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Da epilessia a memoria, ecco perchè il Covid minaccia il sistema nervoso

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Da mal di testa, mancanza di olfatto e disturbi della memoria fino a encefaliti, ictus e crisi epilettiche: gli effetti del Covid-19 sul sistema nervoso sono ormai confermati da centinaia di studi e costituiscono una delle principali sfide per la salute pubblica, non solo per gli effetti acuti sul cervello, ma anche per i possibili danni a lungo termine. A lanciare l’allarme su quello che gli esperti chiamano NeuroCovid e’ la Societa’ Italiana di Neurologia (Sin), in vista della Settimana del Mondiale del Cervello che si tiene dal 15 al 21 marzo. Le prime evidenze delle conseguenze neurologiche del Sars-CoV-2 arrivarono dagli ospedali di Wuhan gia’ a febbraio marzo 2020 e da allora molti lavori sono stati prodotti in tutto il mondo, incluso quello che ha esaminato 1.760 pazienti Covid ricoverati a Bergamo, epicentro della prima ondata, nei quali si sono osservati 137 casi (l’8%) di complicanze neurologiche severe, in prevalenza ictus ischemici. I meccanismi sono diversi: in minima parte possono essere legati alla penetrazione del virus nel cervello (attraverso il sangue o tramite i nervi cranici), mentre nella maggior parte dei casi sono legati ad alterazioni della coagulazione innescate dal danno prodotto dal virus all’epitelio che riveste le pareti dei vasi sanguigni, o, ancora, a una abnorme attivazione del sistema infiammatorio ed immunologico. La Sin, spiega il presidente Gioacchino Tedeschi, “sta portando avanti progetti di ricerca e studi clinici per indagare in maniera approfondita su questo legame, anche per mettere a punto protocolli clinici che aiutino a intervenire tempestivamente”. Uno di questi studi e’ quello avviato dall’Universita’ di Milano-Bicocca, l’Universita’ di Milano e l’Istituto Auxologico di Milano, che vede la partecipazione di 50 Neurologie italiane. Tali centri, spiega Carlo Ferrarese, direttore del Centro di Neuroscienze della Bicocca, “stanno registrando tutte le possibili complicanze neurologiche insorte sia nei pazienti ospedalizzati nella fase acuta della malattia, che nei pazienti trattati a domicilio che verranno inoltre seguiti a distanza di 3 e 6 mesi, per documentare l’evoluzione della complicanza neurologica fino a dicembre”. Uno degli aspetti piu’ dibattuti riguarda i sintomi neurologici persistenti e noti come Long Covid, come evidenzia lo studio Covid-Next, in corso di pubblicazione. Su 165 pazienti ricoverati a Brescia con Covid medio grave, sottolinea il direttore della Clinica Neurologica Alessandro Padovani, “il 70% riferisce disturbi neurologici a distanza di 6 mesi dalla dimissione. Tra i sintomi piu’ riportati vi sono stanchezza cronica (34%), disturbi di memoria e concentrazione (32%), disturbi del sonno (31%), dolori muscolari (30%), disturbi della vista e testa vuota (20%). Inoltre, disturbi depressivi o ansiosi sono presenti in oltre il 27% del campione”. Questo pero’, precisa Padovani, “puo’ essere anche dovuto al fatto che il Covid renda latenti sindromi autoimmuni in persone che non avevano ancora sintomi. Inoltre, pesa l’effetto della sindrome da stress post traumatico”. Manifestazioni simili, conclude Paolo Calabresi, direttore della Neurologia del Policlinico Gemelli di Roma, “potrebbero essere presenti anche in pazienti che non hanno mostrato sintomi neurologici nella fase acuta e richiedono un’attenta sorveglianza epidemiologica”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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