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Europei: fenomenologia staffetta, eterna scommessa Italia

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In principio fu Belotti-Immobile, poi tocco’ alla coppia Verratti-Jorginho, adesso e’ il turno di Chiesa con Berardi. Certo e’ che l’impatto sulla partita contro l’Austria da parte dei ‘rincalzi’ azzurri e’ stato devastante, determinante. E, naturalmente, vincente. Non chiamatele riserve, pero’, perche’ Chiesa nella Juve fa praticamente il titolare, cosi’ come Jorginho-Verratti e Immobile-Belotti sono pedine inamovibili negli scacchieri dei rispettivi allenatori, quando indossano la maglia della squadra di appartenenza. La staffetta, in epoche diverse, e’ diventata metafora di un Paese denso di contraddizioni e di fermenti politici. Avanguardia di rinnovamento e baricentro di sperimentazione. Il ‘Patto della staffetta’ fu il nome giornalistico di un compromesso politico, ideato dal democristiano Riccardo Misasi e siglato in un convento sull’Appia antica nell’estate 1983 da Bettino Craxi, allora segretario del Psi, e Ciriaco De Mita, figura apicale della Democrazia Cristiana. Quest’ultimo ottenne che il secondo incarico conferito dal nuovo presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, a Craxi fosse vincolato a un’informale ‘staffetta’, che avrebbe visto un democristiano subentrare alla guida del Governo nazionale dopo un anno, per condurre al termine la legislatura. Tornando al calcio, gli avvicendamenti in corso d’opera, nella storia azzurra, si sono spesso rivelati vincenti, in particolare ai Mondiali. Nel 2006 Alessandro Del Piero, riserva di lusso, subentro’ spesso e, in particolare nella semifinale contro la Germania, a Dortmund, fu determinante, perche’ firmo’ il 2-0 che affosso’ definitivamente i ‘panzer’. Italia-Germania, quella Ovest pero’, regalo’ un altro episodio storico legato a un cambio in corsa, peraltro preventivato, studiato e programmato. Bisogna risalire a un’altra semifinale, riavvolgere il nastro del tempo e tornare sugli altipiani cari a Montezuma, in Messico, dove il 17 giugno 1970, allo stadio Azteca, ando’ in scena la partita del secolo (scorso) fra gli azzurri e i temutissimi ‘bianchi’. Il ct Ferruccio Valcareggi propose il secondo atto della staffetta fra Sandro Mazzola e Gianni Rivera: l’interista cominciava la partita, il ‘Golden boy’ la finiva. E, in quella circostanza, la chiusa fu da delirio (ma solo per gli azzurri e gli italiani, pero’), con il gol del definitivo 4-3 del milanista, un tocco di piatto destro a spiazzare il portiere Sepp Maier. Un ‘must’ nella storia del calcio, una icona, ma soprattutto il gol che valse pass per la finale persa poi contro il pirotecnico Brasile di Pele’. Anche all’Europeo non sono mancate le staffette: famosa quella fra i pali della porta dell’Italia, con Dino Zoff che prese il posto di Enrico Albertosi nella parte finale del torneo del 1968, che si concluse proprio con la vittoria degli azzurri. Il portiere di Fiorentina, Cagliari e Milan era il titolare, ma si infortuno’ a Sofia, nel quarto di finale contro la Bulgaria (l’ultima partita di Armando Picchi in azzurro, peraltro), entro’ nella ripresa Zoff che, oltre a propiziare il momentaneo 2-0 dei padroni di casa con un’uscita a vuoto, si sarebbe in minima parte riscattato nella semifinale con l’Unione Sovietica e nella doppia finale disputata contro la Jugoslavia. Spesso le staffette coincidono con le rivalita’ e non sempre portano ai risultati sperati. Non fu cosi’ a Italia ’90, dove Toto’ Schillaci venne fatto entrare al posto di Andrea Carnevale e non usci’ piu’ dallo schieramento titolare, risultando alla fine il ‘pichichi’ del torneo iridato con 6 reti. Ai Mondiali del 1998, in Francia, Cesare Maldini invento’ una specie di staffetta fra Roberto Baggio e lo stesso Alessandro Del Piero, con il vicentino pronto a entrare quando i ritmi della partita si sarebbero abbassati: non fu una mossa vincente in senso assoluto, perche’ il cammino dell’Italia si fermo’ ai quarti contro i padroni di casa della Francia, vittoriosi ai rigori.

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Conference: Fiorentina ko a Siviglia, al Franchi per la rimonta

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La Fiorentina cade a Siviglia e ora deve sperare nella rimonta tra sette giorni al Franchi. Il Betis si aggiudica il primo round della semifinale di Conference League, battendo 2-1 i viola grazie ai gol di Ezzalzouli e Antony, ma Ranieri a segno per la squadra di Palladino ha riacceso la speranza. Minuto di raccoglimento per ricordare Papa Francesco, e poi in campo è subito Betis che infatti passa in vantaggio dopo appena sei minuti grazie alla rete di Ezzalzouli. Azione nata dal duello vinto da Bakambu con Comuzzo, arriva sul fondo e crossa: l’attaccante marocchino non sbaglia a due passi da De Gea. La rete passa sotto la lente del Var per verificare eventuali irregolarità, ma l’arbitro Oliver convalida il gol del vantaggio degli andalusi. La Fiorentina reagisce e al 21′ sfiora il pari con Mandragora, che di testa manda fuori di un soffio.

