Collegati con noi

Economia

Gas, non scatta il livello di allarme: la situazione è tragica ma non è seria

Pubblicato

del

L’Italia non deve alzare il livello di allerta sul gas, dall’attuale preallarme ad allarme. E’ il parere che ha dato il Comitato tecnico di emergenza sul gas del Ministero della Transizione ecologica, un organo consultivo ad altissimo livello. La decisione finale spetta ora al ministro, Roberto Cingolani. Ora vedra’ le societa’ energetiche, Eni ed Enel in testa. Quindi, decidera’ il da farsi. Il Comitato sul gas (Ctem) che si e’ riunito e’ formato dai dirigenti del Mite e da rappresentanti dell’autorita’ per l’energia Arera e dalle societa’ di trasporto del gas e dell’elettricita’, Snam e Terna. Quello che e’ emerso e’ che la situazione degli stoccaggi e’ buona (siamo al 55%). Nonostante il taglio del 15% della fornitura dalla Russia, rimane possibile arrivare al traguardo del 90% a fine anno. Un livello che permetterebbe di affrontare l’inverno con tranquillita’, in attesa che dal prossimo anno arrivino le nuove forniture da Algeria, Azerbaijan e Africa. Di conseguenza, non e’ necessario oggi alzare il livello di allerta, da preallarme ad allarme. In quest’ultima situazione, il Ministero potrebbe chiedere alla Snam di ridurre le forniture alle aziende energivore, attivando i contratti di contenimento volontario della domanda da parte dei clienti. Non ci sarebbero comunque tetti alle forniture e ai consumi. Questi scatterebbero solo al livello superiore, quello di emergenza. Ma al momento, ne siamo ben lontani. Secondo il Comitato, l’attuale livello di preallarme consente di prendere tutte le misure necessarie, affidate solo alle aziende energetiche e non allo Stato: aumento delle importazioni, stop alle forniture interrompibili, impiego di combustibili alternativi. Il Ctem ha anche stabilito di acquistare piu’ carbone, per avere una scorta di combustibile in vista dell’embargo a quello russo ad agosto. Il ministro Cingolani stamani aveva spiegato che non verranno riaperte le centrali a carbone chiuse. Quelle in funzione pero’ continueranno a lavorare, risparmiando gas per la produzione elettrica e destinandolo agli stoccaggi. Il taglio alle forniture deciso da Putin ha chiaramente l’obiettivo di rallentare le scorte: sia riducendo le quantita’, sia facendo schizzare in alto il prezzo del gas e mettendo in difficolta’ le imprese, che non hanno fondi per comprarlo. Cingolani oggi ha spiegato che l’esecutivo pensa a garanzie pubbliche per gli operatori degli stoccaggi. “Dobbiamo lavorarci – ha detto -. Un anno fa 1 metro cubo di gas costava 20 centesimi, adesso costa 1 euro. Dobbiamo immagazzinare 10 miliardi di metri cubi: un anno fa ci volevano 2 miliardi di euro, ora ce ne vogliono 10. Siccome le linee di credito rimangono quelle, per gli operatori e’ un rischio”. Le ultime quotazioni sono ancora piu’ alte: 125 euro a megawattora, in crescita del 4% sul giorno precedente Secondo il ministro, il governo emanera’ a breve i bandi per aumentare la produzione di gas nazionale e il decreto Fer2 per gli incentivi alle rinnovabili piu’ innovative. Poi continuera’ a battersi in Europa per un tetto al prezzo del gas (battaglia condivisa da Confindustria), per sganciare il costo delle rinnovabili da quello del metano e per una nuova regolamentazione dei mercati. “Ma perche’ – ha commentato -, nel pieno di una guerra la cosa migliore che ha saputo fare il TTF (la borsa del gas di Amsterdam, n.d.r.) e’ stata alzare il prezzo?”. Proprio oggi l’Istat ha certificato che il metano e’ la fonte di energia piu’ diffusa in Italia, sia per il riscaldamento (68%) che per la produzione di acqua calda (69,2%). Ma per le ong ambientaliste Legambiente, Greenpeace e Wwf, il governo sta sbagliando politica: “Il ministro comincia sempre dai fossili – scrivono in una nota congiunta -, fingendo di ignorare che la crisi climatica ne impone il progressivo abbandono, mentre occorre cominciare dalle fonti rinnovabili”.

Advertisement
Continua a leggere

Economia

Mediobanca lancia offerta su Banca Generali: nasce un colosso del Wealth Management

Mediobanca offre la propria partecipazione in Generali per acquisire Banca Generali e rafforzarsi nel Wealth Management con 210 miliardi di attivi in gestione.

Pubblicato

del

Mediobanca ha ufficialmente lanciato un’offerta pubblica di scambio sul 100% di Banca Generali, proponendo al Leone di Trieste la propria partecipazione azionaria in cambio della controllata specializzata nel settore del risparmio gestito. L’operazione, annunciata attraverso una nota ufficiale, comporta per Mediobanca la cessione della sua quota in Generali e un simultaneo investimento in Banca Generali per un valore complessivo di 6,3 miliardi di euro.

Evoluzione del rapporto tra Mediobanca e Generali

Secondo quanto precisato da Piazzetta Cuccia, questa mossa rappresenta un cambiamento strategico nei rapporti tra Mediobanca e Generali: da un semplice legame finanziario si passa a una “forte partnership industriale”, segnando una nuova fase di collaborazione tra i due gruppi.

Obiettivo: la leadership nel Wealth Management

L’operazione permetterà a Mediobanca di rafforzare notevolmente la propria presenza nel settore del Wealth Management. Una volta completata l’aggregazione, il gruppo potrà contare su attivi in gestione pari a 210 miliardi di euro, ricavi per circa 2 miliardi e una capacità di crescita stimata in oltre 15 miliardi annui. Un passo decisivo che conferma la volontà di Mediobanca di posizionarsi come leader di mercato in un settore strategico e in forte espansione.

Continua a leggere

Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

Pubblicato

del

In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

Continua a leggere

Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

Pubblicato

del

Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto