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Grillo, la madre di Silvia: mia figlia, solo un corpo che cammina

Un racconto molto sofferto, quello della madre della giovane, che all’epoca dei fatti aveva 19 anni e si trovava in Sardegna, a Porto Cervo, in vacanza.

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La sua è stata la testimonianza chiave, quella che ha di fatto monopolizzato la sesta udienza del processo – la prima del 2023 – davanti ai giudici del Tribunale di Tempio Pausania, in cui sono imputati Ciro Grillo e tre suoi amici genovesi, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, accusati di violenza sessuale di gruppo su una ragazza italo norvegese, Silvia, nell’estate del 2019. Un racconto molto sofferto, quello della madre della giovane, che all’epoca dei fatti aveva 19 anni e si trovava in Sardegna, a Porto Cervo, in vacanza. “Mia figlia dopo l’accaduto era una persona diversa, da quel momento ha iniziato un periodo tragico in cui era solo un corpo che camminava. Da allora non riesce più a dormire con la luce spenta”, ha detto la donna in aula, parlando per oltre quattro ore, visibilmente provata e commossa. “E’ stata una testimonianza autentica, mai un’incertezza, colma di sofferenza. Riteniamo che possa essere di grande rilevanza nella ricostruzione del caso”, ha spiegato l’avvocato Dario Romano, che tutela la presunta vittima insieme a Giulia Bongiorno, oggi assente. Un altro avvocato ha riferito che “la mamma ha fatto la mamma”, lasciando intendere che la donna si è schierata con la figlia, senza se e senza ma.

Fu lei ad accompagnare la ragazza nella clinica Mangiagalli di Milano per effettuare delle visite e dei controlli. E proprio ai carabinieri del capoluogo lombardo disse di aver notato dei cambiamenti profondi nella figlia. La teste, che ha raccontato molti dettagli finora inediti su quella notte di 4 anni fa, mai svelati agli inquirenti nemmeno dalla figlia (“Silvia è stata sbattuta al muro ed è svenuta”), è crollata e ha pianto più volte durante l’udienza, in particolare quando ha ricordato l’arrivo a sorpresa dalla Norvegia, per il compleanno di Silvia, di una cara amica con cui la ragazza si era confidata dopo il presunto stupro. Il processo, che si svolge a porte chiuse per la delicatezza del caso trattato, ha visto dunque la figura della madre al centro dell’udienza. Durante il controesame, alla donna è stato chiesto di fare chiarezza sul contenuto dei messaggi e delle telefonate che, nelle giornate successive alla notte tra il 16 e il 17 luglio del 2019, ha scambiato con la figlia mentre la ragazza si trovava ancora in Sardegna e lei era invece a Milano. Secondo il pool difensivo, il tenore delle telefonate e degli sms non sarebbe compatibile con uno stato di stress: la ragazza, in un primo momento, sembrerebbe non aver fatto alcun riferimento a quanto sarebbe accaduto all’interno della villetta a schiera di proprietà della famiglia Grillo a Porto Cervo.

Durante l’udienza gli avvocati degli imputati hanno poi mostrato alcune fotografie, scattate e postate nei giorni successivi ai fatti contestati dalla Procura, in cui compare Silvia in bikini su un lettino in una spiaggia delle Galapagos. Per la difesa, queste immagini testimonierebbero la serenità e la situazione di non stress della ragazza. Le foto potranno essere depositate solo dopo le audizioni dei consulenti. In aula ha parlato anche la consulente tecnica della Procura, Veronica Chiodino – solo 5 minuti per spiegare come ha tradotto le chat tra Silvia e la sua amica norvegese – e il padre di Silvia. Il suo è stato un racconto molto più breve e meno impattante dal punto di vista emotivo rispetto a quello della moglie. Il presidente del collegio, Marco Contu, ha invece rinviato alla prossima udienza dell’8 marzo le deposizioni dei due migliori amici della ragazza, Adelaide Malinverno e Alex Cerato. Quest’ultimo nel luglio del 2019 si trovava in Sardegna insieme a Silvia: i due avrebbe trascorso la prima parte della serata del 16 luglio nella nota discoteca Billionaire di Porto Cervo per poi separarsi.

