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Politica

Di Maio all’attacco “dei lobbisti dell’azzardo affiliati a Confindustria” che giocano sporco per uccidere nella culla il Decreto Dignità

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Le pressioni sono tante. Sono asfissianti. I “consigli“ fatti arrivare al ministro del Lavoro Luigi Di Maio attraverso giornali, Tv, amici e amici degli amici non si contano. E siccome Luigi Di Maio non è fesso ha fermato subito il frullatore mediatico, ha messo fine alle voci “interessate” che propalano notizie non vere su possibili aggiustamenti del decreto Dignità sul fronte della lotta senza quartiere al gioco di azzardo ed ha messo di nuovo la sua faccia sul Decreto che porta un nome certo non scelto ad capocchiam: Dignità. Perchè il lavoro non è solo retribuzione ma anche Dignità. Dunque Di Maio è venuto allo scoperto. E l’ha fatto come sa fare lui. Un attacco frontale, senza fronzoli, diretto  ai “lobbisti del gioco d’azzardo affiliati a Confindustria”. Un attacco a quelli che “vorrebbero sedersi al tavolo con me – scrive il ministro sui social e sul ilblogdellestelle.it  – per convincermi a tornare sui miei passi e non vietare la pubblicità al gioco dell’azzardo. Mi spiace per loro, ma non cambio idea”. I toni del ministro sono fermi, decisi, il profilo adottato non è quello movimentista ma istituzionale, da uomo di governo, che dopo aver varato un provvedimento, lo difende soprattutto in quelle che sono le parti essenziali, dal gioco delle lobby che puntano a logorarlo. 

“Vietare la pubblicità al gioco d’azzardo è un passo storico di grande valore culturale. Sono convinto – si è rivolto alle lobby con queste parole Di Maio – che non distruggerà il settore del gioco legale e per quanto riguarda gli investimenti pubblicitari semplicemente verranno sostituiti da quelli di altre industrie, come è avvenuto quando è stata vietata la pubblicità al tabacco. Per quanto riguarda il tavolo con me io sono disponibile – conclude Di Maio -, a patto che assieme a me ci siano anche le associazioni no slot, i familiari delle vittime dell’azzardopatia e altri comitati che a vario titolo combattono questa piaga così capiranno anche loro perché un provvedimento di questo tipo sia assolutamente necessario. Per me vengono prima i cittadini e la loro qualità di vita”.

Luigi Di Maio. Il ministro accusa le lobby dell’azzardo che voglio cambiare il decreto Dignità

Questa è la posizione del ministro del Lavoro che ha così voluto fermare il gioco sotterraneo al massacro delle lobby dell’industria dell’azzardo. Ma perché Di Maio, persona pacata e riflessiva, è entrato in maniera così decisa, così forte nella mischia che si è creata dopo il varo del Decreto Dignità? Perchè evidentemente ha colto alcuni segnali gravi di pericolo, avrà certamente notato quella schiuma gelatinosa che le lobby dell’industria miliardaria dell’azzardo sta spargendo fuori e dentro Montecitorio e Palazzo Madama nella speranza di invischiare qualche parlamentare che poi possa provare a “convincere“ Di Maio a cambiare qualche pezzo del Decreto prima che arrivi in Parlamento dove spesso molti esponenti di maggioranze coese cambiano idea in sede di conversione in legge dei decreti del Governo. C’è qualche fatto preciso? C’è qualche episodio in particolare che ha acceso la lampadina del warning a Di Maio, che ha fatto capire al capo del Movimento 5 Stelle che la lobby dell’azzardo vuole giocare duro? Che i signori dell’azzardo stanno puntando molti soldi sull’affossamento/miglioramento del decreto Dignità, forse anche giocando sporco? Di Maio non è fesso. Evidentemente anche lui sa di inviti a cene, riunioni aziendali e cocktail vari organizzati da alcune importanti aziende multinazionali a Milano dove c’erano come ospiti di onore molti deputati e senatori. Molti di questi parlamentari erano sprovveduti, nel senso che non sapevano di ritrovarsi a parlare di gioco di azzardo. Pensavano fosse solo una gita aziendale a Milano con qualche premio e cotillons vari. Insomma i lobbisti dell’azzardo sono avvisati, più lavorano ai fianchi Di Maio, più provano a logorarlo lavorando sporco, più il ministro farà valere il peso del suo Movimento nell’applicazione delle norme contenute nel Decreto che seguirà passo passo in Parlamento quando ci sarà la conversione in Legge.

 

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Politica

Bertinotti: a Meloni avrei tirato un libro. Ira FdI

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Nuova polemica, ma questa volta sulle parole dell’ex presidente della Camera e ex leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Se fosse stato seduto ancora fra i banchi di Montecitorio avrebbe reagito alle parole di Giorgia Meloni su Ventotene “tirandole un libro”. Un atto per cui poi “si sarebbe condannato” – è la consapevolezza – e che lo avrebbe fatto espellere dall’emiciclo ma “a trasgressione” si risponde con “trasgressione”, dice intervistato su LA7. Fratelli d’Italia, già insorta per la lite fra Romano Prodi e una giornalista, protesta ancora più veementemente. Parlano in tanti, fra deputati e senatori: per il numero uno di FdI a Palazzo Madama, Lucio Malan, si tratta di un’attentato all’incolumità della presidente del Consiglio, mentre per il presidente del partito di Meloni alla Camera, Galeazzo Bignami, in questo modo “la sinistra mostra il suo volto peggiore’. Nostalgia “canaglia”, interviene il ministro Tommaso Foti: “nostalgia di una sinistra che sbaglia”.

