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Covid, boom di casi in Europa e in Francia scatta l’obbligo del pass

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L’ombra del Covid continua ad allungarsi minacciosa sull’Europa, dove sono Gran Bretagna e Francia a far registrare l’impennata piu’ forte e preoccupante di contagi. Due giorni dopo la celebrazione del Freedom Day, ovvero la caduta di tutte le restrizioni, il Regno Unito conta 44.104 nuovi casi nelle ultime 24 ore e 73 morti: il numero di contagi nell’ultima settimana e’ aumentato del 35,8% rispetto ai sette giorni precedenti. Nello stesso periodo i decessi sono cresciuti quasi del 60%. E anche in Francia c’e’ una fortissima progressione del virus legata alla variante Delta: 21.000 casi in un giorno, proprio mentre entra in vigore l’obbligo del pass sanitario per luoghi di svago e di cultura come cinema e musei, in attesa che le restrizioni includano anche bar e ristoranti a partire da inizio agosto, come deciso da Emmanuel Macron. Martedi’ Parigi aveva annunciato un aumento esponenziale dei casi, con 18.000 nuovi contagi in 24 ore contro meno di 7.000 la settimana precedente. “Una cosa mai vista”, per usare le parole del ministro della Salute, Olivier Ve’ran, che oggi ha fornito il nuovo inquietante bollettino di altri 21.000 casi nel corso di un intervento all’Assemblea Nazionale. Dopo il consiglio di Difesa sanitario presieduto da Macron per fare il punto della situazione, il premier Jean Castex e’ intervenuto a meta’ giornata in tv per illustrare la nuova stretta anti-Covid. Il capo del governo ha cominciato col dire che la schiacciante maggioranza delle persone risultate positive al tampone, il 96%, non e’ vaccinata. Confermando l’ingresso della Francia nella “quarta ondata”, come sostenuto gia’ nei giorni scorsi dal portavoce del governo Gabriel Attal, Castex ha precisato che il numero di infezioni e’ aumentato del 140% in una settimana e che l’attuale obiettivo e’ giungere a 50 milioni di vaccinati con la prima dose entro fine agosto. Ha quindi lanciato una “sfida collettiva” ai connazionali, quella di raggiungere “otto milioni di vaccini” nei prossimi quindici giorni. “Un obiettivo molto ambizioso” che “dimostrera’ che abbiamo capito la gravita’ della situazione”, ha detto su TF1. Secondo i dati ufficiali, circa il 55,6% della popolazione francese ha ricevuto almeno una prima iniezione e il 46,4% e’ integralmente vaccinata. Da stamattina, Oltralpe, il pass sanitario e’ diventato obbligatorio nei luoghi di cultura o di svago, mentre l’Assemblea Nazionale continua l’esame del progetto di legge che da inizio agosto estendera’ il green pass anche a caffe’, ristoranti, treni o bus di lunga percorrenza. In molte zone turistiche, dove l’epidemia sembra ripartire, torna anche l’obbligo delle mascherine all’aperto. Per andare al cinema, al museo o negli impianti sportivi con oltre 50 persone (contro le 1.000 in precedenza) e’ dunque necessaria una prova di vaccinazione, oppure un tampone negativo. L’esecutivo ha tuttavia deciso di applicare una settimana di rodaggio durante la quale i controlli si limiteranno ad un semplice “accompagnamento”, con un margine di tolleranza nei confronti dei trasgressori. Poi “verra’ il tempo delle sanzioni”, ha confermato Castex, precisando che i ristoratori dovranno chiedere il green pass dei clienti ma senza verificare l’identita’. Annunciata nove giorni fa da Macron, l’estensione del pass sanitario e l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario ha suscitato una corsa al siero senza precedenti, anche se non mancano le proteste. Castex ha invece confermato che non ci sara’ nessun obbligo di pass sanitario per andare a scuola. E dopo i tumulti del fine settimana, ha lanciato un monito alle frange radicali dei manifestanti no-Vax e anti-pass sanitario. Il governo, ha avvertito, sara’ “inflessibile” con coloro che “commettono atti di violenza” con una “postura ideologica, se non politica”. “C’e’ diritto di manifestare” ma “saremo inflessibili con i violenti”, ha dichiarato, riferendosi tra l’altro a coloro che “alludono alla stella gialla della Shoah, attaccano le permanenze parlamentari, incendiano i centri di vaccinazione”. Fatti bollati come “molto gravi”. Mentre i contagi aumentano un po’ ovunque, l’unica eccezione nel continente sembra la Danimarca, dove il tasso di riproduzione del virus sta diminuendo rispetto all’inizio di luglio: forse anche per merito del suo Coronapas, l’app necessaria per entrare all’interno di ristoranti, bar, musei e anche parrucchieri che certifica se una persona ha avuto un risultato negativo del test anticovid nelle ultime 72 ore, la vaccinazione o una prova di precedente infezione.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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