Da Draghi a Meloni, da Giorgetti a Urso, nel 2022 sono passati di mano in mano circa 70 tavoli di crisi industriale e i destini di 90mila lavoratori. Alcuni dossier sembrano aver imboccato la strada verso la risoluzione, altri restano aperti, mentre i sindacati e il ministro delle Imprese si preparano al confronto sull’industria metalmeccanica fissato al Mimit per il 18 gennaio. Al primo posto tra le vertenze più problematiche che ancora occupano la scrivania del titolare del dicastero di via Veneto, l’ex Ilva. Una storia ormai decennale che però, nell’ultimo anno, ha visto una escalation di tensioni tra le tute blu e Acciaierie d’Italia, culminate nell’incontro dello scorso 17 novembre quando l’azienda, dopo aver annunciato lo stop a 145 aziende dell’indotto, non si è presentata al tavolo convocato da Urso. Uno “schiaffo” – come lo aveva definito la Uilm – che ha fatto esplodere la protesta e aveva indotto i metalmeccanici a chiedere a gran voce la nazionalizzazione di Acciaierie d’Italia o, perlomeno, l’ingresso di Invitalia in maggioranza prima del 2024, deadline fissata dagli accordi di maggio 2022 con Arcelor Mittal. Al momento però tutto tace: l’assemblea dei soci viene fissata e poi spostata di volta in volta. Il 23 dicembre, all’ennesimo nulla di fatto, il consiglio di fabbrica indetto da Fiom, Uilm e Usb ha mobilitato i lavoratori tarantini, che hanno occupato la statale, protestando contro le voci secondo cui nel Cdm fissato per il 28 dicembre potrebbe arrivare un provvedimento che prevede un prestito ponte di 650-680 milioni di euro che consenta all’azienda di far fronte alla crisi di liquidità e di ridurre la sua pesante esposizione debitoria verso i principali fornitori, senza però anticipare il passaggio in maggioranza dello Stato.
Ma non è solo la madre di tutte le vertenze a segnare la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Accanto all’ex Ilva c’è infatti il dossier di Whirlpool: se per il sito di Napoli è stata formalizzata la cessione alla Zes Campania – accolta positivamente dai sindacati, che però spingono per individuare rapidamente il nuovo investitore – per l’area Emea del Gruppo lo scenario resta incerto. Ad aprile la multinazionale aveva annunciato una revisione complessiva delle attività, mettendo sul chi vive i sindacati che temevano una exit strategy troppo rapida. In bilico, i 5 siti produttivi Whirlpool in Italia e circa 5mila lavoratori, in un quadro complessivo del settore elettrodomesitico a tinte fosche. Un dato critico che però, denunciavano Fiom, Fim e Uilm, non toccava la multinazionale, che ha chiuso i conti del 2021 in attivo con un +13% di ricavi e un +65% di utile netto. Gennaio quindi sarà un mese cruciale: il gruppo farà il punto sulle trattative in corso con i due potenziali acquirenti per la cessione dell’area – i turchi di Arcelik e i cinesi di Midea – e renderà noti anche quelli che saranno i piani dell’area Emea per il 2023. Sono due le date da segnare in rosso sul calendario: l’11 gennaio per la riunione con Fiom, Fim e Uilm, e il 26 gennaio, per la conferenza stampa in cui l’azienda illustrerà la road map futura.
In stallo invece la Blutec di Termini Imerese (con 1.100 adetti) in amministrazione straordinaria dal 2019. I diversi asset sono stati messi in vendita, ma per molti rami d’azienda le prospettive di riassorbimento – a fronte di un già ampio uso di ammortizzatori e prepensionamenti – sono meno rosee del previsto. Il 2 agosto sono stati annunciati una serie di tavoli tecnici sui temi chiave, tra cui l’attuazione della norma prevista dalla Regione Sicilia nell’ultima legge finanziaria, con cui ha stanziato un Fondo di 30 milioni a favore dei lavoratori ex Fiat. Per ora però i metalmeccanici ancora non sono stati convocati: il 5 dicembre, al primo round sull’automotive, Urso ha chiamato le associazioni imprenditoriali e le principali realtà del settore ma non i sindacati. Allo stesso modo restano aperte Sfk ed Electrolux, con cui prosegue il confronto. La prima, multinazionale leader mondiale nella produzione di cuscinetti a sfera, ha annunciato l’intenzione di avviare un percorso di uscita per circa 1000 addetti di staff nel mondo nell’arco di due anni, di cui 90 uscite volontarie incentivate per impiegati occupati in Italia, oltre a 80 operai. La seconda, dopo l’ultimo round del 28 novembre tra la direzione e i sindacati, ha aggiornato il piano di ristrutturazione occupazionale, scendendo a 222 esuberi rispetto agli annunciati 300. Meno traballante la situazione per Wartsila, dopo l’accordo del 30 novembre tra Governo, la Regione Friuli Venezia Giulia, azienda e tute blu, che dopo il brusco stop del 14 luglio, ripristina le attività produttive dello stabilimento di Bagnoli, congelando al 30 settembre 2023 gli oltre 300 licenziamenti prospettati da Warstila e vincolando la multinazionale finlandese alla presentazione, entro il 31 gennaio 2023, di un piano industriale triennale, con le prospettive di sviluppo e i relativi investimenti per i siti di Trieste, Genova, Napoli e Taranto, e l’impegno a mantenere tutti gli 812 lavoratori attuali.