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Politica

Extraprofitti nel mirino, nuovi incassi da multinazionali

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Extraprofitti, si cambia. Il Senato si prepara all’esame del decreto asset e su una delle norme più contestate del provvedimento prendono già forma le modifiche che permetteranno di limitare l’impatto sulle banche. L’alleggerimento rischia di ridurre anche i potenziali incassi per lo Stato ma a portare acqua al mulino della manovra potrebbe essere una nuova fonte: il governo è infatti pronto a presentare al Parlamento il decreto attuativo della delega fiscale che, in linea con la direttiva Ue, introduce anche in Italia un’aliquota minima sulle multinazionali. Il decreto legislativo, il primo dopo l’approvazione della legge quadro sulla riforma del fisco, partirà con il suo iter la prossima settimana.

L’obiettivo è fare in modo che qualsiasi grande gruppo nazionale o estero attivo in più Paesi, di carattere industriale, commerciale o digitale, paghi un’imposta effettiva di almeno il 15%. Percentuale che spesso non viene raggiunta per detrazioni o crediti d’imposta che riducono la base imponibile (o che per i colossi del web si ferma con la cosiddetta Google tax al 3%). L’esame parlamentare dovrà concludersi entro l’anno affinché la norma, come previsto dalla normativa Ue, possa entrare in vigore all’inizio del 2024. Un vero e proprio assist per la legge di bilancio: gli incassi potrebbero infatti essere utilizzati come copertura degli interventi di politica economica per il prossimo anno. Le cifre sono ancora in corso di valutazione in attesa della messa a punto del quadro di finanza pubblica complessivo della Nadef, ma a spanne si potrebbe trattare di circa 2 miliardi di euro.

Molto dipenderà non solo dai calcoli della platea interessata, ma – alla fine – anche dallo stesso percorso parlamentare della norma e dagli eventuali apporti di maggioranza e opposizione al decreto. Al momento le Camere sono però chiamate ad esprimersi innanzitutto sul decreto asset, il contenitore omnibus in cui sono inserite le misure contro il caro voli, sui taxi, sul granchio blu, ma soprattutto sugli extraprofitti delle banche. Come annunciato da Giancarlo Giorgetti agli imprenditori riuniti a Cernobbio una settimana fa, la norma “migliorerà” e i cambiamenti sono già in via di definizione sulla falsariga di quanto annunciato nella stessa sede dal vicepremier Antonio Tajani. A farsi interprete per prima delle istanze del mondo bancario è stata infatti proprio Forza Italia che, in attesa della raffica di audizioni di martedì prossimo e della scadenza di mercoledì per la presentazione degli emendamenti, punta su 4 priorità. Innanzitutto specificare con esattezza che la norma è solo una tantum, non replicabile negli anni successivi, poi escludere dalla tassazione i titoli di Stato in pancia alle banche, introdurre la deducibilità della tassa – probabilmente non totale ma, secondo indiscrezioni degli ultimi giorni, al 50% – e infine calibrare attentamente il prelievo in modo da rispettare le specificità delle banche più piccole, altrimenti troppo penalizzate rispetto ai grandi istituti.

Parlando di “disparità di trattamento”, qualche dubbio sulla misura è stato del resto sollevato anche dai tecnici del Senato che, come di consueto, hanno valutato l’impatto finanziario del decreto. Il Servizio bilancio di Palazzo Madama ha invitato a prendere in considerazione “un possibile rischio legato all’eventuale incompatibilità costituzionale della disposizione” (come fu il caso della Robin tax). L’incostituzionalità potrebbe infatti essere dichiarata “dopo l’avvenuto introito e la conseguente spesa delle somme in questione, il che – avvertono i tecnici – determinerebbe un peggioramento dei saldi, corrispondente alle risorse che dovessero essere restituite alle banche per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale”. Una considerazione è arrivata infine anche sulla proroga del superbonus per le villette, contenuta nello stesso dl. Secondo il Servizio bilancio la norma va dettagliata meglio, in modo da evitare nuovi possibili oneri a carico dello Stato.

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La Rai annulla il confronto televisivo tra Meloni e Schlein per le Europee

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La Rai ha annullato il previsto confronto televisivo tra la premier Giorgia Meloni e la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, in programma per il 23 maggio. Questa decisione arriva dopo la comunicazione dell’Agcom che ha sottolineato come un confronto del genere potesse avvenire solamente con il consenso di tutti i gruppi parlamentari rappresentati, condizione non soddisfatta dato che solo quattro degli otto gruppi hanno dato il loro assenso.