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Trentuno anni senza Senna: ecco chi era Ayrton

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L’ho conosciuto quando correva in Formula Ford. Si chiamava ancora Ayrton Senna da Silva, ma poi scelse di usare solo il cognome della madre, Senna, di origini napoletane. Lì è cominciata la nostra storia. Una storia fatta di interviste, confidenze, sorrisi rubati tra le gomme di un box e silenzi che dicevano più di mille parole. L’ho seguito lungo tutta la sua carriera, e mi ha regalato non solo emozioni uniche da raccontare, ma anche tanti scoop, momenti che oggi custodisco come piccole reliquie dell’anima.

Ma quel primo maggio del 1994 non ero a Imola. Strano a dirsi, ma avevo l’esame di subacquea. Chi se la dimentica, quella giornata? Ero a Sant’Angelo, nella mia Ischia, e avevo appena finito la prova per il brevetto open. Stavo uscendo dall’acqua quando alcuni colleghi sub mi dissero: “Hai saputo? Senna ha avuto un brutto incidente.” Corsi a casa di mio fratello, dove alloggiavo in quei giorni, accesi la tv e arrivai giusto in tempo per sentire l’annuncio: Ayrton era morto. Una notizia che mi colpì con la violenza di un’onda improvvisa. Da allora, non riesco più a guardare la Formula 1. Ogni volta ci provo, ma i ricordi affiorano troppo forti, troppo vivi.

Vedo Ayrton mentre pulisce il casco con gesti metodici, seduto accanto a me su una pila di gomme durante la nostra prima intervista. Lo rivedo mentre mi fa entrare sul set di uno spot pubblicitario, sfidando lo sponsor, solo per farmi lavorare. Ricordo quando parlava solo con me per un’intervista sull’Europeo, mentre agli altri giornalisti non concedeva nulla. Quando telefonava con me al mio direttore di allora, Marcello Sabatini. E quella volta in cui mi offrì un pass per entrare al Gran Premio di Francia.

Ayrton Senna ai box intervistato da Anna Maria Chiariello

E poi l’ultima intervista, quando tutti dicevano che si sarebbe ritirato. Ai box, suo fratello, mamma Joanna. L’impegno silenzioso e profondo per aiutare i bambini sfortunati. La pasta asciutta mangiata tra amici, lontano dai riflettori. E quel messaggio registrato per un ragazzino in coma all’ospedale di Imola… “Ana, non lo scrivere,” mi disse. Sempre pudico, sempre discreto quando faceva del bene. Ne faceva tanto, ma non lo diceva a nessuno.

Ayrton è stata una perdita vera. Non solo per l’automobilismo, un mondo dove stava diventando scomodo, perché si batteva per la sicurezza. Non solo per la sua famiglia. Ma per tutti. Perché era un esempio positivo.

Addio, Ayrton. Trentuno anni dopo, il mio ricordo non è cambiato. È ancora lì, vivido, intatto. Come se il tempo si fosse fermato su quel primo maggio.

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Pedro salva la Lazio, con il Parma è 2-2 in rimonta

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Serviva una vittoria alla Lazio, ma contro il Parma arriva solo un pareggio che rischia di pesare come un macigno sulle ambizioni della squadra di Baroni. E che, a fine campionato, potrebbe rappresentare la differenza tra l’ingresso in Europa e una stagione senza coppe. Mentre per la squadra di Chivu il pari dell’Olimpico è un passo in avanti verso la salvezza con sette punti di vantaggio da gestire a quattro giornate dal termine sul Venezia terzultimo. Prima del match il ricordo di Papa Francesco sui maxischermi, con tutto lo stadio ad applaudire l’omaggio al Pontefice scomparso una settimana fa. Per i biancocelesti, però, arriva subito la doccia fredda con Ondrejka che, lasciato troppo solo, buca centralmente la difesa di casa trovando il vantaggio che porta avanti il Parma.

