazioni degli ultimi giorni spiegando in un briefing con la stampa che nei prossimi giorni prenderanno il via i negoziati sulla seconda fase dell’accordo con Hamas, che comprenderà lo scambio dei restati ostaggi israeliani, tra cui 19 militari (in vita secondo l’inviato Usa Steve Witkoff) con altri detenuti palestinesi. Secondo le stime, altri 24 ostaggi ancora in vita saranno rilasciati.

Il ministro degli Esteri è stato poi categorico sul futuro del governo di Gaza: “Chiediamo la smilitarizzazione totale della Striscia. Non accetteremo alcuno scenario in cui i gruppi terroristici armati restino nell’enclave”, ha detto, aggiungendo poi che “Israele non appoggerà un piano che preveda il trasferimento del controllo civile di Gaza da Hamas all’Anp”. Sa’ar inoltre ha confermato che l’Idf “temporaneamente” resterà in cinque località strategiche del sud del Libano per proteggere da nuove fiammate le comunità settentrionali israeliane. Presenza condannata da Beirut che parla di ‘occupazione’, ma anche dall’Onu secondo cui “qualsiasi ritardo nel ritiro di Israele” sarebbe una “violazione della risoluzione 1701” del Consiglio di Sicurezza.

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Esteri

Rubio: serve svolta nei colloqui su Ucraina al più presto

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump deciderà quanto tempo gli Stati Uniti dedicheranno alla risoluzione del conflitto ucraino, quindi una svolta nei negoziati “è necessaria molto presto”. Lo ha affermato a Fox News il segretario di Stato americano Marco Rubio. Le posizioni di Russia e Ucraina “si sono già avvicinate, ma sono ancora lontane l’una dall’altra – ha ricordato – ed è necessaria una svolta molto presto. Allo stesso tempo, ha proseguito Rubio, è necessario accettare il fatto che “l’Ucraina non sarà in grado di riportare la Russia alle posizioni che occupava nel 2014”. La portavoce del Dipartimento di Stato americano, Tammy Bruce, ha dichiarato durante un briefing che gli Stati Uniti restano impegnati a lavorare per risolvere il conflitto, “ma non voleremo in giro per il mondo per mediare negli incontri che si stanno attualmente svolgendo tra le due parti. Ora – ha sottolineato – è il momento per le parti di presentare e sviluppare idee concrete su come porre fine a questo conflitto. Dipenderà da loro”.

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Esteri

Onu prepara ampia riforma a causa dei vincoli di bilancio

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Le Nazioni Unite stanno valutando una radicale ristrutturazione con la fusione dei team chiave e la ridistribuzione delle risorse. Lo riporta la Reuters sul suo sito, citando un memorandum riservato preparato da un gruppo di lavoro del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres. Il documento propone di indirizzare le decine di agenzie in quattro direzioni principali: pace e sicurezza, questioni umanitarie, sviluppo sostenibile e diritti umani. Tra le misure specifiche figura la fusione delle agenzie operative del Programma Alimentare Mondiale (Wfp), dell’Unicef, dell’Oms e dell’Unhcr in un’unica agenzia umanitaria.

La riforma prevede inoltre la riduzione delle duplicazioni di funzioni e la razionalizzazione del personale, incluso il trasferimento di una parte del personale da Ginevra e New York a città con costi inferiori. L’iniziativa è legata alla crisi finanziaria dell’ONU. Le proposte definitive di ristrutturazione dovranno essere presentate entro il 16 maggio.

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Esteri

Siria, Israele bombarda zona palazzo presidenziale Damasco

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L’esercito israeliano ha annunciato di aver bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco, dopo aver minacciato il governo siriano di rappresaglie se non avesse protetto la minoranza drusa. “Gli aerei da guerra hanno colpito la zona intorno al palazzo”, ha scritto l’esercito israeliano su Telegram.

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