Il dibattito, che avrebbe avuto luogo nel contesto delle imminenti elezioni europee e che sarebbe stato moderato dal noto giornalista Bruno Vespa, è stato cancellato per mancanza della maggioranza richiesta dall’Agcom. La decisione di annullare l’evento è stata annunciata dalla Rai attraverso una nota ufficiale in cui si spiega che “nessun confronto è possibile in assenza della maggioranza richiesta”.

La Rai ha inoltre precisato che continuerà a garantire il rispetto della par condicio nei suoi notiziari e programmi di approfondimento, seguendo le linee guida dell’Autorità di regolamentazione. Con questa mossa, il servizio pubblico italiano si impegna a mantenere un equilibrio e una correttezza nella copertura delle campagne elettorali, riconosciute e sostenute dall’Agcom.

Questo annullamento segna un momento significativo nel dibattito politico italiano, influenzando non solo la visibilità dei candidati ma anche la dinamica dell’informazione politica in vista delle elezioni europee.

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Ultima stretta sul Superbonus e tutte le nuove norme finanziarie: l’esame approfondito

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Nell’arena politica italiana, la giornata di oggi segna un passaggio cruciale con la conclusione della prima fase di esame parlamentare del decreto legge sul Superbonus al Senato. Il dibattito è stato particolarmente acceso, evidenziando le fratture interne alla maggioranza, con Forza Italia che si è distinta in opposizione a specifiche misure proposte dal governo.

Il decreto, che introduce significative modifiche normative, è stato al centro di aspre discussioni, specialmente per quanto riguarda l’introduzione della misura dello spalma-crediti su 10 anni e la retroattività di tale provvedimento per le spese del Superbonus del 2024. Inoltre, Forza Italia ha combattuto, con successo parziale, la proroga della sugar tax, supportata dal resto della maggioranza e posticipata al 1° luglio 2025.

Durante i lavori della 6a Commissione, si sono verificati momenti di tensione significativa. In particolare, Forza Italia si è astenuta durante il voto su un emendamento cruciale, che è passato solo con il sostegno del presidente della commissione, Massimo Garavaglia (Lega), e di Italia Viva, che ha giocato un ruolo decisivo. La fiducia posta dal governo sul testo è stata approvata senza sorprese con 101 voti a favore, dimostrando una solida tenuta della maggioranza nonostante le divergenze interne.

Tra le novità più rilevanti approvate, si evidenzia il fondo di 35 milioni di euro istituito per il 2025, destinato al sostegno di interventi su edifici danneggiati da sismi, non coperti da precedenti decreti. Questo si aggiunge alle modifiche alla ripartizione dei crediti di imposta e alle diverse proroghe, come quella della Plastic tax al 1° luglio 2026 e varie nuove disposizioni per le banche e le assicurazioni riguardo la gestione dei crediti del Superbonus.

Importanti anche le risorse aggiuntive destinate a migliorare la gestione delle emergenze e del demanio, con significativi aumenti di fondi destinati a vari aspetti della gestione pubblica e infrastrutturale.

Il decreto ora passerà alla Camera per l’approvazione definitiva, prevista entro il 28 maggio, in una fase in cui il governo spera di consolidare ulteriormente le misure introdotte senza ulteriori ostacoli.

In sintesi, il cammino del decreto Superbonus si dimostra emblematico delle dinamiche politiche e delle priorità economiche attuali, rappresentando un tassello fondamentale nel più ampio quadro delle politiche di incentivazione e regolamentazione fiscale italiane.

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Accolto ricorso, Ilaria Salis va ai domiciliari a Budapest

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E’ stato accolto dal tribunale di seconda istanza ungherese il ricorso presentato dai legali di Ilaria Salis che può quindi uscire dal carcere e andare ai domiciliari a Budapest. Il ricorso era stato presentato dai legali di Ilaria Salis contro la decisione del giudice Jozsef Sós che nell’ultima udienza del 28 marzo le aveva negato i domiciliari sia in Italia che in Ungheria. In appello, la richiesta è stata invece accolta e quindi la 39enne attivista milanese, candidata con Avs alle prossime Europee, potrà lasciare il carcere a Budapest dove si trova da oltre 15 mesi con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. Il provvedimento, che prevede il braccialetto elettronico, diventerà esecutivo non appena verrà pagata la cauzione prevista dal tribunale.

“Ilaria è entusiasta di poter finalmente uscire dal carcere e noi siamo felicissimi di poterla finalmente riabbracciare”: così Roberto Salis ha commentato la decisione del tribunale ungherese di concedere i domiciliari a sua figlia Ilaria che, dopo oltre 15 mesi, potrà lasciare il carcere dove è detenuta con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. “Non è ancora fuori dal pozzo – ha aggiunto ma sarà sicuramente molto bello poterla riabbracciare dopo 15 mesi, anche se finché è in Ungheria io non mi sento del tutto tranquillo”.

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