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Corona Virus

Coronavirus: con plasmoterapia mortalità al 6%

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Una riduzione consistente del tasso di mortalita’: da una media precedente che oscillava tra il 13 e il 20 per cento tra i pazienti con Covid-19 ricoverati in terapia intensiva, ad un livello del 6 per cento una volta applicata la plasmaterapia. E’ il dato piu’ significativo che emerge dalla pubblicazione su “Haematologica”, una delle più prestigiose riviste scientifiche del settore, dei risultati dello studio condotto dal San Matteo di Pavia e dall’Asst di Mantova sull’utilizzo del plasma da donatori convalescenti come terapia per i pazienti critici affetti da Coranivirus. Lo studio, iniziato il 17 marzo e concluso l’8 maggio, ha visto l’arruolamento di 46 pazienti ricoverati nei due ospedali di Pavia e Mantova, ad esclusione di uno proveniente da fuori regione. Le persone coinvolte avevano più di 18 anni, il tampone nasofaringeo positivo e un “distress respiratorio”, ovvero difficoltà di respirazione tali da necessitare supporto di ossigeno o intubazione. Altri criteri di selezione: una radiografia al torace positiva, che mostrasse la polmonite interstiziale bilaterale, e caratteristiche respiratorie tali da far preoccupare il clinico. “Quando è stato scritto il protocollo – commenta Cesare Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo – il 9 marzo il Ministero della Salute italiano segnalava 8.514 persone positive, di cui il 59,2% ricoverati con sintomi, il 10,3% ricoverati in terapia intensiva, il 30,5% in isolamento domiciliare, il 9,9% di guariti. Al 10 marzo, al San Matteo, erano stati accettati in Pronto Soccorso 430 pazienti Covid positivi e contavamo già 174 ricoveri, con 35 dimessi e 24 deceduti. Generalmente, la carica virale ha un picco nella prima settimana di infezione – prosegue – e il paziente sviluppa una risposta immunitaria primaria entro 10-14 giorni, seguita dalla ‘clearance’ del virus”. I ricercatori hanno quindi osservato l’effetto dell’immunizzazione passiva, somministrando anticorpi specifici contenuti nel plasma dei soggetti guariti. “Lo abbiamo fatto – ha precisato Perotti – sapendo che il plasma avrebbe potuto rivestire un ruolo terapeutico, senza gravi controindicazioni nei pazienti critici e mediante una procedura di raccolta, la plasmaferesi, rapida ed efficace. In questo modo si sarebbe messo immediatamente l’emocomponente a disposizione di chi ne avesse necessità”. Perotti sottolinea inoltre che il lavoro di Pavia e Mantova è stato utilizzato, con i dovuti accorgimenti, da tantissimi Paesi extraeuropei e posto alla base dello studio nazionale. Fausto Baldanti, responsabile del Laboratorio di Virologia Molecolare del Policlinico San Matteo, illustra altri aspetti del disegno di ricerca: “Prendendo il siero di pazienti che hanno superato l’infezione, a due settimane dal primo caso, e aggiungendolo a colture cellulari, abbiamo notato che lo sviluppo del virus veniva annientato, segno della presenza di anticorpi neutralizzanti. A quel punto bisognava stabilire quanti ce ne fossero. Da qui l’applicazione di un parametro, in linguaggio scientifico definito ‘Titolo’, che serve per capire quale diluizione di siero è ancora in grado di uccidere il virus in coltura. Il risultato ottenuto ha accertato che anche con un rapporto di 1 a 640, ossia diluendo 640 volte il plasma di un paziente, si riesce a uccidere il virus”. Grazie alla plasmaterapia, da un decesso atteso ogni 6 pazienti, se ne è verificato uno ogni 16. “Lo studio – afferma Massimo Franchini, direttore del Servizio Immunostrasfusionale dell’Asst di Mantova – è il primo condotto nel mondo occidentale sull’utilizzo del plasma convalescente nel Covid-19 e ha aperto la strada agli studi randomizzati condotti successivamente in Europa e negli Usa. Il risultato più rilevante è quello di una riduzione della mortalità assoluta del 9 per cento nei pazienti trattati con l’emocomponente rispetto alla casistica nazionale. Questo importante risultato è stato ottenuto grazie all’efficacia del plasma nel migliorare il quadro respiratorio e polmonare dei pazienti e nel ridurre gli indici infiammatori e la carica virale”.

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AstraZeneca ammette: vaccino contro Covid-19 può causare trombosi

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L’azienda biofarmaceutica internazionale AstraZeneca ha ammesso per la prima volta che uno degli effetti collaterali del suo vaccino contro il Covid-19 può essere la sindrome da trombosi con trombocitopenia (TTS). Lo ha scritto il Telegraph, citando documenti di tribunale. È stata presentata un’azione legale collettiva contro l’azienda perché il vaccino, sviluppato insieme all’Università di Oxford, ha causato danni gravi o fatali a diversi pazienti, si legge nel comunicato.

“Il vaccino può causare, in casi molto rari, una sindrome da trombosi con trombocitopenia (Tts). Le cause sono sconosciute”, si legge in un estratto di un documento fornito dall’azienda a un tribunale lo scorso febbraio. Secondo i media, sono state presentate 51 richieste di risarcimento all’Alta Corte di Londra, in cui le vittime e le loro famiglie chiedono danni per circa 125 milioni di dollari. La sindrome da trombosi con trombocitopenia causa coaguli di sangue e un basso numero di piastrine, ha spiegato il quotidiano.

