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Figliuolo: fondi a chi servono,non sarà una nuova Irpinia

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Una prima linea d’azione che annuncia innanzitutto cosa non si farà: nella ricostruzione in Emilia Romagna non dovranno ripetersi gli errori del post terremoto in Irpinia, esempio negativo di cattiva gestione dei contributi all’epoca. Il commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo in audizione in commissione Ambiente alla Camera lancia un avvertimento sui controlli per l’erogazione dei fondi, che saranno attivati dai sub commissari, ovvero dai tre presidenti delle regioni coinvolte dall’alluvione dello scorso maggio, Bonaccini, Giani e Acquaroli (la cui investitura è pressoché scontata). “Bisogna fare in maniera veloce, non affrettata, ma fare bene: essere sicuri di dare a chi effettivamente ha avuto il danno. – sottolinea il generale – Io vengo dalla Basilicata e purtroppo nel terremoto che colpì negli anni ’80 quella regione e l’Irpinia si assistette e fenomeni che qui sicuramente non capiteranno, però ritengo che a tutti i livelli un minimo di controlli veloci informatizzati vanno comunque fatti perché io, e voi parlamentari me lo insegnate, abbiamo il dovere morale e cogente di dare a chi ha patito i danni”.

Quanto basta per accendere una polemica con in testa Livio Petitto, capogruppo in Regione Campania di “Moderati e Riformisti”. Parole gravissime – dice – che non dovrebbero appartenere ad un uomo delle Istituzioni e che offendono una popolazione, come quella dell’Irpinia, che ha pianto quasi 3.000 morti da quell’evento catastrofico e ancora oggi sconta le conseguenze del difficile processo di ricostruzione, materiale e morale. Figliuolo chieda scusa al popolo irpino’. Mentre per Gianfranco Rotondi, deputato di Avellino eletto con Fratelli d’Italia, le parole di Figliuolo, sono “estremamente inopportune e fuori luogo”.

Le verifiche, spiega intanto il commissario, viaggeranno anche su un altro binario parallelo, con il coinvolgimento del mondo scientifico che fornirà dati e valutazioni, confrontandosi con quelli degli uffici dei territori. Prima però ci sono le priorità di settembre, dagli interventi urgentissimi con un focus sul dissesto idrogeologico, al quale già si sta lavorando, fino alla ripartenza delle lezioni in presenza per gli studenti: “serve una messa in sicurezza iniziale, affinché ad ottobre con le nuove piogge ci sia un minimo di garanzia. Poi l’apertura delle scuole è uno dei pensieri primari, non averle aperte implicherebbe tragedie di tutti i tipi”.

E poi c’è il nodo della ricostruzione. “coinvolgeremo i territori, gli esperti e anche il mondo accademico”, assicura il commissario che chiarisce: “siamo in una fase di transizione. Sta terminando l’emergenza ma i cui riverberi sono ancora in atto perché ci sono le ordinanze della protezione civile in cui l’aspetto è incentrato sui lavori di somma urgenza, alcuni dei quali ancora devono partire e molti sono già partiti e che necessitano di ristori per i Comuni, specie quelli più piccoli, che hanno già impiegato quelle poche risorse che avevano a disposizione e quindi si sono esposti finanziariamente”.

Ed è per questo che appena sarà conclusa la ricognizione dei danni e saranno a disposizione i soldi, “la prima cosa che farò sarà erogare i fondi partendo dai Comuni più piccoli”. Al momento, per la ricostruzione sono stati stanziati per il 2023 un miliardo e 28 milioni di euro mentre per il 2024 e 2025 sono invece previsti rispettivamente 750 milioni e 841 milioni. Il lavoro dunque è già cominciato e una prima scadenza c’è: la regione Emilia Romagna ha definito un piano integrato di gestione eccezionale dei rifiuti urbani, dei quali si conta di smaltire oltre 150mila tonnellate entro metà settembre prossimo. “Supporterò appieno la regione nella soluzione delle tematiche più spinose connesse al trattamento delle macerie e dei fanghi”, dice Figliuolo, “profondamente convinto che troverò in tutti massimo supporto perché ritengo ancora una volta che senza un lavoro di squadra non si possano perseguire obiettivi”.

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San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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