La Lazio non riesce a reagire, la squadra di Baroni appare spuntata rispetto alle ultime uscite. Servono addirittura 25 minuti per vedere la prima conclusione con il destro dal limite di Rovella, che però non centra nemmeno la porta. Il più intraprendente è Castellanos che trova anche il gol del pareggio in spaccata, ma in posizione di fuorigioco. Il primo tempo non regala altre emozioni con il duplice fischio dell’arbitro Sacchi che fa partire una bordata di fischi del pubblico di casa. E l’inizio della ripresa è ancora peggiore per i biancocelesti, ma dolcissimo per Ondrejka che, dopo aver vinto un rimpallo, trova l’incrocio di destro raddoppiando il punteggio e premiando la scelta di Chivu al di là di ogni più rosea aspettativa.

Il Parma è padrone del campo, Pellegrino si divora il tris a tu per tu con Mandas esaltando le doti del portiere biancoceleste. Baroni cerca la scossa inserendo Pedro per Dia, Chivu risponde con Djuric ed Hernani per Bonny e Pellegrino preferendo coprirsi. E la mossa del tecnico biancoceleste porta i risultati sperati con il guizzo di Isaksen a calciare in porta, ma trovando la risposta di Suzuki che blinda porta e risultato. Mentre dall’altra parte Mandas deve ancora superarsi per deviare in angolo il sinistro di Man. Ma proprio quando l’Olimpico, tra cori di contestazione al presidente e fischi ai subentrati Noslin e Tchaouna per gli errori dal dischetto in Europa League, cominciava a sentire odore di sconfitta ecco il gol di Pedro, bravo a spedire il sinistro sotto la traversa riaprendo i giochi.

La rete segnata accende la Lazio, lo spagnolo sale in cattedra e sigla anche il raddoppio, stavolta di testa fissando il punteggio sul 2-2 finale che evita la sconfitta ma rischia di lasciare rimpianti a fine stagione.

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Condannato a 30 anni per omicidio si nascondeva in B&B sul mare

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Lo hanno catturato i carabinieri, che si sono finti turisti, in un B&B in riva al mare nel Salento dove si era nascosto dopo una condanna definitiva a 30 anni di carcere per omicidio. È stato arrestato così Cosimo Mazzotta , 51 anni, leccese, latitante dallo scorso 8 marzo dopo che la sua condanna era stata confermata in via definitiva dalla Cassazione.

A trovarlo in un B&B di Torre Lapillo, nel comune di Porto Cesareo, sono stati i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale. Dopo prolungati appostamenti, servizi di osservazione e ricognizioni una coppia di carabinieri, fintisi turisti, hanno prenotato una stanza vicina a quella del latitante e hanno avvisato le altre pattuglie che hanno circondato la struttura ricettiva e hanno fatto irruzione, cogliendo Mazzotta di sorpresa.

Il 51enne, che si era registrato con un nome falso, al momento dell’arresto era da solo e non ha opposto resistenza, mostrandosi sorpreso per l’arrivo degli investigatori, ai quali ha raccontato che per non farsi scoprire aveva evitato qualsiasi rapporto con l’esterno, approfittando della vicinanza al mare per fare qualche passeggiata. L’uomo aveva con sè vari telefoni e diverse utenze telefoniche. La condanna a 30 anni di carcere era stata comminata dalla Corte d’Assise d’Appello di Taranto il 30 maggio del 2024, per l’omicidio in concorso, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, commesso il 17 marzo del 1999 del 21enne Gabriele Manca, coinvolto in contrasti legati allo spaccio di droga.

Il giovane fu assassinato in una zona di campagna a Lizzanello a pochi chilometri da Lecce. La vittima, secondo il quadro ricostruito dai carabinieri del ROS diciotto anni dopo il delitto, era stata uccisa a colpi di pistola sparatigli alle spalle mentre tentava la fuga da un commando di quattro persone che aveva organizzato una vera e propria esecuzione. Mazzotta è ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio.

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