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Covid, l’Italia verso la riapertura: da marzo allentamento del pass

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L’Italia vede il traguardo della riapertura del paese, due anni dopo l’inizio della pandemia e proprio nel giorno in cui si supera l’ennesima soglia simbolica, quella dei 150mila morti a causa del virus: finisce l’obbligo di utilizzare le mascherine all’aperto, una misura che era stata decisa con il decreto del 13 ottobre del 2020, dunque 16 mesi fa, quando a palazzo Chigi c’era ancora Giuseppe Conte. E’ l’inizio di un percorso che da qui alla fine di marzo, quando scadra’ lo stato di emergenza, portera’ ad un allentamento di tutte le altre restrizioni compreso il green pass, e che non e’ escluso possa avere anche un’accelerazione, con alcuni divieti che potrebbero cadere anche prima del 31 marzo. Dalle prossime ore, dunque, si potra’ tornare a circolare per le strade di citta’ e paesi con il viso scoperto anche se sara’ obbligatorio avere con se’ la mascherina ed indossarla nelle situazioni di assembramento. Si tornera’ anche a ballare, con la riapertura delle discoteche, il settore che e’ stato piu’ penalizzato in questi due anni di emergenza e che, se si eccettua una piccola parentesi nell’estate del 2020, e’ rimasto sempre chiuso: dovranno mantenere una capienza del 50% al chiuso e si potra’ stare senza la mascherina solo in pista. Ma mascherine e discoteche sono solo i primi due step di quella road map annunciata dal presidente del Consiglio Mario Draghi per riaprire il paese, che al momento ha altre due date: il 31 marzo, quando scadra’ lo stato d’emergenza, e il 15 giugno, quando invece finira’ l’obbligo di vaccinazione per gli over 50. Sul primo punto l’orientamento del governo e’ quello di non prorogarlo, soprattutto se si confermera’ il calo dei contagi e dei ricoveri e per evitare fibrillazioni nella maggioranza. Ed infatti Matteo Salvini non ha perso tempo per sottolineare che “l’obiettivo di tutti, spero, e’ arrivare il 31 marzo alla fine dello stato di emergenza”. Potrebbe essere anche quella la data, come tra l’altro indicato nell’ultima ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza, in cui diremo addio anche alle mascherine al chiuso. Diverso il discorso sul green pass, perche’ se e’ probabile che per i cinquantenni restera’ la data del 15 giugno, altri interventi potrebbero essere anticipati, con le Regioni che gia’ chiedono di accelerare. “La pandemia e’ diversa, il virus e’ diverso, la situazione e’ molto diversa – sottolinea il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga – dobbiamo cambiare approccio ed essere pragmatici”. Il sottosegretario alla Salute Andrea Costa apre: “credo che gia’ dal mese di marzo si possa prevedere un allentamento del green pass, graduale, partendo dai luoghi all’aperto” mentre l’altro sottosegretario Pierpaolo Sileri e’ piu’ cauto, sottolineando che “sicuramente andra’ fatta una revisione” del sistema con la fine dello stato d’emergenza ma “e’ prematuro” pensare di toglierlo prima. Sileri, invece, non esclude che si possa dar seguito prima del 31 marzo ad una delle tante richieste delle Regioni fin qui stoppata dal governo, l’abolizione dell’isolamento per i positivi asintomatici. “Credo che, come la Gran Bretagna, arriveremo alla revoca dell’isolamento quando sara’ dimostrata la sicurezza e gli ospedali saranno molto piu’ vuoti” Al di la’ delle singole posizioni, e’ comunque possibile che si comincera’ ad eliminare l’obbligo del pass rafforzato prima del 31 marzo per tutte quelle attivita’ in cui e’ previsto all’aperto, dai ristoranti agli stadi, e per quelle in cui serve il ‘base’, negozi, servizi alla persona, banche, uffici postali e uffici pubblici. Il secondo step, in concomitanza con la fine dello stato d’emergenza, potrebbe invece riguardare i locali al chiuso – cinema, teatri, musei, ristoranti – e mezzi di trasporto locali, mentre dovrebbe rimanere su quelli a lunga percorrenza, per arrivare poi, a giugno, ad eliminarlo nei luoghi di lavoro. Un percorso che pero’ non e’ ancora definito e sul quale la discussione tra le diverse anime del governo e’ aperta. Un altro ‘anticipo’ l’ha invece introdotto un emendamento di Italia Viva al decreto legge della vigilia di Natale in conversione al Senato e approvato in Commissione affari sociali: dal 10 marzo sara’ nuovamente possibile visitare i familiari ricoverati in ospedale, per 45 minuti al giorno. E sempre a marzo, dall’1, hanno gia’ annunciato Speranza e il sottosegretario allo Sport Valentina Vezzali, le capienze di stadi e palazzetti saliranno rispettivamente al 75% e al 60% con l’obiettivo di riaprirli completamente. “Credo che si potra’ arrivare al 100% – conferma Costa – e il campionato finira’ con gli stati pieni”. Resta invece ancora aperto il discorso con le Regioni per modificare i conteggi dei ricoveri, con i governatori che da tempo chiedono di distinguere ricoverati ‘per’ covid da quelli ‘con’ covid. Il tavolo ministero-regioni non ha ancora terminato il lavoro ma Costa mette le mani avanti: “anche se dovessimo distinguere con maggior nettezza questo aspetto, non risolveremo il problema di rimettere gli ospedali in condizioni di riprendere l’attivita’ ordinaria poiche’ se in ospedale ho un positivo, al di la’ di quale sia la patologia, questo presuppone personale addetto e reparto specifico”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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