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Economia

Da lunedì confronto su Ita, si tratta per due settimane

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Nel negoziato in esclusiva non ci sono scadenze. Ma le prossime due settimane saranno impegnative per il governo, prima che il clima elettorale diventi rovente, per fissare i paletti sulla cessione di Ita al consorzio formato da Certares, Delta Airlines e Air France-Klm. Un’accelerazione sulla trattativa privata che forse potrebbe far comodo a entrambe le parti, prima che la palla passi nelle mani del nuovo governo. Ma come per ogni negoziato, ci vogliono i tempi tecnici. Soprattutto quello della chiusura della trattativa rischia di essere anche un tema politico. Dal centrodestra la richiesta e’ quella di lasciare la valutazione finale del dossier al nuovo governo. “Nulla e’ scritto sulla pietra”, dice il leghista che al Ministero dell’Economia ha ora l’incarico di sottosegretario, Federico Freni. “La decisione finale sul contratto preliminare – aggiunge con un’affermazione che appare come una presa di posizione – sara’ rimessa certamente al nuovo governo”. Al momento sarebbe sul tavolo solo la lettera dell’offerta, che dovrebbe prevedere la vendita del 50% piu’ un’azione per un valore di circa 700 milioni di euro al consorzio, una vera privatizzazione, che lascerebbe in mano allo Stato una quota importante e voce in capitolo sulla guida della nuova societa’. Su governance e acquisizione si lavorera’ per la messa a punto dei dettagli: la tempistica dell’aumento di capitale che portera’ il valore di Ita a quota 1.950 milioni e le scadenze del pagamento che e’ previsto essere fatto a rate. Considerati sciolti questi nodi la trattativa affrontera’ ora i punti che riguardano la parte di sviluppo industriale e occupazionale. Un tema che ovviamente, in tempi elettorali, interessa molto alla politica. Ma che riguarda soprattutto i sindacati, che hanno gia’ chiesto di essere convocati dal governo “per capire meglio i contenuti dell’offerta che il Mef ha valutato migliore, in tempi utili per metterci nella condizione di valutare la bonta’ dell’offerta”. La parte lavoro, avverte il segretario generale di Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi, “non puo’ essere una parte dimenticata o stare a guardare alla finestra, c’e’ una forte necessita’ di essere coinvolti in un processo cosi’ importante”. L’accelerazione non dispiace ai sindacati che accolgono positivamente che ci sia stata la scelta di una cordata, ma “se e’ la scelta giusta – spiega Salvatore Pellecchia, segretario generale Fit Cisl – si puo’ dire dopo aver verificato il piano industriale. A Ita serve un partner industriale per generare sinergie di sistema, risorse economiche per implementare la flotta, bisogna vedere quale e’ il piano industriale”. “Siamo partiti con 52 aeromobili – continua il sindacalista – ora come previsto ce ne sono 66, e dovremmo arrivare a 100 entro 2023. Questo ci da’ garanzie occupazionali, ora l’organico e’ di 3.600 persone, di cui 700 piloti e 1.360 assistenti di volo, e ce ne sono altrettanti in cassa integrazione”. Insomma, secondo Pellecchia “e’ importante che si consolidi l’azienda e che i lavoratori che sono dentro non abbiano problemi e che si creino le condizioni anche per gli altri”. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, intanto, avrebbe esortato ad andare avanti, sottolineando come sia importante evitare che si incrini lo stato dei rapporti che si era raggiunto nelle relazioni industriali con le parti sociali. Dall’Europa arriva sull’operazione il “no comment’ del portavoce della Commissione Ue, Daniel Ferrie, che precisa: “Quando si tratta di una possibile acquisizione come sempre le aziende stesse devono notificare l’operazione alla Commissione per l’autorizzazione al controllo delle concentrazioni”. Il tempo stringe e la pressione sale. Ma i big della politica per ora non parlano, se si esclude Meloni che a caldo ha chiesto che se ne occupi il nuovo esecutivo ma anche che per giudicare deve prima vedere le carte. Il centrodestra vorrebbe far slittare la decisione al prossimo governo. Alfredo Becchetti, coordinatore della Lega a Roma, parla di forzatura incomprensibile a 25 giorni dal voto. Anche Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia alla Camera, esprime la sua contrarieta’: “Pare che il governo punterebbe a firmare un accordo preliminare con la cordata Air France-Delta-Certares entro il 10 settembre”, l’ipotesi di vendita, “in questa fase, non sarebbe stata opportuna”. (

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Economia

Mediobanca lancia offerta su Banca Generali: nasce un colosso del Wealth Management

Mediobanca offre la propria partecipazione in Generali per acquisire Banca Generali e rafforzarsi nel Wealth Management con 210 miliardi di attivi in gestione.

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Mediobanca ha ufficialmente lanciato un’offerta pubblica di scambio sul 100% di Banca Generali, proponendo al Leone di Trieste la propria partecipazione azionaria in cambio della controllata specializzata nel settore del risparmio gestito. L’operazione, annunciata attraverso una nota ufficiale, comporta per Mediobanca la cessione della sua quota in Generali e un simultaneo investimento in Banca Generali per un valore complessivo di 6,3 miliardi di euro.

Evoluzione del rapporto tra Mediobanca e Generali

Secondo quanto precisato da Piazzetta Cuccia, questa mossa rappresenta un cambiamento strategico nei rapporti tra Mediobanca e Generali: da un semplice legame finanziario si passa a una “forte partnership industriale”, segnando una nuova fase di collaborazione tra i due gruppi.

Obiettivo: la leadership nel Wealth Management

L’operazione permetterà a Mediobanca di rafforzare notevolmente la propria presenza nel settore del Wealth Management. Una volta completata l’aggregazione, il gruppo potrà contare su attivi in gestione pari a 210 miliardi di euro, ricavi per circa 2 miliardi e una capacità di crescita stimata in oltre 15 miliardi annui. Un passo decisivo che conferma la volontà di Mediobanca di posizionarsi come leader di mercato in un settore strategico e in forte espansione.

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Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

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In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

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Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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