E c’è chi, come il deputato Marco Perissa, chiede alla rete televisiva di “prendere le distanze”. Le critiche del centrodestra non dimenticano però Prodi. Incalzato sulle frasi del Manifesto di Ventotene lette dalla presidente del Consiglio, il Professore è stato protagonista di un litigio con una giornalista di Quarta Repubblica, Lavinia Orefici. Che – secondo quanto sostenuto dalla stessa cronista – è arrivato a tirarle i capelli. “Solo una mano sulla spalla”, è stata la replica. Il filmato andrà in onda domani sera su Rete4, fa sapere la trasmissione: esprime solidarietà il sindacato Unirai, mentre la maggioranza continua a invocare un intervento dell’ordine dei giornalisti e della Fnsi. A distanza di 24ore dall’accaduto, a difesa dell’ex premier scendono in campo Enrico Letta e Gianni Cuperlo. Il primo lancia un hashtag: ‘IoStoConRomano”, il secondo è convinto si tratti di una “polemica sul nulla”. La speranza, aggiunge, è che “il tempo di qualche saggezza presto o tardi ritorni”. Difendono “l’indifendibile”, mette agli atti Fratelli d’Italia sui social. “Le pulsioni belliche hanno fatto perdere la testa alla sinistra”, chiosa la Lega.

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Politica

Bernini, decreto legislativo su riforma Medicina a breve in cdm

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“Ho dato 20 milioni e arriveranno altri fondi, la riforma non è a costo zero, il nostro sistema universitario ha la capacità di accogliere. Ho il decreto legislativo in canna, ho tutto pronto, la legge per ora è in vacatio e tra due settimane il decreto legislativo va in consiglio dei ministri, tutto è pronto”. Lo ha detto la ministra per l’Università e la Ricerca, Annamaria Bernini, parlando a ‘Che tempo che farà’ dei decreti di attuazione della riforma di Medicina.

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La ministra Calderone e le “lauree facili”: anomalie che mettono in discussione il suo percorso accademico

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Una laurea triennale che non risulta all’Anagrafe Nazionale degli Studenti del Ministero dell’Istruzione, esami multipli sostenuti nello stesso giorno – anche di domenica – in una università che non prevedeva corsi a distanza. È il cuore dell’inchiesta de Il Fatto Quotidiano, diretto da Marco Travaglio, che mette in discussione la regolarità del percorso universitario della ministra del Lavoro Marina Calderone (foto Imagoeconomica in evidenza).

Le dichiarazioni della ministra

«Lavoro e studio da oltre trent’anni», scrive Calderone sui social, replicando all’inchiesta pubblicata il giorno prima. E aggiunge: «Oggi un quotidiano ha trovato la prova della mia laurea, ossia il libretto universitario». Ma la ministra sorvola sul fatto che proprio Il Fatto Quotidiano, già due anni fa, aveva chiesto copia del libretto e del diploma, senza ricevere risposta né da lei né dalla Link Campus University.

Cosa emerge dai documenti ottenuti da Il Fatto

Secondo quanto ricostruito dal quotidiano, il corso triennale frequentato dalla ministra non risulta registrato all’Anagrafe Nazionale degli Studenti, l’unica banca dati ufficiale dei titoli di studio italiani. La Calderone ha dichiarato di essersi laureata il 12 novembre 2012, ma nel documento interno della Link da Il Fatto visionato, risulta «in corso al primo anno» del biennio nello stesso anno accademico. Come poteva essere iscritta a due corsi di laurea contemporaneamente?

Inoltre, la Libera Università di Malta, da cui dipendeva la Link Campus in quegli anni, non aveva ancora valore legale in Italia. Solo con un decreto firmato dall’allora ministra Gelmini il 21 settembre 2011, la Link viene riconosciuta ufficialmente.

Studente-lavoratore? Ma senza vincoli

La ministra ha giustificato la rapidità con cui ha sostenuto gli esami, anche più d’uno nello stesso giorno e durante i fine settimana, dicendo di essere una studentessa lavoratrice. Tuttavia, la Link non è un’università telematica: le lezioni e gli esami dovevano avvenire in presenza nella sede di Roma. Ma all’epoca Calderone esercitava la libera professione a Cagliari, senza orari rigidi né contratto dipendente, e ricopriva incarichi onorifici o in CdA che non le avrebbero impedito di sostenere esami nei giorni feriali.

Nel documento in possesso del giornale, inoltre, l’opzione “part-time lavoratore” risulta non selezionata.

Le incongruenze sui pagamenti

Un ulteriore punto sollevato riguarda le tasse universitarie. Dai documenti relativi al biennio magistrale risulta pagato un solo euro di bollo. Nessun’altra somma versata per rette o contributi.

Perché si iscrisse alla Link?

La ministra ricorda che è iscritta all’Ordine dei consulenti dal 1994, quando non era richiesta la laurea. Ma dal 2010l’obbligo fu esteso a tutti. E Calderone, già presidente del Consiglio Nazionale della categoria dal 2005, si iscrive alla Link proprio nel 2011. Secondo Travaglio, una decisione «comprensibile», ma non per questo immune da dubbi, soprattutto sulla regolarità del percorso formativo e sulla trasparenza dei documenti.

Le domande rimaste senza risposta

Nonostante le spiegazioni social della ministra, restano molte zone d’ombra:

  • Perché i dati della laurea triennale non sono registrati al Ministero?
  • Come ha potuto iscriversi al biennio senza un titolo formalmente riconosciuto?
  • Perché non mostra pubblicamente tutti i documenti?
  • Come è possibile che per l’intero biennio sia stato versato solo un euro?

Finché queste domande resteranno inevase, l’inchiesta del Fatto continuerà a sollevare perplessità su uno dei ministri più importanti del governo Meloni.

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