A ridosso della mezzora Palladino è costretto a un cambio; problema muscolare per Cataldi che chiede di uscire, al suo posto Adli. Nel recupero il Betis va vicino al raddoppio con Bartra che calcia il pallone sopra la traversa. Nella ripresa Palladino gioca la carta Kean, rientrato da poco in gruppo e partito dalla panchina. Ma proprio nel momento migliore die viola arriva il raddoppio della squadra andalusa con Antony (19′). Al 27′ però la riapre Ranieri che batte Vieites e fa tornare a sperare la Fiorentina, che qualche minuto dopo va vicina anche al pari con Gosens. La Viola ha reagito e tiene viva la speranza di volare in finale: tra sette giorni il ritorno in casa.

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Tennis, Masters 1000 di Madrid: eliminato Diallo, Musetti in semifinale contro Draper

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Lorenzo Musetti vola in semifinale al Masters 1000 di Madrid. Il tennista azzurro ha eliminato il canadese Gabriel Diallo in due set con il punteggio di 6-4 6-3 e ora dovrà affrontare il britannico Jack Draper.

“Non ho giocato il mio miglior tennis ma l’importante era vincere. Certo, non sentivo la palla come ieri ma sapevo che scendere in campo oggi non sarebbe stato facile, soprattutto per l’aspetto mentale. Sono riuscito però a restare concentrato fino all’ultimo punto e sono fiero di essere in semifinale”.

Lorenzo Musetti si gode il successo su Diallo, arrivato dopo quello su De Minaur che lo porta in semifinale al Masters 1000 di Madrid. L’ostacolo verso la finale si chiama Jack Draper. “Non l’ho mai battuto e dico sempre che c’è una prima volta, speriamo che accada qui – ha aggiunto il tennista azzurro, che da lunedì entrerà nella top 10 del ranking -. Siamo buoni amici, siamo cresciuti insieme e sarà un piacere condividere con lui questo palcoscenico. So che sta disputando una stagione fantastica e sono contento per lui ma domani sarà una lotta e spero di metterlo in difficoltà”. (

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Trentuno anni senza Senna: ecco chi era Ayrton

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L’ho conosciuto quando correva in Formula Ford. Si chiamava ancora Ayrton Senna da Silva, ma poi scelse di usare solo il cognome della madre, Senna, di origini napoletane. Lì è cominciata la nostra storia. Una storia fatta di interviste, confidenze, sorrisi rubati tra le gomme di un box e silenzi che dicevano più di mille parole. L’ho seguito lungo tutta la sua carriera, e mi ha regalato non solo emozioni uniche da raccontare, ma anche tanti scoop, momenti che oggi custodisco come piccole reliquie dell’anima.

Ma quel primo maggio del 1994 non ero a Imola. Strano a dirsi, ma avevo l’esame di subacquea. Chi se la dimentica, quella giornata? Ero a Sant’Angelo, nella mia Ischia, e avevo appena finito la prova per il brevetto open. Stavo uscendo dall’acqua quando alcuni colleghi sub mi dissero: “Hai saputo? Senna ha avuto un brutto incidente.” Corsi a casa di mio fratello, dove alloggiavo in quei giorni, accesi la tv e arrivai giusto in tempo per sentire l’annuncio: Ayrton era morto. Una notizia che mi colpì con la violenza di un’onda improvvisa. Da allora, non riesco più a guardare la Formula 1. Ogni volta ci provo, ma i ricordi affiorano troppo forti, troppo vivi.

Vedo Ayrton mentre pulisce il casco con gesti metodici, seduto accanto a me su una pila di gomme durante la nostra prima intervista. Lo rivedo mentre mi fa entrare sul set di uno spot pubblicitario, sfidando lo sponsor, solo per farmi lavorare. Ricordo quando parlava solo con me per un’intervista sull’Europeo, mentre agli altri giornalisti non concedeva nulla. Quando telefonava con me al mio direttore di allora, Marcello Sabatini. E quella volta in cui mi offrì un pass per entrare al Gran Premio di Francia.

Ayrton Senna ai box intervistato da Anna Maria Chiariello

E poi l’ultima intervista, quando tutti dicevano che si sarebbe ritirato. Ai box, suo fratello, mamma Joanna. L’impegno silenzioso e profondo per aiutare i bambini sfortunati. La pasta asciutta mangiata tra amici, lontano dai riflettori. E quel messaggio registrato per un ragazzino in coma all’ospedale di Imola… “Ana, non lo scrivere,” mi disse. Sempre pudico, sempre discreto quando faceva del bene. Ne faceva tanto, ma non lo diceva a nessuno.

Ayrton è stata una perdita vera. Non solo per l’automobilismo, un mondo dove stava diventando scomodo, perché si batteva per la sicurezza. Non solo per la sua famiglia. Ma per tutti. Perché era un esempio positivo.

Addio, Ayrton. Trentuno anni dopo, il mio ricordo non è cambiato. È ancora lì, vivido, intatto. Come se il tempo si fosse fermato su quel primo maggio.

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