La prima richiesta, spiega l’articolo, è stata presentata l’anno scorso da Jamie Scott, che, dopo la somministrazione del vaccino nell’aprile 2021, ha sviluppato un coagulo di sangue e un’emorragia cerebrale, che avrebbe causato danni permanenti al cervello. Viene citato anche il caso della famiglia di Francesca Tuscano, una donna italiana morta nell’aprile 2021 dopo essere stata vaccinata contro il coronavirus. La famiglia della 32enne si è rivolta a un medico legale e a un ematologo, che hanno stabilito che “la morte della paziente può essere attribuita agli effetti collaterali della somministrazione del vaccino Covid-19”. La donna è deceduta per trombosi vascolare cerebrale il giorno successivo alla somministrazione del farmaco di AstraZeneca.

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Covid, ancora calo dei casi e dei decessi

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Continua il calo dei nuovi casi di Covid in Italia e sono in netta diminuzione i decessi. Nella settimana compresa tra il 18 e il 24 aprile 2024 – secondo il bollettino del ministero della Salute – si registrano 528 nuovi casi positivi con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente (538); 7 i deceduti con una variazione di -22,2% rispetto ai 9 della settimana precedente. Sono stati 100.622 i tamponi effettuati con una variazione di -6,4% rispetto alla settimana precedente (107.539) mentre il tasso di positività è invariato e si ferma allo 0,5%. Il tasso di occupazione in area medica al 24 aprile è pari allo 0,9% (570 ricoverati), rispetto all’1,1% (700 ricoverati) del 17 aprile. Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 24 aprile è pari allo 0,2% (19 ricoverati), rispetto allo 0,3% (22 ricoverati) del 17 aprile.

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Influenza e Covid, attesa crescita con ritorno a scuola

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La riapertura delle scuole dopo le festività natalizie potrebbe dare un’ulteriore spinta alle infezioni respiratorie: influenza, soprattutto, ma anche Covid-19 e virus respiratorio sinciziale. È il timore espresso da più parti e confermato anche dalla Società Italiana di Pediatria. “Con il rientro dei bambini a scuola ci aspettiamo un aumento dei casi di influenza anche se – c’è da dire – durante il periodo delle vacanze non si è osservato un calo dei contagi, probabilmente per le occasioni di vita sociale durante le festività.

Inoltre, siamo nel momento del clou del virus respiratorio sinciziale”, dice Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea che “è importante che i bambini che hanno sintomi influenzali rimangano a casa”. “Ho scritto al ministro della Salute con l’obiettivo di accedere un faro su una malattia che provoca, soprattutto tra i neonati, gravi patologie, anche mortali: la bronchiolite.

La Commissione europea ha autorizzato il vaccino Nirsevimab che ha già passato severissime e rigidissime misure di controllo da parte di Ema. Questo farmaco potrebbe essere uno strumento fondamentale per la lotta alla bronchiolite ed è arrivato il momento che venga adottato anche nel nostro Paese, quanto prima”, ha intanto fatto sapere Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali al Senato, citando il caso di una neonata di tre mese morta a fine anno probabilmente proprio a causa di questo virus.

Intanto nelle ultime due settimane, in Italia, l’influenza e le sindromi simil-influenzali hanno fatto registrare numeri da record: due milioni di persone messe a letto solo nelle ultime due settimane dell’anno, con tassi elevati soprattutto nei bambini più piccoli “che sono quelli nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione”, spiega Agostiniani. Covid-19, al contrario, nell’ultima rilevazione del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità ha mostrato un lieve rallentamento.

Tuttavia, nel mondo sembra che i contagi abbiano ripreso a salire: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime 4 settimane ci sono stati 850mila casi di Covid nel mondo, con un aumento del 52% rispetto al mese precedente. I numeri reali, tuttavia, potrebbero essere molto più alti.

“Sappiamo che in tutto il mondo le segnalazioni sono diminuite, i centri di sorveglianza sono diminuiti, i centri di vaccinazione sono stati smantellati o chiusi. Questo fornisce un quadro incompleto della situazione e purtroppo dobbiamo aspettarci più casi di quelli che abbiamo dichiarato ufficialmente”, ha detto Christian Lindmeier dell’Oms.

Che la situazione stia peggiorando si intuisce anche dai ricoveri: tra il 13 novembre e il 10 dicembre, nei Paesi che segnalano sistematicamente i dati all’Oms e che sono ormai meno di 60, sono stati registrati più di 118 mila nuovi ricoveri per Covid e più di 1.600 nuovi ricoveri in terapia intensiva, con un aumento rispettivamente del 23% e del 51%.

La ripresa dei contagi potrebbe essere legata alla nuova JN.1 del virus Sars-CoV-2. I dati che arrivano dagli Stati Uniti sembrano confermarlo. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) nell’ultima settimana JN.1 è arrivata al 61,6% di prevalenza. JN.1, che ormai è dominante anche in Italia, discende dalla variante BA.2.86 (Pirola) ed è stata isolata proprio negli Stati Uniti lo scorso settembre. Per i Cdc “al momento non vi è alcuna indicazione di un aumento della gravità da JN.1”. Tuttavia, è possibile che “questa variante possa determinare un aumento delle infezioni”.

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