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Corona Virus

Fauci: 15% di vaccinati in Italia, ancora pochi per riaprire

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“Il tasso del 15% di persone completamente vaccinate in Italia e’ un buon punto di partenza ma in Usa non sarebbe sufficiente per cambiare le linee guida sulle restrizioni”: e’ il consiglio dell’immunologo italo-americano Anthony Fauci, incalzato dalla stampa italiana dopo che l’ambasciatore a Washington Armando Varricchio gli ha conferito nella sua residenza di Villa Firenze – a nome del presidente Sergio Mattarella – la piu’ alta onorificenza del nostro Paese, quella di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Un riconoscimento alla sua lunga e prestigiosa carriera nel campo delle malattie infettive e della salute pubblica, compreso il suo ruolo guida nella lotta alla pandemia, di cui e’ diventato un’icona mondiale nella task force della Casa Bianca, lavorando con ben sette presidente americani. “Ringrazio il presidente Mattarella, sono incredibilmente onorato, non posso non pensare a quanto sarebbero orgogliosi i miei nonni se fossero qui ora”, ha commentato l’80enne direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), che aveva nonni paterni siciliani e nonni materni campani, cresciuto in un quartiere italo-americano di Brooklyn in una famiglia dove il piatto forte era la carbonara e che ora sogna di tornare a Firenze, la sua citta’ italiana preferita. Accolto ormai ovunque come una popstar, Fauci non si e’ sottratto alla raffica di domande dei cronisti italiani, evitando di commentare “questioni controverse” come quella del coprifuoco e la riapertura dei ristoranti. “La gravita’ della pandemia varia da Paese a Paese e quindi e’ difficile dare giudizi uniformi, le risposte variano anche all’interno degli stessi Paesi”, ha ricordato. Ma, pressato sulla situazione italiana, e’ sembrato suggerire che appare prematuro riaprire bar, ristoranti e palestre con una percentuale di vaccinati cosi’ bassa, anche se si e’ ben guardato dal commentare le misure del governo italiano. Come si e’ astenuto dal criticare Donald Trump (“non guardo al passato ma al futuro”), pur lodando come “fantastica” l’amministrazione Biden per la gestione della pandemia. Lo scienziato ha quindi ricordato che in Usa il 60% degli adulti ha ricevuto almeno una dose di vaccino e che “l’obiettivo dell’amministrazione Biden e’ arrivare al 70% per il 4 luglio, dopo di che potremmo tornare a fare quello che facevamo prima della pandemia”. Fauci ha tuttavia precisato che “non si conosce ancora la soglia dell’immunita’ di gregge perche’ si tratta della prima pandemia di questo virus”. Quanto al passaporto vaccinale, si e’ detto contrario ad un’iniziativa del governo centrale, lasciando pero’ alle varie realta’ la possibilita’ di fissare le proprie regole, come stanno facendo le universita’ o certe compagnie aeree che richiedono l’immunizzazione. L’immunologo e’ stato incalzato anche sulla proibizione dei viaggi in Usa dall’Europa: “Spero che entro la fine dell’estate o l’inizio dell’autunno ci possa essere un allentamento del bando che vieta i viaggi in Usa dall’area Schengen, Italia compresa, ma non posso garantire”. L’Italia ha gia’ riaperto i voli (covid-free) dagli Stati Uniti, che nel 2019 hanno fatto registrare nel Belpaese 6,1 milioni di ingressi turistici e 16,3 milioni di pernottamenti, per un totale di 5,5 miliardi di euro. Ma gli Usa non hanno ancora riaperto le porte ai turisti europei mantenendo il bando di Trump, anche se le diplomazie sono al lavoro e non e’ escluso – secondo le voci che rimbalzano a Washington – che durante il viaggio di Biden in Europa a meta’ giugno ci possa essere qualche sviluppo. Fauci ha quindi rilanciato la richiesta di un’indagine sulle origini del virus: “Nato in laboratorio? Sembra improbabile ma non escludo nulla. Penso sia importante fare un’inchiesta indipendente, imparziale, con scienziati di tutto il mondo, e spero che i cinesi collaborino”. Lo scienziato ha poi spezzato una lancia a favore della condivisione mondiale dei vaccini, auspicando che “i Paesi ricchi facciano il possibile per fornirli ai Paesi piu’ poveri, non importa come, se firmando contratti con grandi compagnie o con il trasferimento di tecnologia”. Infine ha promosso lo Sputnik (“il vaccino russo e’ molto buono”), mentre su AstraZeneca ha sottolineato che in Usa non e’ ancora stata presentata la domanda per l’autorizzazione d’emergenza, con i relativi dati.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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